In questo articolo si parla di:
Il 23 novembre si è svolto a Padova l’incontro "Egitto da Piazza Tahrir all’omicidio di Giulio Regeni".
Un’occasione partecipata presso l’Aula N all’Università per approfondire con Claudia Galal, autrice di "Cairo calling" e Riccardo Noury di Amnesty International, la realtà egiziana. Dalla racconto di Claudia della scena giovanile, culturale ed undergroud che continua a resistere ed esistere nonostante l’autoritarismo e la repressione del governo di Al Sisi fino alle riflessioni di Riccardo sulle strutturali violazione dei diritti umani e della libertà d’espressione.
Vi proponiamo l’ntervistato realizzata da Il Barrito con Riccardo Noury sul tema globale dei diritti umani.
Negli ultimi anni in Occidente, a causa della globalizzazione e degli squilibri economici, abbiamo assistito ad un aumento delle disuguaglianze e al conseguente impoverimento di ampie fasce di popolazione. In alcune aree del mondo, inoltre, le libertà fondamentali sono state negate da regimi autoritari o dai conflitti armati.
Amnesty International è un’organizzazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti umani. In occasione della conferenza “Egitto: da Piazza Tahrir all’omicidio di Giulio Regeni” abbiamo avuto il piacere di intervistare Riccardo Noury, il portavoce di questa ONG in Italia.
Amnesty International si occupa di violazione dei diritti umani, saprebbe dirci com’è la situazione a livello mondiale?
Se nel vocabolario ci fosse un aggettivo un po’ più intenso di “catastrofico”, io userei quello.
Sono in corso conflitti devastanti, vecchi che si riprendono, nuovi che si accendono: da quelli in Africa fino alle crisi che conosciamo forse meglio, come quella siriana.
Ma ci sono anche luoghi dimenticati. Penso a quello che sta accadendo in Birmania nei confronti dei Rohingya, una minoranza musulmana vittima di una repressione ferocissima. O quello che accade nel Kashmir indiano e in Medio Oriente (che sappiamo benissimo essere un’area di crisi profonda).
Se dei numeri possono aiutarci a capire bene la situazione prendiamo per esempio quelli della Siria: oltre metà della popolazione non ha una casa, perché non ce l’ha più o perché l’ha abbandonata. Ci sono oltre 5 milioni di rifugiati fuori dal Paese e un numero ancora maggiore di persone bloccate ai confini. Il numero dei rifugiati nel mondo è salito oltre i 20 milioni e sono persone che tutto avrebbero voluto tranne che lasciare il loro Paese; l’hanno fatto perché sono stati obbligati a farlo.
La tortura è praticata in almeno 113 Paesi e ovunque guardi trovi uno Stato in cui la libertà di informazione è a rischio, soprattutto quella online.
Assistiamo ad un aumento spaventoso della repressione a danni di blogger e attivisti che usano i social media per promuovere appelli e chiedere un qualche tipo di cambiamento. Questa, forse, è la tendenza più preoccupante. Se penso a dei fenomeni vecchi ma tragicamente attuali, c’è il furto della terra e con essa i beni di sostentamento e della dignità stessa dei popoli nativi nelle Americhe, la violenza contro le donne… è un quadro sconfortante.
Ritiene che nei paesi democratici occidentali la situazione sia più incoraggiante?
Decisamente no. Non è incoraggiante perché potrebbero fare molto di più, per mille ragioni.
Perché hanno un’idea di stato di diritto teoricamente buona, perché potrebbero impegnarsi per difendere i diritti umani all’estero, perché hanno le condizioni per accogliere i rifugiati ma in realtà tutto questo non esiste. Sono Paesi nei quali cresce il razzismo, cresce la xenofobia, ci sono Paesi che usano ancora la pena di morte, come ad esempio USA e Giappone.
Gli Stati Uniti hanno ancora il centro di Guantanamo aperto, l’Europa sta subendo un processo di “orbanizzazione”: si trincea dietro muri, dietro la xenofobia, dietro l’idea di confini da difendere come se fossimo in guerra. Con la differenza che i nemici sono persone, uomini, donne e bambini che arrivano (se arrivano vivi) dopo aver perso tutto.
A proposito d’immigrazione: Amnesty ha pubblicato un rapporto sulla violenza negli hotspot in Italia. Mi sa dire perché è stato molto criticato?
Sinceramente pensavo che non avrebbe fatto notizia, perché eravamo arrivati per ultimi nel mettere nero su bianco delle cose che altri avevano già denunciato. Si è scoperto che in alcuni casi all’interno degli hotspot per raccogliere le impronte digitali, quando non ci si riesce con le buone, lo si fa con le cattive. A dire il vero, il principale problema di quel rapporto è che abbiamo usato quella parola che in Italia non si deve usare: tortura.
Da lì sono partite tutte queste reazioni viscerali, anche molto poco istituzionali. Ad esempio un funzionario del Ministero dell’Interno, il prefetto Morcone, ha dato dei cretini e dei falsi a noi di Amnesty International. Io ho sempre detto meglio cretino che falso, ma francamente anche cretino non lo accetto.
E allora si dice che “in Italia non c’è la tortura” e siccome non c’è, chi la denuncia è un falso. Se poi chi denuncia è un migrante (che per definizione è un essere ingannevole) a quel punto sono tutte falsità.
Perché secondo lei in Italia non c’è ancora il reato di tortura?
Ci sono state maggioranze parlamentari variabili che rispondevano a governi di segno diverso che dal 1989 in poi hanno dato retta a quello che hanno sentito dire dai vari agenti di polizia. Che il reato di tortura non serve perché tanto in Italia la tortura non c’è, che il reato di tortura se introdotto getterebbe uno stigma sull’intero corpo delle forze di polizia e, da ultimo, che in questo periodo di minacce tale reato complicherebbe le indagini.
Ho sentito dire delle cose aberranti su questo da parte di funzionari di un sindacato di polizia: “Se c’è il reato di tortura noi non possiamo più lavorare”.
Il che in pratica significa “noi lavoriamo torturando” e ciò è francamente inaccettabile.
Anche questa legislatura non fa eccezione. Come sempre, ricominceremo dalla prossima.
Parlando invece di un Paese dove ultimamente i diritti umani vengono sempre più violati, cosa pensa dell’evolversi della situazione in Turchia?
Della situazione in Turchia io parlo in questo periodo con grande preoccupazione. Devo dire che lo stato d’emergenza che è stato decretato dopo il tentato colpo di stato di Luglio ha soltanto acuito la situazione di violazione dei diritti umani (che già nel 2015 era stata devastante). Penso alle innumerevoli denunce ricevute dai giornalisti, alla chiusura di organi di stampa, all’offensiva militare nel sud-est curdo, al coprifuoco h24, all’ omicidio di un grande difensore dei diritti umani come Tahir Elçi. Intorno al 20 Novembre c’è stata la chiusura di 375 ONG e quindi lo spazio per esprimere idee e critiche in Turchia oggi non esiste praticamente più.
Pensa che l’Europa si stia comportando in modo corretto con la Turchia?
No, l’Europa, Italia inclusa, ha questa politica estera per cui mette sempre il coltello nelle mani della controparte e lo mette anche dalla parte del manico. L’Europa non può dire nulla sulla Turchia, magari può prendere una posizione su qualche aspetto come sull’ipotesi che venga ristabilita la pena di morte. Per il resto noi abbiamo con essa un rapporto subordinato, perché è quel Paese a cui abbiamo dato una quantità enorme di denaro dal 18 marzo 2016 con l’accordo che le affida il compito di bloccare le partenze dei migranti. Figurati se, dopo aver affidato alla Turchia questo ruolo strategico, l’Unione Europea può essere nelle condizioni di protestare.
Infine volevamo chiederle… Il 24 Novembre è uscito il film “Snowden” con il patrocinio di Amnesty International. Perché vi siete dedicati a questo argomento?
Perché, sebbene Snowden venga considerato un traditore della patria (di fatto negli Stati Uniti è già stato condannato anche se il processo non c’è) e rischi almeno 35 anni di carcere, in realtà è un difensore dei diritti umani, quasi un eroe, che tutti dovrebbero ringraziare.
Ha dato vita ad un dibattito sulla sorveglianza di massa delle comunicazioni e ha rivelato che l’NSA (l’agenzia per la sicurezza nazionale statunitense) aveva tenuto sotto controllo milioni e milioni di persone. E questo non soltanto negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo. Questo viene ribadito chiaramente nel film.
Il terrorismo è una scusa; questa sorveglianza serve ad altro, serve a tenerci tutti quanti sotto controllo, al punto che è stata intercettata anche Amnesty International. Stiamo contribuendo a promuovere questo film perchè crediamo di rafforzare la raccolta di firme (che inizierà proprio in coincidenza con l’uscita del film) per chiedere a Obama di graziare Snowden. Che è l’unico modo con cui può riavere quella libertà di movimento che ora non ha perché bloccato a Mosca in una situazione non agevole. Non c’è infatti alcuna garanzia che lasciando la Russia possa trovare asilo da qualche parte . Obama è nelle condizioni di farlo fino a quando rimane alla Casa Bianca e noi crediamo che tra gli ultimi atti della sua amministrazione dovrebbero rientrare la grazia per Snowden, la chiusura di Guantanamo, la fine del programma dei droni e l’assunzione di un po’ di responsabilità per la guerra al terrore.
Mal che vada, siamo sicuri che Donald Trump sosterrà tutte queste battaglie… o forse no.