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Si avvicina la data del 26 settembre. E’ passato un anno dall’agguato di Iguala.
In tutto il mondo si terranno iniziative per non dimenticare quel che Ayotzinapa significa: il vero volto del narcostato messicano.
A Padova, insieme a tanti posti in Italia e nel mondo il 24 settembre presso Hub alle ore 21.15 proietteremo "Ayotzinapa, cronaca di un crimine di stato" di Xavier Robles, per dire che i familiari, gli studenti della Normal Rural non sono soli!
In Messico il Governo cerca brutalmente di impedire ai familiari e agli studenti di raggiungere dal Guerrero Città del Messico, dove da oggi nella piazza centrale dello Zocalo è stato annunciato un sit-in e sciopero della fame per chiedere giustizia e libertà ed attendere la manifestazione di sabato 26 settembre, che si preannuncia molto partecipata.
L’inaudita violenza contro i familiari e gli studenti di Ayotzinapa è inaccettabile!
Le loro rivendicazioni sono le nostre e quelle di tutt@ nel mondo: basta con la repressione, libertà per il Messico.
Le falsità con cui il Governo cerca di insabbiare la verità sull’agguato di Iguala, si sgretolano giorno dopo giorno. La versione per cui il narcotrafficante El Gil, arrestato gaurda caso una settimana fa, avvrebbe guidato l’agguato di Iguala, l’omicidio e sparizione dei corpi degli studenti, bruciandoli nella discarica di Cocula,si è già sgretolata. Così come tutta la versione ufficiale è stata smontata dal Rapporto Indipendente.
Ayotzinapa ha svelato la realtà perversa del narcostato, fatta di violenze, repressione e provocazioni contro chi lotta e fa parte dei movimenti sociali. Un continuo di grandi e piccoli episodi che non bisogna più tacere.
Per questo a Roma i promotori dell’appello #MéxicoNosUrge, lanciato dopo l’assassinio di, hanno convocato per il 24 settembre una conferenza stampa presso la sala stampa della Camera dei Deputati in cui parleranno della situazione dei diritti umani in Messico e verrà presentato l’appello per chiedere di rispettare l’articolo 1 del trattato di libero commercio tra il Messico e l’Unione Europea, che prevede il rispetto dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
In Messico si continua a resistere, a protestare duramente, come hanno fatto gli studenti del Guerrero invadendo la Procura, a denunciare gli attacchi contro i movimenti sociali e i media liberi, come la grave provocazione subita dagli attivisti di Regeneración Radio y el Colectivo Revuelta.
COMUNICATO STAMPA
Giovedì 24 settembre, in occasione del primo anniversario della sparizione forzata dei 43 studenti della Scuola normale rurale di Ayotzinapa, nello Stato messicano del Guerrero, i promotori dell’appello #MéxicoNosUrge parleranno della situazione dei diritti umani in Messico in una conferenza stampa convocata presso la sala stampa della Camera dei Deputati (dalle 13 alle 14*).
Sarà l’occasione per presentare l’appello, rivolto alle istituzioni italiane e degli altri Paesi membri, per chiedere di rispettare l’articolo 1 del trattato di libero commercio tra il Messico e l’Unione Europea, che prevede il rispetto dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Tra i primi firmatari dell’appello ci sono Dario Fo, la Fondazione José Saramago, Erri De Luca, Nando Della Chiesa, don Luigi Ciotti, Roberto Saviano, padre Alejandro Solalinde, Paolo Flores d’Arcais, la Fondazione Antonino Caponnetto, Paco Ignacio Taibo II.
Tra i promotori dell’appello sarà presente alla conferenza stampa Federico Mastrogiovanni, giornalista romano che vive e lavora in Messico. Mastrogiovanni è autore del libro "Ni vivos ni muertos" (DeriveApprodi), che racconta i meccanismi delle sparizione forzate che hanno portato -dal 2007- alla scomparsa di circa 30mila persone.
La conferenza stampa sarà anche l’occasione per fare il punto sulla condizione dei media messicani, a quasi due mesi dall’omicidio -a Città del Messico- del foto-giornalista Rubén Espinosa, l’ultimo di una lunga serie (dal 2000 ad oggi i giornalisti assassinati in Messico sono più di cento).
L’omocidio di Espinosa, dell’attivista Nadia Vera, della studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e di altre due donne che si trovavano con loro, Nicole Simon e Alejandra, avvenuti a Città del Messico, dimostrano che oggi il Messico vive una guerra civile non dichiarata. I promotori di #MéxicoNosUrge chiedono all’Europa e ai media italiani di non essere complici di un silenzio che uccide.
Studenti scomparsi in Messico, sabato in piazza mentre la procura difende la ’sua’ verità
CITTÀ DEL MESSICO - Fino a un anno fa, Gildardo López Astillo era uno sconosciuto, uno dei tanti affiliati al cartello criminale messicano Guerreros Unidos. I media iniziarono a parlare di lui nell’ottobre 2014, quando nella città di Iguala apparse una narcomanta, uno striscione scritto su un lenzuolo, in cui si accusava le autorità di essere colluse con il narcotraffico, e affermava che i 43 studenti di Ayotzinapa scomparsi il 26 settembre 2014 erano vivi.
López Astillo, meglio conosciuto come El Cabo Gil, è stato arrestato il 16 settembre nei pressi di Iguala, da cui non si è mai allontanato perché sapeva di godere della protezione della polizia.
A dieci giorni dell’anniversario dell’attacco del 26 settembre - durante il quale 6 persone sono state uccise, più di 40 ferite e 43 fatte sparire - è stata annunciata la cattura dell’uomo che la ricostruzione ufficiale diffusa lo scorso gennaio indica come esecutore materiale dell’uccisione degli studenti. Ricostruzione che la procura generale della Repubblica (PGR) ha definito "verità storica", ma che è stata presto contraddetta da inchieste giornalistiche e da analisi di esperti indipendenti.
Secondo la "verità storica" della magistratura, alcuni tra i 111 detenuti per il caso di Ayotzinapa hanno dichiarato che la Polizia Municipale avrebbe consegnato i ragazzi al Cabo Gil. Dopo averli identificati come integranti del cartello rivale de Los Rojos, l’uomo li avrebbe portati nella discarica di Cocula per ucciderli, bruciarli e gettare le loro ceneri nel fiume San Juan, all’interno di una borsa. "Non li troveranno mai, li abbiamo polverizzati e gettati in acqua", scrisse in un sms al suo capo, Sidronio Casarrubias Salgado.
Il giorno successivo alla detenzione del Cabo Gil, il governo messicano ha reso pubblica un’altra prova a sostegno della ricostruzione ufficiale dei fatti. Il 17 settembre le autorità hanno annunciato che, grazie alle analisi dei frammenti ossei contenuti nella borsa rinvenuta nel fiume San Juan, l’università di Innsbruck ha identificato il dna di un secondo studente di Ayotzinapa: Jhosivani Guerrero de la Cruz. I suoi genitori lo hanno scoperto guardando la televisione.
Tutto sembra tornare. I colpevoli vengono assicurati alla giustizia e i desaparecidos ricompaiono. Sotto forma di frammenti ossei e cenere, ma almeno le famiglie smetteranno di aspettarli e reclamarli. "Non crediamo alla versione della procura. La procura inventa le prove, fa quadrare le sue ipotesi", ha dichiarato Felipe de la Cruz, portavoce dei genitori dei ragazzi scomparsi, che hanno convocato una manifestazione a Città del Messico sabato prossimo in occasione dell’anniversario della scomparsa.
La sfiducia di Felipe de la Cruz non è solo una reazione al dolore per la sparizione del figlio. Secondo un sondaggio dell’istituto Parametrí a, il 64% della popolazione messicana non crede alla versione diffusa dalla procura sul caso Ayotzinapa. E non stupisce, visto che nei mesi scorsi numerose inchieste giornalistiche hanno portato a galla le incongruenze presenti nella ricostruzione del caso, tra cui un dettaglio grottesco: quella notte, a Cocula, stava piovendo sul presunto rogo di corpi.
Anche gli esperti del Equipo Argentino de Antropologí a Forense (EAAF), che hanno svolto un’indagine forense indipendente, hanno sollevato dubbi. Secondo i periti argentini, nella discarica di Cocula non sono stati trovati i resti di nessuno studente, ed è solo una probabilità "bassa in termini statistici" che i frammenti ossei analizzati dall’Università di Innsbruck appartengano a Jhosivani Guerrero de la Cruz. Non esiste invece nessun dubbio sull’accertamento dell’identità, avvenuto a dicembre, dello studente Alexander Mora, i cui frammenti ossei si trovavano nella stessa borsa.
Il colpo di grazia alla ricostruzione dei magistrati messicani è arrivato il 6 settembre scorso, quando un gruppo di esperti indipendenti nominato dalla Commissione Interamericana di Diritti Umani (CIDH) ha presentato il risultato di una ricerca durata sei mesi. "Gli studenti non sono stati bruciati a Cocula, il nostro perito lo ha determinato a partire dall’analisi delle condizioni oggettive della discarica. E abbiamo riscontrato forti incongruenze tra le dichiarazioni degli imputati sulla dinamica dei fatti", avverte in intervista Carlos Baristain, uno degli esperti che ha partecipato all’indagine.
Il Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (Giei) ha dimostrato che gli studenti non erano stati confusi con narcotrafficanti, e che la Polizia Federale e l’esercito hanno preso parte all’aggressione. La procura ne era a conoscenza, ma lo ha occultato. Le autorità sapevano anche dell’esistenza di un quinto autobus, che non compare nella ricostruzione ufficiale. Si tratta di uno dei pullman che i ragazzi avevano occupato ad Iguala e che probabilmente veniva utilizzato per trasportare droga, all’insaputa dei giovani. Secondo gli esperti, questo autobus potrebbe rappresentare il movente dell’attacco.
"Gli elementi su cui non si è indagato, che sono stati occultati e omessi nell’inchiesta della procura sono molti. Abbiamo fatto delle raccomandazioni alle autorità che speriamo vengano accolte, il nostro lavoro è un’opportunità per lo stato messicano, è un contributo alla lotta contro l’impunità nel paese", conclude Carlos Baristain.