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Il clima politico tunisino si tinge di nubi nere, come in molti avevamo previsto come possibile scenario dopo gli attentati del Bardo e di Sousse.
Il governo di Nidaa Tunes, con una rapidità ben diversa rispetto ad altre decisioni di carattere sociale che languiscono in attesa da mesi e mesi, ha approvato la legge antiterrorismo, basata su una serie di misure che limitano le libertà personali e collettive. Non solo, ha inoltre reintrodotto la pena di morte che era stata sospesa da una moratoria più di venti anni fa.
La stretta repressiva generalizzata, come sempre, non si sta dimostrando un efficace strumento contro la barbarie integralista. La galassia dei gruppi integralisti locali, che in questi anni sono stati sostenuti più o meno apertamente non solo dall’esterno, ma anche da forze politiche come Ennahda ed altre, continua ad avere basi attive ai confini con l’Algeria. La cronaca riporta quotidianamente sia le notizie di uccisioni di poliziotti e di militari, così come gli sbrigativi comunicati emessi dal Ministero degli interni rispetto agli arresti di membri di cellule armate in diverse parti del paese. Il tutto in un clima informativo convulso e contradditorio.
La risposta puramente securitaria che il governo sta dando per affrontare il problema del terrorismo si riflette sull’intera società.
Un esempio è la vicenda che in queste giorni ha al centro il media-attivista Azyz Amami, già obiettivo di passate iniziative repressive, come molti altri blogger e attivisti tunisini.
Pochi giorni fa è stato denunciato, insieme a Sihem Ben Sedrine, presidente dell’Istanza Verità e Dignità (commissione per raccogliere le denunce sulle violazioni commesse dal 1955 al 2013), da 14 deputati di Nidaa Tunes. Le accuse si basano sugli articoli 222 del Codice Penale e sugli articoli 13 e 30 della recente legge antiterrorismo e rischia la reclusione fino a 5 anni di carcere.
Cosa è successo?
La settimana scorsa Azyz ha dichiarato nel corso di un dibattito pubblico che “questa legge non passerà perché io, come cittadino tunisino, e altri cittadini, abbiamo deciso che non passerà. Anche se bisognerà bruciare il Parlamento. Sono serio”, riferendosi al progetto di legge sulla “Riconciliazione economica e finanziaria”, in discussione in queste settimane. Tale legge, se approvata, permetterebbe ai funzionari ed uomini d’affari sotto inchiesta o condannati per corruzione e illeciti finanziari di veder commutate le proprie condanne in una piccola multa. Una sorta di vergognoso colpo di spugna totale sul passato.
Di cosa stiamo parlando?
Si tratta di una legge, fortemente appoggiata da Nidaa Tunes, composta da 11 articoli, che metterebbe la parola fine ad inchieste e processi ed annullerebbe le pene in riferimento agli atti di malversazione finanziaria, corruzione e accaparramento di fondi.
Una totale amnistia che riguarderebbe sia il periodo della dittatura che quello del governo della cosiddetta “troika”, ovvero fino al 2014.
Le persone coinvolte dovrebbero ripulirsi versando quel che si sono incamerati con una maggiorazione del 5%. Il tutto da versare in un ipotetico “fondo di deposito e conciliazione” da usare “per lo sviluppo regionale o delle piccole imprese”.
Secondo i dati dell’“Istanza Verità e Dignità” questa formula dovrebbe essere applicata a circa un migliaio di funzionari, una trentina di ministri ed alti commissari dello stato. Nel pacchetto sono compresi anche i titolari di conti finanziari all’estero non dichiarati.
La legge rappresenterebbe la totale impunità per chi ha lucrato alimentando la corruzione e contribuendo allo sfruttamento ed immiserimento del paese.
Uno schiaffo al dibattito, giustamente acceso, su come affrontare la storia del paese e sull’operato dell’apparato pubblico.
Tutto questo si accompagna all’impunità nei confronti di chi ha represso, ucciso e torturato durante la dittatura e durante la rivoluzione, mentre attivisti e militanti si vedono sotto processo per le mobilitazioni che hanno portato alla caduta di Ben Ali. Una realtà denunciata da campagne come “Anch’io ho bruciato un commissariato di polizia”e al centro dell’intero dibattito su come affrontare il passato per costruire un presente diverso.
Vediamo ora quali sono gli articoli che vorrebbero utilizzare gli avvocati dei 14 deputati, visto che in buona parte derivano proprio dalle nuove norme antiterrorismo.
L’articolo 22 del Codice penale punisce con pene da 6 mesi a 5 anni (più multa), chiunque minacci di nuocere a qualcuno, con qualsiasi mezzo, attraverso azioni penalmente perseguibili.
L’articolo 13 della nuova legge anti-terrorismo e sul riciclaggio di denaro sporco afferma che è colpevole di terrorismo chiunque, con ogni mezzo, diffonda il terrore tra la popolazione o obblighi uno Stato o un’organizzazione internazionale a fare qualcosa che non deve o non fare quel che deve.
L’articolo 30 della stessa legge punisce da uno a cinque anni di carcere ed ammenda chiunque, con ogni mezzo, sostenga all’interno o all’esterno della Repubblica in maniera pubblica, chiara e franca, un atto terroristico.
Ora cosa c’entra tutto questo con quanto detto da Azyz discutendo appassionatamente di una legge che rischia di assolvere la corruzione, cioè una delle principali cause di devastazione del sistema sociale tunisino?
Cosa c’entra con la accuse fatte alla Presidente dell’Istanza Verità e Dignità d’aver condiviso su Facebook il video del dibattito in cui è avvenuto l’intervento?
C’è un solo modo per leggere tutto questo: l’uso distorto delle norme antiterrorismo per cercare di criminalizzare e reprimere qualsiasi voce di dissenso e di critica. In poche parole il tentativo di uccidere la libertà.
Le accuse contro Azyz sono appesantite dal fatto che avrebbe “appoggiato” Daesh.
Come? Aggiungendo alla frase incriminata anche l’osservazione che, a fronte del discorso che usano gli integralisti per reclutare sulll’etica dei musulmani nel gestire il denaro pubblico, diventa difficile combatterli se si avvalla la corruzione.
Ce ne vuole per trasformare questo in apologia di Daesh.
Diamo la parola a Azyz.
Nel commentare una vicenda che ha dell’incredibile, ma che invece rispecchia bene l’attuale situazione tunisina, il giovane blogger ha affermato “Sono arrabbiato. Sono indignato. Non posso accettare che nel mio paese le decisioni siano prese da affaristi opportunisti. Questa legge non passerà. Questa legge è una vergogna. Annienta ogni possibilità di contratto sociale. I cleptocrati guidati da Mohsen Marzouk, stanno tentando un putsch. Come cittadino farò di tutto per impedirlo. Se questa legge passa si aprirà la strada perché gli affaristi, diventati “innocenti”, ed i loro complici nell’amministrazione, anche loro amnistiati, riprendano il potere. Tutto il sistema si rimetterà in moto alla perfezione”.
Di fronte alle domande dei giornalisti se veramente voleva mettere a fuoco il Parlamento ha risposto “Sì, i fuochi della passione, la mia passione il mio paese. E se per questo devo andare in prigione, ci andrò senza esitare”.
Azyz non deve finire in galera, la legge pro-corruzione non deve essere approvata, come sostengono parecchie organizzazioni della società civile e democratica del paese.
Nei giorni successivi alla strage del Bardo ed ancora di più dopo l’attacco a Sousse, dicevamo che la lotta nel paese dei gelsomini è allo stesso tempo contro l’integralismo e l’autoritarismo.
Appoggiare le libertà, il diritto alla contestazione, alla mobilitazione è la grande sfida che si combatte in Tunisia e noi dobbiamo sostenerla.
SPECIALE DI APPROFONDIMENTO SULLA TUNISIA A CURA DI OSSERVATORIO IRAQ