n una inchiesta esclusiva per reported.ly – che il Post ha tradotto integralmente di seguito – la giornalista Nina Bigalke è andata a vedere un sito di estrazione del petrolio nel mezzo della foresta amazzonica e ha filmato una strada costruita illegalmente la cui esistenza è stata negata dal governo dell’Ecuador. Mentre alcuni popoli indigeni stanno cercando di assicurarsi un futuro nelle terre su cui vivono da generazioni, il presidente ecuadoriano Rafael Correa deve affrontare una forte opposizione politica riguardo al suo progetto di espansione della produzione di petrolio nel Parco nazionale Yasuní.
«Sono sicura, sono certa che non ci sia una strada», ha risposto Yvonne Fabara, segretario degli Idrocarburi del governo dell’Ecuador quando le ho chiesto delle operazioni di una compagnia petrolifera statale nella foresta amazzonica. Fabara si riferiva alla particolare area del Parco nazionale Yasuní, una zona remota dell’Ecuador vicina al confine con il Perù. Con oltre 100mila specie per ettaro, il Parco – designato dall’UNESCO “Riserva della biosfera” nel 1989 – è uno dei posti più biodiversi del mondo. Ci vivono parecchie popolazioni indigene, tra cui due tribù che hanno scelto di rimanere isolate dal mondo esterno. A Yasuní c’è anche il 20 per cento circa delle riserve petrolifere dell’Ecuador, ovvero delle risorse che valgono per circa metà di tutte le esportazioni ecuadoriane.
L’estrazione petrolifera in questa parte della foresta, chiamata Block 31, fu autorizzata a condizione che non venissero costruite delle strade. Alcune immagini satellitari pubblicate in un documento del 2014 mostrano però come ci sia una strada che entra per circa 20 chilometri nell’area protetta. Alcuni geografi dell’Università di Padova e alcuni ricercatori dell’Amazon Conservation Association hanno usato queste immagini satellitari per calcolare l’ampiezza dello spazio aperto in cui è stata costruita la strada, che è risultato essere di 26 metri. Nonostante le prove fornite dal documento, il governo dell’Ecuador continua a sostenere che la compagnia petrolifera a cui è stato concesso l’uso di quelle risorse, l’azienda statale Petroamazonas, abbia costruito solo un “passaggio ecologico” temporaneo con l’obiettivo di scavare un oleodotto, in accordo con la licenza ambientale concessa per quel blocco petrolifero. L’unico modo per verificarlo con certezza è andare di persona in questo remoto angolo dell’Amazzonia e visitare il Block 31.
Il segretario Fabara ha garantito che i metodi impiegati da Petroamazonas in quell’area “sono stati monitorati da tutti”, ma secondo il professor Massimo De Marchi – esperto di sviluppo sostenibile e di scienza ambientale e uno degli autori de documento del 2014 – non è così. De Marchi ha detto che i controlli sul campo a Yasuní sono praticamente impossibili da fare, considerata la difficoltà di arrivarci e le “tipiche attività di sicurezza compiute da militari e privati” attorno alle operazioni petrolifere. De Marchi ha detto che «il problema è la mancanza di trasparenza» e ha spiegato che le moltissime diverse valutazioni sulla questione hanno intensificato quella che ora è diventata una controversia politica nazionale.
Alcune lettere recenti ottenute da reported.ly hanno evidenziato come il ministro dell’Ambiente dell’Ecuador abbia rifiutato di concedere a due gruppi di osservazione il permesso di visitare nel 2015 l’installazione di estrazione petrolifera. In uno dei due casi la scelta è stata giustificata citando preoccupazioni di natura ambientale.
Alla fine del 2014, il governo dell’Ecuador ha vietato a una delegazione di parlamentari tedeschi di visitare il paese, quando ha scoperto che gli stessi parlamentari avevano intenzione di visitare il Parco nazionale Yasuní e incontrarsi con coloro che si oppongono alle operazioni di estrazione. A inizio del 2015 un gruppo di giovani ambientalisti chiamato YASunidos si è scontrato con guardie armate e militari mentre cercava di raggiungere l’area. Visto che a nessuno è stato concesso di andare a ispezionare l’area, ho deciso di provare a vedere questa strada da me.
Il viaggio verso la strada segreta
Per raggiungere il posto che cercavo ho viaggiato in mezzo alla foresta con la barca e la canoa, lungo i fiumi Napo e Tiputini. Dentro a Yasuní, i residenti delle comunità locali Kichwa mi hanno aiutato a navigare nella natura incontaminata e arrivare al Block 31, una delle ultime concessioni petrolifere a essere sfruttate. I residenti hanno voluto rimanere anonimi per paura di eventuali rappresaglie. In canoa per giorni abbiamo superato solo una grande varietà di animali e fitte chiome di alberi. Quando siamo arrivati vicino alla destinazione del nostro viaggio, un tratto di strada è comparso improvvisamente dalle rive del fiume. Per evitare di incontrare gli uomini armati della sicurezza, abbiamo continuato a piedi, facendoci strada nella foresta con un machete. A un certo punto, dopo avere camminato molto lentamente nella foresta molto fitta, si è aperta di fronte a noi un’ampia radura. Nel giro di pochi minuti si sono avvicinati dei veicoli. Il rumore di un camion pesante ha sovrastato il cinguettio degli uccelli, sempre presente nella foresta. Poco dopo è arrivato anche un furgone più piccolo. Entrambi hanno proseguito su quella che era chiaramente una strada.
Strade contro elicotteri
Nell’Amazzonia le strade sono note per condizionare l’ambiente circostante ben al di là dei loro limiti. Diversi studi, inclusa una ricerca del gennaio 2010 pubblicata sul giornale Plos One, hanno mostrato che le strade d’accesso a siti petroliferi costruite in altre parti di Yasuní, oltre che le zone intorno ad esse, «hanno facilitato la colonizzazione, la deforestazione, la frammentazione e livelli di caccia eccessivi… e il disboscamento illegale». Dr. Kelly Swing, un’esperta di scienza ambientale e direttrice della Tiputini Biodiversity Station – un’installazione che fa ricerca all’interno di Yasuní –, ha detto: «Così finisci per perdere nel giro di poco tempo almeno la metà di una vasta fauna, come tapiri e pecari e molte specie di uccelli».
La licenza ambientale del 2007 per il Block 31 non prevede la costruzione di strade perché una condizione dell’accordo era preservare la foresta: la piattaforma petrolifera – “essenzialmente un’isola nella foresta” – deve essere servita da alcune barche e da elicotteri, come succede con le piattaforme offshore, quelle che si trovano in mare. Per portare il greggio nelle installazioni dedicate alla sua lavorazione, si deve usare un oleodotto sotterraneo: e questo richiede un “passaggio” temporaneo che serve per scavare nel terreno il buco per l’oleodotto, prima di ripristinare l’originale geografia della zona. Seguire questa procedura è molto più costoso che costruire una strada di accesso tradizionale, ma viene considerata la scelta migliore quando si lavora in ambienti che devono essere protetti.
Il segretario Fabara ci ha confermato alla fine del 2014 che «non c’è bisogno di avere una strada là. Assolutamente, nessun bisogno». La licenza ambientale del 2007 permetteva che il “passaggio ecologico” avesse un’ampiezza massima di 4,5 metri e che tra gli alberi da una parte della strada e quelli dall’altra ci fosse uno spazio di massimo 10 metri. Petroamazonas ha ereditato l’accordo quando nel 2009 ha portato via la concessione alla compagnia petrolifera brasiliana Petrobras. Nel 2011 a Petroamazonas fu permesso di aumentare lo spazio aperto tra una parte e l’altra della strada fino a 14 metri.
Il punto più ampio che ho filmato dello spazio tra una fila di alberi e l’altra era di circa 30 metri, più di due volte l’ampiezza consentita dalla modifica fatta nel 2011 alla concessione di uso di quella zona. Le immagini satellitari mostrano altre parti della strada dove lo spazio tra una fila di alberi e l’altra è ancora più ampio.
La strada “evaporata”
Quando abbiamo parlato a Quito, in Ecuador, con il segretario Fabara, lei ci ha detto: «Una volta che l’oleodotto è stato costruito sottoterra e coperto, non ci deve essere più niente sulla superficie. Si deve ricostruire qualsiasi cosa sia rimasta danneggiata nel processo, come se evaporasse». Nessuno degli esperti intervistati da reported.ly sa di una strada di accesso a Yasuní che è “evaporata” o che è stata ricoperta dalla vegetazione. Il professore De Marchi ha detto: «Sì, se aspettiamo 100 anni potremmo riavere la foresta, forse. Ma il problema è che serve un grande investimento. Dove hai una strada, migliori quella strada e apri nuove strade. È assurdo chiudere una strada. Quando apri il primo passaggio, è impossibile tornare indietro».
Inoltre la morfologia dello spazio dove sono state tolte le piante per costruirci la strada è cambiata radicalmente ed è molto diversa da quella mostrata nelle fotografie dei normali “passaggi ecologici”. Il video mostra chiaramente che i materiali di costruzione introdotti per costruire la superficie della strada – come la ghiaia compattata – sono alieni alla foresta. Sono stati scavati dei canali e le immagini satellitari mostrano strutture permanenti costruite per attraversare dei corsi d’acqua. Il dottor Franco Ferrarese, esperto di geografia dell’Università di Padova, ha detto, riferendosi a quanto visto nel video: «Hanno tagliato un pezzo di collina, in alto, per avere meno pendenza per i veicoli. Penso che sia estremamente significativo, perché così è difficile ripristinare la morfologia originale».
Continuare a estrarre
Nella discussione politica sul diritto di definire il futuro di un territorio sempre più ridotto di foresta pluviale ancora incontaminata, la strada nel Block 31 è significativa, non solo per la sua posizione strategica. È stata costruita accanto all’ultimo blocco di greggio ancora non sfruttato di Yasuní, che fino a tempi recenti è rimasto escluso dalle operazioni di estrazione del petrolio: si chiama Block 43, spesso ci si riferisce con l’acronimo ITT, che è un’abbreviazione del nome dei giacimenti petroliferi che si trovano al suo interno: Ishpingo, Tiputini, Tambococha.
Nell’agosto del 2013 il presidente Rafael Correa abbandonò un’iniziativa di alto profilo che aveva come obiettivo mantenere il petrolio sottoterra, aprendo così la strada per una più grande espansione delle operazioni di trivellazioni nei giacimenti ITT. Nell’aprile del 2014 il governo di Correa ritenne non validi due terzi delle 756mila firme messe insieme dagli ambientalisti di YASunidos, che chiedevano che venisse organizzato un referendum sulla possibilità di trivellare nel Block 43. Un mese dopo furono firmati dei permessi per permettere a Patroamazonas di estrarre greggio anche qui: le operazioni inizieranno nel 2016.
Come era successo per il Block 31, l’espansione delle operazioni nell’ITT è stata concessa con la promessa di usare una tecnologia particolare per rendere minimo l’impatto ambientale. Bill Powers, capo ingegnere di una società statunitense, ha raccontato al Guardian che durante una conferenza di ingegneri petroliferi che si tenne a Quito nel 2014 venne prevista «la possibilità estendere le strade già esistenti» nell’ITT. Powers ha raccontato anche che alla conferenza si presentò un rappresentante della società ecuadoriana SERTECPET – che si occupa di fornire servizi legati all’energia – che mise in discussione l’idea di creare una strada di accesso all’ITT attraverso il Block 31, che si trova di fianco. Powers ha raccontato che un rappresentante di Petroamazonas presente alla conferenza «fu piuttosto onesto e spiegò che era più economico costruire una strada invece che usare degli elicotteri», e che «loro hanno intenzione di applicare la stessa filosofia di sviluppo nell’ITT». Sempre a quella conferenza il ministro per i Settori strategici, Rafael Povera, disse invece che «i trasporti dei materiali saranno fatti via elicottero e via fiume».
Soldi per petrolio
La questione ha colpito un nervo scoperto in Ecuador, non solo perché il paese – stato membro dell’OPEC – dipende in larga parte dalle sue esportazioni di petrolio. Le risorse di petrolio ecuadoriane sono statali e generano circa metà di tutte le entrate del paese dovute alle esportazioni. Da quando ha fatto default sul debito, nel 2008, l’Ecuador è diventato molto dipendente dai prestiti cinesi legati a garanzie sulle sue esportazioni di petrolio e a progetti che coinvolgono società cinesi. Con il recente crollo del prezzo del petrolio – e quindi una diminuzione delle entrate dalle esportazioni petrolifere – il governo ecuadoriano è stato costretto a chiedere più prestiti alla Cina e anche ad altri paesi per limitare l’effetto delle perdite.
Gli impatti ambientali e la resistenza locale
I profitti fatti in passato grazie ai prezzi del petrolio più alti sono stati usati per la costruzione di infrastrutture e nei settori della sanità e dell’istruzione, ma quattro decenni di operazioni petrolifere hanno diviso la popolazione sui pro e i contro di questa attività. Per la popolazione locale che si trova nelle aree coinvolte nelle trivellazioni, l’impatto non si può ignorare. La fuoriuscita di petrolio è uno dei più visibili.
A vent’anni dalle class action contro le due società petrolifere americane Texaco e Chevron, poco è stato fatto per smaltire le sostanze tossiche e le discariche a cielo aperto con percolamento in una foresta prima incontaminata che si trova a nord di Yasuní. Un’indagine dell’organizzazione Amazon Watch e di Vice News ha sostenuto che Chevron cercò di coprire i risultati di alcuni esami usati per valutare il danno ambientale usando deliberatamente alcuni campioni di terreno incontaminato. Morgan Crinklaw, funzionario di Chevron, ha negato le accuse, sostenendo che il lavoro sui campioni non era stato condotto in maniera impropria.
Più di recente, nel luglio del 2014, migliaia di barili di greggio hanno avuto delle perdite nel fiume Aguarico a causa della rottura di un oleodotto di Petroamazonas. Nonostante «le fuoriuscite siano gli eventi più evidenti che entrano più facilmente nella coscienza pubblica», l’ambientalista Swing ha detto che in termini di impatto ambientale «le società petrolifere fanno molto cose, anche prima di arrivare al punto di estrarre il petrolio». Swing ha detto: «Ciascuna operazione petrolifera coinvolge migliaia di lavoratori. Stiamo parlando dello sviluppo di piccole città in diverse parti della foresta. Di solito pensiamo che sia un aspetto minore, ma queste sono cose che producono delle conseguenze giorno dopo giorno, e per anni, e hanno un effetto cronico sull’ambiente».
Questi cambiamenti così drastici continuano a condizionare la vita delle comunità indigene, alcune delle quali hanno scelto di vivere in isolamento volontario in alcune parti della foresta ancora oggi incontaminate. Molti hanno combattuto per anni contro le operazioni petrolifere sulle loro terre. Un residente di Yasuní mi ha detto: «Le persone a cui ci opponiamo ci dicono, “se continuate sarete perseguiti”. Questa battaglia non è per me stesso, per i miei genitori o per i miei nonni. È per i nostri figli, per i figli dei nostri figli, perché non debbano vivere in un ambiente contaminato. In caso contrario, cosa dovremmo dire loro? Che stanno soffrendo a causa delle azioni dei loro genitori?».
Una battaglia per la democrazia
Il presidente Correa ha adottato misure contraddittorie in merito, usando la sua leadership quasi autoritaria. Ha dato rifugio al fondatore di Wikileaks, Julian Assange, all’ambasciata londinese dell’Ecuador, mentre limitava la libertà di stampa nel suo paese. Nel 2008 ha approvato la prima Costituzione che riconosceva i “diritti della natura” su un livello simile a quello dei “diritti umani”. Negli anni successivi ha però attaccato diverse ONG e ha chiuso Pachamama, un’organizzazione che diceva di voler difendere i diritti della natura e che si era opposta a un’espansione delle trivellazioni in Amazzonia.
La battaglia per l’ambiente è diventata ancora più accesa a causa della riduzione della libertà di espressione in Ecuador, definita un “trend” dall’organizzazione Freedom House. Documenti interni dell’intelligence ecuadoriana, la Secretaría Nacional de Inteligencia, indicano che «le spie stavano colpendo i gruppi politici e gli individui che cercano di conservare la foresta», ha scritto John Vidal del Guardian. E Correa ha usato milioni destinati al budget dell’intelligence ecuadoriana «per far cancellare dei testi critici verso di lui e la first lady», ha scritto Buzzfeed.
Ivonne Yanez, direttrice della ONG Accion Ecologica, ha detto che come diretto risultato della forte retorica del governo contro gli ambientalisti, «la battaglia per la giustizia relativa a temi ambientali è ora completamente legata al tema della democrazia. Questo governo accusa i leader indigeni di essere dei terroristi e criminalizza i giovani perché protestano contro le politiche ambientali decise dal governo».
I metodi precisi di produzione che userà Petroamazonas nei giacimenti petroliferi di ITT non si conoscono ancora. Sono però già emerse parecchie preoccupazioni, visti i precedenti con il Block 31. Contattata via mail rispetto all’esistenza di una strada nel Block 31, il segretario degli Idrocarburi Fabara ha risposto di essere «molto preoccupata riguardo all’informazione relativa a Petroamazonas e a ITT, visto che riguarda cose che erano vietate nel contratto di lavoro».
Fabara ha detto di avere parlato con Oswaldo Madrid, general manager di Petroamazonas, che era stato messo in copia nella mail. Reported.ly ha invitato Oswaldo Madrid a rispondere alle domande relative all’esistenza della strada, al periodo e al costo necessario per ripristinare l’ambiente naturale della foresta, e ai piani per il Block 43/ITT. Le stesse domande sono state mandate al ministro dell’Ambiente dell’Ecuador. Al momento della pubblicazione di questo articolo non abbiamo ancora ricevuto risposte.
Tratto da www.ilpost.it
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