Rassegna Oblo #2 – Note sulla COP 21 e climate change per difendere la terra

In preparazione della serata “Difendere la terra” del 16 novembre 2015, all’interno di Rassegna Oblò #2, vi proponiamo alcuni materiali sulla COP 21 che si terrà a Parigi e sul tema della mobilitazioni che si terranno nella capitale francese contro il climate change.

APPELLO

Ai primi di dicembre 2015 si riunirà a Parigi la Conferenza sul Clima dell’Onu, COP. Per la ventunesima volta i governi del mondo si riuniranno per discutere dell’inesorabile avanzare del cambio climatico. Si troveranno a discutere non a decidere. Questo è il problema!

Per affermare con forza che non si può più attendere, che cambiare modello di sviluppo non è un optional ma una necessità,
 in tutto il mondo reti, movimenti ambientalisti e sociali stanno cercando di rompere il silenzio.
E’ online un appello, firmato da moltissimi che vi proponiamo di seguito. L’appello è chiaro:sta a noi creare la pressione, le mobilitazioni necessarie per imporre un cambiamento che non verrà certo dall’alto.

Siamo a di fronte a un bivio. Non vogliamo essere costretti a sopravvicere in un mondo che è stato reso invivibile. Dalle isole pacifiche australi alle coste della Louisiana, dalle Maldive al Sahel, dalla Groenlandia alle Alpi, la vita quotidiana di milioni di noi è stata già sconvolta dalle conseguenze del cambiamento climatico. Con l’acidificazione degli oceani, la sommersione degli atolli del Pacifico, la migrazione forzata nel subcontinente indiano come in Africa, le tempeste e gli uragani sempre più frequenti, l’attuale ecocidio colpisce tutte le specie e gli ecosistemi, minacciando i diritti delle futute generazioni. E gli impatti del cambiamento del clima non sono uguali per tutti: le comunità indigene e contadine, quelle più povere nel Sud e nel Nord del mondo sono in prima linea tra le realtà maggiormente colpite dagli impatti dello sconvolgimento climatico.

Non coviamo alcuna illusione. I Governi si sono riuniti per più di 20 anni, ma le emissioni di gas climalteranti non sono diminuite e il clima continua a cambiare. Prevalgono l’inerzia e gli ostacoli, anche se gli avvertimenti della scienza diventano giorno dopo giorno più preoccupanti.

Non è una sorpresa. Decenni di liberalizzazioni del commercio e degli investimenti hanno indebolito la capacità degli Stati di affrontare la crisi climatica. Ad ogni passaggio, forze molto potenti, come le imprese petrolifere, le multinazionali dell’agrobusiness, le istituzioni finanziarie, gli economisti dogmatici, gli scettici e i negazionisti e i Governi alla mercé di questi interessi, mettono i bastoni tra le ruote o propongono false soluzioni. Novanta imprese sono responsabili dei due terzi delle emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale. Ogni risposta concreta al cambiamento climatico minaccia il loro potere e la loro ricchezza, l’ideologia del libero mercato e le strutture e i sussidi che li sostengono e li giustificano.

Sappiamo che le multinazionali e i Governi non rinunceranno ai profitti che accumulano attraverso l’estrazione di carbone, gas e petrolio, e grazie a un’agricoltura industriale alimentata sui combustibili fossili. Ma tuttavia la nostra crescente abilità di agire, pensare, amare, prendersi cura, lavorare, creare, produrre, contemplare, lottare, richiede che noi li costringiamo a recedere. Per essere in grado di continuare a prosperare come comunità, persone e cittadini, dobbiamo lottare per un cambiamento. E’ la nostra comune umanità e la nostra Terra che che lo chiedono.

Siamo fiduciosi nella nostra capacità di fermare i crimini climatici. Nel passato, uomini e donne determinati hanno resistito e sconfitto i crimini della schiavitù, del totalitarismo, del colonialismo e dell’apartheid. Decisero di combattere per la giustizia e la solidarietà e sappiamo che nessuno di loro lo avrebbe fatto per se stesso. Il cambiamento climatico è una sfida simile, e noi stiamo alimentando un’altrettanto simile reazione.

Stiamo lavorando per un cambiamento profondo. Possiamo aprire la via verso un futuro più vivibile e le nostre azioni sono molto più potenti di quanto possiamo pensare. In tutto il mondo le nostre comunità stanno lottando contro i reali responsabili dei cambiamento climatico, proteggendo i territori, lavorando per ridurre le emissioni, costruendo la loro resilienza, raggiungendo l’autonomia alimentare attraverso l’agricoltura ecologica di piccola scala.

Alla vigilia della Conferenza Onu sul clima che si terrà a Parigi – Le Bourget, dichiariamo la nostra determinazione perchè i combustibili fossili rimangano sotto terra. Questa è l’unica via che abbiamo davanti.

In concreto, i Governi devono cancellare i sussidi all’industria dei combustibili fossili e fermare le estrazioni lasciando intatto l’80% delle riserve esistenti.

Sappiamo che questo implica un cambiamento storico. Non aspetteremo che siano gli Stati a renderlo possibile. La schiavitù e l’apartheid non sparirono perchè gli Stati decisero di abolirli. Le mobilitazioni di massa non lasciarono scelta ai leaders politici.

Oggi la situazione è precaria. Abbiamo, tuttavia, un’opportunità unica di rafforzare la democrazia, di smantellare il predominio politico delle grandi imprese, di trasformare radicalmente i nostri modelli di produzione e di consumo. La fine dell’era fossile è un importanto passo verso la società sostenibile e più giusta che desideriamo.

Non sprechiamo questa opportunità, a Parigi come dovunque, oggi come domani.

Adolfo Pérez Esquivel (Prix Nobel de la Paix, 1980), Agnès Sinaï (Institut Momentum), Alberto Acosta (économiste), Alberto Zoratti (Fairwatch Italie), Alex Randall (Climate Outreach), Amy Dahan (Historienne des Sciences), Anabela Lemos (Justica Ambiental, Mozambique), Asad Rehman (Friends of the Earth UK), Ben Lefetey (militant écologiste, Sivens), Bernard Guri (Centre for Indigenous Knowledge & Organisational Development), Bernard Salamand (Président du CRID), Beverly Keene (coordinatrice Diálogo 2000-Jubileo Sur, Argentine), Bill McKibben (fondateur de 350.org), Boaventura de Sousa Santos (sociologue), Brid Brennan (co-fondatrice du European Solidarity Centre for the Philippines & Transnational Institute), Bruno Latour (sociologue, anthropologue et philosophe des sciences), Casey (rappeuse), Catherine Larrère (philosophe), Christophe Bonneuil (historien), Cindy Wiesner (Coordinator of Grassroots, Global Justice Alliance, USA), Claire Fehrenbach (Déléguée Générale d’Oxfam France), Claire Nouvian (Bloom), Claude Lorius (glaciologue), Clive Hamilton (philosophe), David Graeber (anthropologue), Denez L’Hostis (Président de France Nature Environnement), Desmond Tutu (archevêque émérite), Dominique Bourg (philosophe), Dominique Méda (sociologue), Edgardo Lander (sociologue), Eduardo Viveiros de Castro (anthropologue), Emem J. Okon (Kebetkache Women Development & Resource Centre, Nigeria), Emmanuel Poilane (Fondation France Libertés), Emilie Hache (philosophe), Eric Guilyardi (climatologue), Erri de Luca (écrivain), Esperanza Martinez (ancienne ministre de la Santé publique du Paraguay), Esther Vivas (chercheure et militante altermondialiste), Faikham Harnnarong (Coordinator, Thai Climate Justice Working Group- Thailand), Fiona Dove (directrice du Transnational Institute), François Gemenne (politiste), Frank Murazumi (Amis de la Terre Ouganda), Frédéric Ferrer (metteur en scène), Gaël Giraud (économiste), Geneviève Azam (économiste), George Monbiot (journaliste), Gerry Arrances (militant anti-charbon), Gilles Boeuf (président du MNHN), Gilles Clément (paysagiste), Gilles-Éric Séralini Godwin Ojo (Amis de la Terre, Nigeria), Gus Massiah (Cedetim), Guy Aurenche (président du CCFD), Isabelle Frémeaux (Laboratoire des Imaginaires Insurrectionnels), Isabelle Stengers (philosophe), Jacques Testart (biologiste), Jagoda Munic (Amis de la Terre Croatie – Amis de la Terre International), Jean-Baptiste Fressoz (historien), Jean-Pierre Dupuy (philosophe), Jean Gadrey (économiste), Jean Merckaert (Revue Projet), Jeanne Planche (Attac France), John Holloway (sociologue et philosophe), Joan Martinez Alier (économiste), John Jordan (Laboratoire des Imaginaires Insurrectionnels), Jon Palais (Bizi !), Josie Riffaud (Confédération paysanne), Juan Tortosa (Coordination Climat et Justice Social, Suisse), Julien Rivoire (FSU), Jutta Kill (militante écologiste), Kaddour Hadadi (musicien et chanteur, HK et les Saltimbanks), Kevin Smith (Liberate Tate), Kumi Naidoo (Greenpeace International), Larry Lohmann (The Corner House), Lech Kowalski (réalisateur), Leonardo Boff (théologien), Lidy Nacpil (Jubilee South), Mamadou Goïta (Institut de recherche et de promotion des alternatives au développement, Mali), Louise Hazan (350.org), Lyda Fernanda, (Economiste, Colombie, Transnational Institute), Marc Dufumier (agronome), Marc Luyckx Ghisi (écrivain), Marc Robert (chimiste), Marie-Monique Robin (journaliste), Martin Vilela (Plateforme Bolivienne contre le changement climatique), Matthieu Orphelin (porte-parole de la Fondation Nicolas Hulot pour la nature et l’Homme), Matthieu Ricard (moine bouddhiste), Maude Barlow (Food & Water Watch), Maxime Combes (économiste, membre d’Attac), Naomi Klein (essayiste), Michael Hardt (philosophe), Michael Löwy (sociologue), Mike Davis (historien et sociologue), Nicolas Haeringer (350.org), Nicolas Hulot (président de la Fondation Nicolas Hulot pour la nature et l’Homme), Nick Dearden (Global Justice Now), Nnimmo Bassey (Oil Watch International), Noam Chomsky (linguiste et philosophe), Nick Hildyard (The Corner House), Noble Wadzah (Oil Watch Afrique), Olivier Bétourné (éditeur), Olivier de Schutter (juriste), Pablo Servigne (collapsologue), Pablo Solon (ancien ambassadeur de la Bolivie), Pascoe Sabido (Corporate Europe Observatory), Pat Mooney (ETC Group), Patrick Chamoiseau (écrivain), Patrick Viveret (philosophe), Paul Lannoye (ancien député européen), Philippe Bihouix (ingénieur), Philippe Desbrosses (Intelligence Verte), Philippe Descola (anthropologue), Pierre Perbos (Président du Réseau Action Climat – RAC), Pierre Rabhi (agronome et penseur de l’écologie), Pierre-Henri Gouyon (écologue), Priscilla Achakpa (Water Supply and Sanitation Collaborative Council, Nigéria), Razmig Keucheyan (sociologue), Rebecca Foon (musicienne), Richard Girard (Polaris Institute), Roger Cox (avocat), Saskia Sassen (sociologue), Serge Latouche (économiste), Soumya Dutta (Alliance nationale des mouvements anti-nucléaires, Inde), Stefan C. Aykut (politiste), Susan George (politologue), Swoon (artiste), Thomas Coutrot (économiste, porte-parole d’Attac), Tom Kucharz (Ecologistas en Accion, Espagne), Tony Clarke (International Forum on Globalization), Txetx Etcheverry (Alternatiba), Valérie Cabannes (End Ecocide), Valérie Masson-Delmotte (climatologue), Vandana Shiva (physcienne et écologiste), Vincent Devictor (écologue), Vivienne Westwood (styliste), Yeb Saño (ancien ambassadeur des Philippines pour le climat), Yvonne Yanez (Oil Watch).

ARTICOLO NAOMI KLEIN

“La crescita ad ogni costo sta uccidendo il pianeta. La rivoluzione non è piu una questione ideologica. È una questione di sopravvivenza”. In questo scenario, solo “una fede incrollabile nell’uguaglianza dei diritti di ogni persona […] separeranno la civiltà dalla barbarie.”
Naomi Klein

Ad aprire, il 16 novembre alla Multisala Astra, la seconda serata di Oblò, in collaborazione con Legambiente, sarà un intervista esclusiva con Naomi Klein studiosa, gior­na­li­sta e atti­vi­sta, autrice di “No Logo”, “Shock Economy” e dell’ultimo libro Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è più sostenibile, uscito nell’autunno scorso.

Nel suo ultimo lavoro Naomi Klein affronta in maniera approfondita la centralità dei cambiamenti climatici nel nostro futuro e la necessità di non girare lo sguardo ma di affrontare la realtà.

A poche settimane dalla riunione della Cop21 rileggere il libro di Naomi Klein diventa uno strumento essenziale per capire cosa sarà in gioco a Parigi.
Non si tratta di scelte secondarie o di semplici ritocchi. C’è necessità di un cambio di marcia, di strutturare in altra maniera la convivenza sociale complessiva. Di una visione diversa della strada da intraprendere. Di politiche attuate dalle istituzioni ad ogni livello, locale e generale, accompagnate dalla costante pressione della società.

Naomi Klein ne parla in un articolo pubblicato da The Daily Best, commentando positivamente le elezioni nel suo paese, il Canada, che hanno visto la vittoria di Justin Trudeau, schierato per una diversa poltica energetica, contro Stephen Harper, sostenitore del mega oleodotto Keystone, del fracking e dell’estrattivismo, fortemente contestato da movimenti indigeni, ambientali e sociali.
“Queste vittorie elettorali non sono sufficienti. Il potere della gente può fermare grandi progetti devastanti ed avviare piccoli progetti puliti. Ma per una vera transizione – della grandezza e dell’urgenza segnalata dalle scienze climatiche – abbiamo bisogno di politiche. Grandi, audaci, politiche ambiziose in grado di trasformare le nostre economie con una precisa scadenza. Ne abbiamo bisogno ad ogni livello di governo, dal quello comunale a quello nazionale ed internazionale.
Per arrivarci, non sarà sufficiente abbattere i governi dei combustibili fossili. Anche leader progressisti non saranno sufficienti. Ci vorrà una combinazione di cambiamento elettorali e di pressione dal basso (così come di visione) per disperdere lo smog dell’influenza delle Big company del carbone, che avvolge i nostri sistemi politici.
Significa che abbiamo bisogno di politiche che galvanizzino un numero enorme di persone, che vedano benefici diretti nel difendere un tale cambiamento, una generale trasformazione. Questo è l’unico modo per costruire le enormi coincidenze necessarie per esercitare la pressione sufficiente sui governi”. 
Per questo movimenti sociali, ambientali, indigeni, intellettuali e cittadini hanno sottoscritto in Canada The Leap Manifesto.

Tutto questo in gioco a Parigi con la Cop21.
Per essere protagonisti del nostro futuro bisogna inanzittutto non girare lo sguardo, comprendere che lo scenario non consente più ambiguità.
Centrare il problema: la lotta al cambiamento climatico, perchè finisca l’epoca dell’estrattivismo e del saccheggio, come orizzonte per la conquista di un nuovo modello di relazioni basato sulla giustizia sociale e ambientale, di un alternativa per migliaia di uomini e donne, che vivono con la disperazione della migrazione gli effetti della devastazione di interi territori che si intreccia con i moderni conflitti di potere.

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