Tunisia – L’alternativa contro integralismi ed autoritarismi

In questi giorni caotici e densi di avvenimenti drammatici da Parigi a tutto il Medioriente e non solo, ci sembra importante offrire una carrellata di informazioni dal Paese dei Gelsomini.
Sono notizie tra loro diverse ma che ci dimostrano quanto complessa ed al tempo stesso fondamentale sia la lotta che giovani, attivisti ed anche pezzi di popolazione continua a portare avanti per non esser schiacciata dall’integralismi da un lato e dall’autoritarismo dall’altro.
Le notizie che vi segnaliamo partono dal clima politico complessivo nel paese, passando per la presenza feroce ed inquitetante dei locali gruppuscoli dell’integralismo islamico nel sud del paese al confine con l’Algeria, arrivando ai continui attacchi repressivi nei confronti dei giovani attivisti,blogger etc .. e alla libertà d’informazione.

In questi giorni la Tunisia è attraversata anche da una crisi istituzionale dovuta alla scelta di 31 deputati, in quota Nida Tunes di lasciare il partito per contrasti interni. Questo scenario porterebbe al fatto che gli islamici di Ennadah tornerebbero ad essere il partito di maggioranza relativa. Una situazione dunque nei piani alti del paese non certo stabile.

Lo stesso giorno dell’attentato a Parigi anche nel sud della Tunisia sulle montagne sopra Sidi Bouzid è stato compiuto un atto di terribile brutalità per mano dei terroristi Jihadisti nei confronti di un giovane pastore. Mabrouk Soltani un pastorello sedicenne si era rifiutato di vendere le capre ai terroristi per questo è stato decapitato sotto gli occhi del cugino, che poi è stato costretto a portare la testa ai genitori. Questa è la situazione che emerge dalle montagne a sud della tunisia dove i terroristi che hanno campi d’addestramento stanno pian piano allargando le loro fila approfittando della povertà e della paura della popolazione locale, che nonostante questo cerca di resistere.

la macabra storia viene raccontata dal cugino Nessim Soltani ai microfoni di Radio Bullets,

Una storia emblematica
Il Rapper Klay BBJ Ancora una Volta sotto chiave
Scritto da Lina Ben Mhenni Il 19 ottobre 2015 In International

L’arresto, sabato scorso, del rapper Ahmed Ben Ahmed, alias Klay BBJ, e con lui di altri due rapper e una terza persona, ha di nuovo infiammato il dibattito sulla riforma della legge 52. Questa legge che riguarda gli stupefacenti è entrata in vigore nel 1992 ed è stata fonte della distruzione di migliaia di vite di giovani tunisini che si sono trovati dietro le sbarre per avere fumato un “joint”. La legge °92-52 impiegata soprattutto per far tacere la voce dei dissidenti, è meglio conosciuta con il nome legge 52 che è una delle leggi più repressive del regime di Ben Ali. Il testo promulgato il 18 maggio 1992 prevede una pena che va da 1 a 5 anni di prigione e da 1000 a 3000 dinari d’ammenda per la consumazione o la detenzione personale di piante o sostanze stupefacenti. Questa legge non prevede nessuna attenuante. Inoltre la messa in opera di questa legge apre la via a diversi abusi da parte della polizia in particolare maltrattamenti, ricatti e corruzione.
L’arresto non avviene solamente in flagranza di reato. La consumazione è spesso provata attraverso l’esame dell’urina che molte volte apre le porte a delle falsificazioni e tutto ciò avviene in una condizione che non rispetta in alcun modo la dignità e l’integrità umana.
Questo lunedì 19 ottobre 2015, Klay BBJ, conosciuto per i suoi testi violenti nei confronti del sistema e della polizia, ha rifiutato di sottomettersi al test dell’urina. Secondo sua madre, Klay non è stato colto in flagranza di reato. Nessun stupefacente gli è stato trovato addosso. Quando è stato arrestato aspettava tranquillamente nella macchina che l’avrebbe portato a Hammamet per animare un concerto privato.
Klay BBJ ha inoltre spiegato che il suo rifiuto all’esame dell’urina è stato un gesto di solidarietà per i migliaia di giovani che sono stati obbligati a subire il test, facilmente falsificabile e perché tiene al rispetto della sua integrità e della sua dignità d’essere.
Bisogna ricordare che Klay BBJ era già stato condannato nel 2013 a 21 mesi di carcere nella prima istanza poi prosciolto in appello per un caso d’oltraggio a pubblici ufficiali in esercizio delle loro funzioni. I poliziotti l’hanno arrestato con un secondo rapper Weld el 15 sul palco del festival di Hammamet, il festival pubblico nel quale si sono verificati in fatti.
Le diverse promesse di riformare la legge in questione, riconosciuta come repressiva sono state date durante la campagna elettorale del 2014, specialmente dal Presidente della Repubblica in esercizio. Il governo ha preparato un nuovo testo di legge nel maggio 2015 ma questo testo rimane tuttora un’istanza.

Tratto da Le blog de Lina su mondafrique.info.

In Tunisia, la libertà di stampa si erode sul fondo delle paure per la sicurezza

La libertà di stampa, che è stata duramente guadagnata in Tunisia, è ormai minacciata. Infatti la maggior parte dei giornalisti si trovano oggi stretti nella morsa della violenza degli estremisti e dall’ipersensibilità alle critiche dei servizi di sicurezza. Mentre i militanti islamici minacciano i media, il governo introduce una legislazione restrittiva e le forze di sicurezza tormentano aggrediscono in tutta legalità i giornalisti. In questo clima ancora più esasperato per le controversie relative alla regolamentazione, certi organi di stampa sono ricorsi all’autocensura.

La Tunisia ha ispirato le rivolte popolari che hanno infuocato il mondo arabo nel 2011. Oggi la Tunisia è portatrice di speranza per la costruzione di una democrazia stabile, nel momento in cui la maggior parte dei suoi vicini sono colpiti da repressioni brutali o sono sprofondati in conflitti armati. Il paese ha superato sfide importanti grazie ad un compromesso politico tra le parti laiche e quelle religiose, facilitando così l’adozione di una costituzione progressista nel 2014 e l’organizzazione di elezioni libere ed uguali. I tunisini hanno lottato senza rilassarsi per mantenere le conquiste della rivolta popolare nell’ambito dei diritti civili, politici e umani, specialmente per quanto riguarda libertà di stampa.

Ma queste conquiste duramente guadagnate in materia di libertà di stampa si sono erose e sono sempre più minacciate dopo i due maggiori attentati terroristici perpetrati quest’anno, che hanno ucciso più di 60 persone e hanno aumentato il timore per la sicurezza. Dopo questi attentati, il governo ha introdotto una nuova legislazione che potrebbe essere usata per ridurre i media al silenzio. I servizi di sicurezza sono sensibili alle critiche, ciò porta alla molestia giuridica dei giornalisti che hanno mosso delle critiche, ma anche a delle aggressioni fisiche e a delle minacce contro coloro che esercitano la loro funzione di giornalisti. I giornalisti vengono minacciati anche dagli estremisti islamici e la stampa è nella morsa dei i terroristi e di coloro che vogliono lottare contro il terrorismo.

Le controversie in materia di regolamentazione in un contesto politico teso, il rifiuto di alcuni proprietari dei media e dei redattori di pubblicare delle inchieste o dei commenti critici hanno ristretto ancora di più la capacità dei giornalisti tunisini d’esercitare il loro lavoro.
Altre due misure legislative prese dal governo hanno suscitato inquietudine. La prima è stata fatta il 3 luglio dal progetto della Legge fondamentale sul diritto d’accesso all’informazione, che è stata redatta e sostenuta da dei gruppi della società civile e fatta in collaborazione con il Parlamento. Questa legge mira facilitare le garanzie costituzionali “del diritto all’informazione e del diritto d’accesso alle risorse informatiche e di comunicazione” Il governo non ha motivato questo improvviso cambiamento.
La seconda è l’introduzione fatta dal governo il 10 aprile ad un progetto di legge intitolato “Repressione degli attacchi contro le forze armate” che criminalizza la “diffamazione” della polizia o di altre forze di sicurezza. Questa legge comprende una pena in prigione di 10 anni e un’ammenda di 25 00 USD per le persone riconosciute colpevoli di divulgare i “segreti della difesa”.

Per quanto riguarda la violenza nei confronti dei giornalisti da parte delle forze di sicurezza tunisine ci sono numerosi casi di violenza fisica o di minacce al fine d’intimidire i giornalisti. La maggior parte delle aggressioni avvengono affinché i media coprano delle manifestazioni antigovernative o degli attentati terroristici, ha dichiarato Dhaouadi al CPJ.

Il Centro di Tunisi per la libertà di stampa ha documentato 277 casi d’aggressione contro I giornalisti nel 2014, ma nessuno di questi è stato perseguito, nonostante le numerose testimonianze e i rapporti medici.
Un esempio di questi numerosi casi di violenza riguarda sei giornalisti che lavorano nel canale televisivo Al-Wataniya e Al-Mutawasit e nella stazione radio Shems FM sono stati fisicamente aggrediti, uno è stato colpito al viso e minacciato con delle armi dalle forze di sicurezza il 18 febbraio, secondo il Centro di Tunisi per la libertà di stampa. Queste aggressioni hanno avuto luogo mentre i giornalisti facevano il loro reportage su un attacco perpetrato dai militanti ad un posto di blocco nella regione centrale di Kasserine che ha causato la morte di quattro poliziotti.

Tuttavia, le minacce alla sicurezza dei giornalisti non proviene solamente dalle forze di sicurezza, ma anche dagli estremisti. Il giornalista Soufiane Ben Farhat, che scrive articoli politici per il quotidiano La Presse, è stato minacciato di morte da alcuni individui che secondo lui sono affiliati a dei gruppi estremisti radicali, che si sono presentati a casa sua, che l’hanno chiamato al telefono e che gli hanno inviato dei messaggi di minaccia online. Il comportamento delle forze di sicurezza e del potere giudiziario di fronte a queste minacce è indulgente infatti il giornalista dichiara di non essere mai stata informato sul risultato delle indagini o del procedimento effettuato in seguito alla denuncia di queste minacce alla polizia.

Il portavoce del Ministro degli Interni, Loukani, ha dichiarato al CPJ che tutti i giornalisti minacciati sono messi sotto protezione, compreso Ben Farhat, e ha evitato di fare commenti sulle accuse che mettono in discussione la capacità delle autorità di proteggere i giornalisti.

I giornalisti si trovano intrappolati, fra le forze governative e i gruppi estremisti che si sono giurati guerra, tutto ciò non può che avere un effetto negativo sulla libertà di stampa, mettendo da una parte pressione sugli organi di stampa affinché dimostrino la loro alleanza con il governo e incoraggiando dall’altra parte i giornalisti a coprire certe storie, anche se sarebbero potute essere d’interesse pubblico. L’atmosfera di minaccia legislativa e l’impunità degli attacchi nei confronti dei giornalisti da parte delle forze di sicurezza e di altri attori, sembra avere un effetto paralizzante in alcuni organi di stampa, tanto che certi redattori e certi proprietari dei media sono reticenti a pubblicare o diffondere dei reportage critici.

Jihene Laghmari, Imen Hamdi e Basma El Waer, tre giornalisti che lavorano per il quotidiano privato Attounissia, hanno organizzato un sit-in il 4 maggio per protestare contro ciò che loro chiamano l’estrema censura e pressione imposta dai loro redattori. (Dopo tre giorni sono state avviate le trattative tra i rappresentati del sindacato dei giornalisti e il proprietario del giornale che hanno definito un accordo volto a migliorare lo statuto professionale e le condizioni di lavoro degli impiegati dell’organizzazione).

In questo periodo, la regolazione della radiodiffusione tunisina è al centro di una bufera che ha diviso gran parte della comunità dei giornalisti. L’Alta autorità indipendente della comunicazione audiovisiva (HAICA), che si occupa di regolamentare i canali tunisini di radio e televisione, suscita controversie dalla sua creazione nel maggio 2013.
La HAICA, che è incaricata di fare rispettare una separazione fra i partiti politici e la proprietà degli organi di stampa, si compone di nove membri del consiglio che è nominato da sei organismi: il potere legislativo, il potere esecutivo, la magistratura, l’organizzazione dei giornalisti, le organizzazioni che rappresentano le professioni non giornalistiche nel settore dei media, l’organizzazione dei proprietari degli organi di stampa e di comunicazione. Le regole della HAICA impediscono ai titolari della licenza e a coloro che dirigono organi di stampa di diventare anche membri di partiti politici.

Certi imprenditori dei media che sono anche membri di partiti politici e hanno rinfacciato che queste regole limitano la loro libertà d’espressione, inoltre l’imparzialità della HAICA è stata rimessa in discussione da più organi di stampa e partiti politici locali.
La HAICA è stata ancora più indebolita dalle dimissioni di quattro membri quest’anno ed anche l’anno scorso, con la motivazione che l’organizzazione non rispetta il pluralismo e la diversità e prende decisioni che minacciano l’indipendenza degli organi di stampa. Con tutte le ultime dimissioni d’aprile, il numero dei membri dell’HAICA è passato ad una quota insufficiente per funzionare e il governo è intervenuto attraverso un decreto per designare tre nuovi membri.

Il parlamento ha deciso di modificare la legge che regola l’HAICA e i suoi membri e rimpiazzare l’organizzazione con un nuovo organismo in cui i membri saranno eletti dal parlamento, ma il momento della redazione di questo articolo non si sa esattamente quando avrà luogo.

Nel momento in cui bisogna affrontare le sfide reali e crescenti in materia di sicurezza, il governo tunisino deve trovare il giusto mezzo tra la protezione dei cittadini e la conservazione di ciò che è stato acquisito dalla rivoluzione. Il governo dovrà lavorare con l’opposizione e la società civile per fare in modo che le nuove leggi siano all’altezza della costituzione progressista e delle norme internazionali. La propensione del governo a reagire alle minacce terroriste con misure che attentano alla libertà di stampa, fra altri diritti, non fa che mettere i giornalisti in pericolo e privare potenzialmente il pubblico d’informazioni vitali. Attraverso l’eliminazione di minacce legislative, la lotta contro l’impunità degli attacchi contro i giornalisti, e la collaborazione con la sua società civile impegnata, il governo tunisino può contribuire largamente a mantenere un clima propizio alla libertà dei media ed a una società sana.

Tratto da www.cpj.org – Committee to Protect Journalist


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