Popoli nativi in marcia contro gli oleodotti di Trump

Washington, dopo l’enorme Marcia delle donne, il 10 marzo sarà teatro della Marcia #risewithstandingrock, promossa dagli indiani Sioux.

I popoli nativi, i “protettori dell’acqua” saranno di nuovo in Piazza, capeggiando le proteste contro le scelte energetiche di Trump, dopo essere stati i protagonisti della lotta e della vittoria per impedire la costruzione del Dakota Access Pipleline lo scorso anno.

Infatti tra le prime decisioni dell’era Trump, oltre alle odiose misure antimigranti, la firma per autorizzare i lavori per gli impianti maggiormente criticati nel continente americano in materia di produzione energetica: gli oleodotti Dakota Access e Keystone XL.
Si tratta di progetti al centro di proteste ampie e radicali che hanno costretto l’amministrazione Obama ha siglarne lo stop.

La riapertura dei cantieri da parte dell’Amministrazione Trump rappresenta il simbolo materiale di quanto il magnate americano, nell’epoca che Naomi Klein definisce “Colpo di Stato delle Corporations”, ha sostenuto in campagna elettorale: il cambio climatico è un invenzione dei cinesi, ergo possiamo continuare nelle scelte energetiche del passato senza neanche un minimo di dubbio.
Un appoggio diretto ed incondizionato alla lobby negazionista del cambio climatico e ai vecchi e nuovi oligarchi, locali ed internazionali, dell’estrattivismo.

Le proteste, che hanno portato a bloccare nell’era di Obama gli oleodotti, non riguardavano solo l’impatto negativo di queste strutture, ma metteveno sotto accusa un’intero sistema energetico, di saccheggio delle risorse e devastazione ambientale, che è alla base del cambiamento climatico.
Di fronte all’arroganza di Trump la sfida è stringente: cambiare il sistema e non clima.
Un’alternativa secca, epocale e globale. Per questo quello che accadrà dall’altra parte dell’oceano, ci riguarda e davvero molto.

Dakota Access Pipeline

E’ un oleodotto sotterraneo, del costo complessivo di 3,7 miliardi di dollari, costruito per portare il petrolio dalla Bakken Formation – una zona al confine tra Montana e North Dakota, due stati degli Stati Uniti che confinano con il Canada – fino all’Illinois, attraversando il South Dakota e l’Iowa. I lavori non erano ancora stati ultimati poiché Obama aveva accettato di far cambiare il percorso all’oleodotto: il percorso originario era stato causa di numerose proteste da parte degli Sioux, una delle più importanti tribù di nativi americani risiedenti nella riserva di Standing Rock. L’oleodotto, infatti, doveva inizialmente passare sotto il letto del fiume Missouri, comportando notevoli rischi per l’ambiente.

Keystone XL

Tratto dell’oleodotto Keystone, che avrebbe dovuto attraversare Montana, South Dakota e Nebraska. Anche questo proggetto era stato sospeso dall’ex presidente. Sollecitato da gruppi di ambientalisti, aveva voluto evitare l’inquinamento del lago Oahe, situato tra South e North Dakota, da cui dipendono i circa 8.000 membri della tribù e milioni di altri cittadini americani che abitano più a valle.
Successivamente la discussione intorno al Keystone XL era diventata soprattutto una questione di principio, tra i sostenitori della produzione petrolifera statunitense e quelli delle fonti energetiche rinnovabili.

Reazioni politiche contrarie

“In un momento in cui la comunità scientifica è praticamente unanime nel dirci che il cambiamento climatico è reale, ed è causato da attività umane, che stanno già causando problemi devastanti, non possiamo permetterci di costruire nuovi oleodotti che ci costringono a bruciare combustibili fossili per gli anni a venire. Farò tutto il possibile per fermare questi oleodotti e proteggere il nostro pianeta per le generazioni future” ha dichiarato in una nota il Senatore Bernie Sanders, candidato alle primarie democratiche, il quale ha accusato Trump di “ignorare la voce di milioni di persone e mettere gli interessi dell’industria fossile davanti al futuro del pianeta”.

“Mentre paesi come la Cina e la Germania continuano a fare progressi nella loro transizione dall’energia sporca del passato, questa azione fa regredire i progressi che abbiamo fatto, ” ha detto il senatore Brian Schatz (D-Hawaii) in un comunicato.
Il cambiamento climatico è la sfida della nostra generazione, e abbiamo bisogno di guardare verso nuove politiche per sostenere l’energia pulita,” Schatz ha continuato. “Il Keystone XL ed il Dakota semplicemente non sono nel nostro interesse nazionale“.

Il Canada è a favore

A favore del progetto c’è invece Justin Trudeau, il primo ministro del Canada, che, parlando ai giornalisti a Calgary, ha detto di aver discusso degli oleodotti due volte con Trump dopo le elezioni di novembre. “In entrambe le conversazioni che ho avuto con il presidente Trump, il Keystone è stato uno degli argomenti sui quali ho ribadito il mio sostegno perchè conduce alla crescita economica ed a buoni posti di lavoro per gli abitanti dell’Alberta”

Cresce la protesta

All’indomani della firma di Trump ci sono state proteste contro la ripresa dei lavori degli oleodotti. A New York i cittadini hanno marciato sotto la Trump Tower in segno di protesta con lo slogan: “You can’t drink oil, even in the soil”.

Anche l’attrice e attivista Jane Fonda ha partecipato alla manifestazione, definendolo “il predatore in capo” e avvertendo del pericolo per l’ambiente di fuoriuscite di petrolio.

La protesta più “rumorosa” però, si è tenuta nella riserva di Standing Rock. I manifestanti, tra i quali erano presenti anche 2000 veterani, non si sono fatti intimidire dalle temperature, che nei siti dei cantieri, sono scese anche sotto lo zero.

Le forze dell’ordine hanno risposto piazzando nella zona dei lanciamissili per controllare e intimidire i manifestanti.
“Andando avanti, il nostro obiettivo finale è di bloccare il progetto attraverso processi legali“, ha dichiarato la tribù Sioux di Standing Rock in un comunicato pubblicato su Facebook, dove l’hashtag #NoDAPL è diventato virale durante l’estate.

Dave Archambault II, presidente della Standing Rock Sioux Tribe afferma che “Questa mossa è legalmente discutibile, nella migliore delle ipotesi”.
Trip Van Noppen, presidente di Earthjustice, ha detto in una dichiarazione: “Trump deve prepararsi a fare i conti con le leggi che sta violando, ed i milioni di americani che si oppongono a questi progetti pericolosi e distruttivi. Vedremo la sua amministrazione in tribunale.

Una delle figure più significative che ha preso parola e dato voce alle proteste è stata Winona LaDuke, attivista, saggista, economista e donna politica statunitense, candidata due volte alla vicepresidenza degli Stati Uniti d’America.
Winona sostiene che se il progetto sarà avviato aumenterà anche la repressione.

La tribù di Standing Rock ha presentato una richiesta di ingiunzione sulla costruzione degli oleodotti, alla quale si unirà anche Honor the Earth , l’associazione di cui fa parte Winona. “Dobbiamo tutti lavorare insieme. Siamo molto lieti di vedere che l’International Indian Treaty Council ha presentato l’azione presso le Nazioni Unite!”

… per tutti l’appuntamento è il 10 marzo a Washington!


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