Per il 27 marzo a Parigi dalle reti dei Sans papier è stata convocata una manifestazione europea per affermare che le nuove politiche sull’immigrazione e l’asilo politico, decise oltre gli stati nazione del Trattato di Amsterdam, non possono restringere i diritti di cittadinanza ma devono ampliarli.
Decidiamo di lanciare la partecipazione al corteo e l’attraversamento delle frontiere, in teoria inesistente per noi cittadini europei, conquistando il nostro diritto a viaggiare liberamente in treno per l’Europa. Con noi ci saranno due delegazioni particolari una che proviene dai confini all’est e l’altra di cittadini albanesi, gli stessi che avevamo incontrato alcuni mesi prima e con cui avevamo sottoscritto il Patto di Valona.
La richiesta del treno per Parigi viene sottoscritta da decine di esponenti politici, il sindacato COMU pur impegnato in uno sciopero, decide di garantire il servizio per i manifestanti, così come dalla Francia arrivano prese di posizione a sostegno dell’iniziativa.
Saliamo nei treni da tutta Italia.
Arriviamo a Ventimiglia proprio la notte in cui iniziano i bombardamenti nei Balcani.
A Ventimiglia, dopo alcune ore di inutili trattative decidiamo di partire a piedi. Arriviamo al confine sotto una pioggia battente. Ad aspettarci centinaia di poliziotti francesi. Il confine è chiuso per noi. A niente valgono le proteste da un lato e dall’altro. Il libero transito per i cittadini europei si dimostra una falsità. Non solo le frontiere diventano muri invalicabili per i cittadini migranti ma anche per i cittadini europei. Siamo indesiderati perché troppo scomodi.
Torniamo indietro, ancora sotto la pioggia. Non è certo una bella sensazione ma mentre camminiamo cresce anche la rabbia non tanto per noi stessi quanto contro quelle frontiere che ogni giorno spezzano vite umane e contro tutte le ipocrisie che le sostengono.
Diario Il Tunnel della frontiera
Piove, piove, piove … all’inizio è la determinazione che muove i nostri passi. Poi la fretta di raggiungere le frontiere. Abbiamo lasciato il treno a Ventimiglia, non c’era verso di venirne a capo. Quando arriviamo la frontiera è illuminata dal blu delle luci della polizia francese, si intravedono i cavalli di frisa, gli scudi, gli elmetti.
Una delegazione va in avanscoperta, orna, “non ce n’è”. Andare avanti sembra impossibile, restiamo in un tunnel, l’ultima galleria prima della frontiera. Qualcuno cerca di accendere un fuoco. Dalle radioline che abbiamo arrivano le notizie dei bombardamenti in Serbia. E come se le luci blu alla frontiera fossero lo specchio dei bombardieri che partono: l’Europa della negazione dei diritti che bombarda in nome dei diritti.
Le ore passano e “non ce n’è” … o ci lanciamo verso quella marea di poliziotti armati o rielaboriamo tutta la vicenda. Non è facile ma decidiamo di tornare indietro.
Nel fare i chilometri a ritroso proviamo in parte quella che può essere la sensazione di migliaia di esseri umani che arrivano al confine e lo trovano chiuso. Ma mentre per noi è solo una tappa, una scadenza che serviva per denunciare l’Europa che non vogliamo, per loro è tutto: il futuro, la vita, la possibilità d’esistere.