Iran – Cosa c’è dietro le scene dell’Accordo di Vienna.

L’accordo di Vienna, che in poche parole prevede per l’iran la limitazione del programma nucleare ed il suo orientamento pacifico, sotto il controllo dell’Agenzia atomica internazionale In cambio della fine delle sanzioni economiche e dell’embargo sulle armi e i missili nel giro di 5 e 8 anni. è una degli avvenimenti contemporanei che più rappresentano il groviglio della situazione globale.

Attorno al tavolo di Vienna volteggiano tutte le contraddizioni, i legami intrecciati che si muovono intorno alla ridefinizione geopolitica che viaggia all’Africa all’Asia.
Viviamo in un tempo dove non c’è una potenza egemone globale, artefice del bene e del male. Le istituzioni internazionali di certo non possono dettar legge, basta pensare alla situazione dell’Onu o alla simmetria variabile del grandi vertici (G8, G7, G2, G20 etc..) che si modifica a seconda delle contingenze. Ed anche alla “crisi” che si intravede perfino per grandi apparati come la concorrenza con il FMI da parte di una struttura analoga è in gestazione da parte dei BRICS.
Siamo però anche nel tempo del mercato unico del capitalismo finanziario con l’implacabile logica del “denaro che produce denaro” di cui tutti, vecchie e nuove potenze, vogliono far parte ed in cui si misurano, al di là della crisi delle formali sovranità nazionali.

Dietro il pre e post Vienna ci sta l’emergere visibile dello scontro tra Iran e Arabia Saudita ed anche Turchia per il predominio geopolitico dell’area. Ci stanno le scelte d’Obama di aprirsi a nuove geometrie di relazioni con il problema di non inficiare le vecchie. Ci sta il ruolo della Russia che su questo tavolo gioca per avere un ruolo che la rimetta al centro della politica internazionale dopo le forzature della vicenda Ucraia. Ci sta il balbettio, determinato da interessi diversi e a volte contrapposti tra i vari paesi membri, dell’Europa. Ci sta anche la Cina che non disdegna lo scacchiere dell’area per i propri interessi economici..

Tutto questo nello scenario segnato dalla presenza spettrale del Califfato, attrattivo per il “farsi stato”, di conflitti, ammantati di furore sacro, come lo scontro tra sciti e sunniti, che dimostrano come le religioni “oppio dei popoli” si siano trasformate nella “cocaina e l’amfetamina” di barbarie continue. Uno scenario in cui l’islam poltico, cioè l’idea che la struttura sociale debba basarsi sui dettami religiosi, continua il suo dispiegarsi nefasto sia nella variabile moderata che in quella integralista. Non ultimo uno scenario di nuovi autoritarismi, presentati come baluardo della sicurezza come si vede bene in Egitto.

Interi territori dalla Siria all’Iraq, dalla Somalia al Pakistan, alla Libia squassati da conflitti in cui i molti attori palesi ed occulti giocano il loro risiko devastando vite e contesti sociali. Una situazione che si accompagna alle migrazione dovuti ai conflitti e alla distruzione e saccheggio ambientale e delle risorse.

Per tutto questo comprendere, cogliere l’intensità e assoluta drammatica modernità di quel che sta avvenendo è fondamentale per agire dove si vive ma anche per allacciare realazioni e rapporti con chi prova ad immaginare un futuro diverso, come i curdi in Rojava e non solo, come gli attivisti, molte volte perseguitati, delle realtà di base ni paesi arabi, africani ed asiatici.

Di seguito vi proponiamo un articolo curato da Ivan Grozny sulla situazione dei curdi in Iran ed un articolo della redazione di Nena News sulla reazione di Israele e Arabia Saudita all’Accordo di Vienna.

Vi consigliamo la lettura di Limes in particolare i volumi:
“La radice quadrata del caos” dedicato all’origine dell’esplosiva instabilità mediorientale, analizzando rivalità e conflitti tra le principali potenze regionali: Iran, Arabia Saudita, Israele e Turchia.

I diritti negati ai curdi in Iran
di Ivan Grozny

“Ci sono dodici milioni di curdi in Iran che sono costretti a vivere in condizioni molto difficili, sia per quanto riguarda l’aspetto economico che quello dei diritti umani. Sono impegnati solo in mestieri umili, quelli che riescono a trovare un impiego. Molti lavorano la terra e sono impiegati nelle campagne ma pensare di fare carriera o occupare posti di rilievo è impensabile.

Il PJAK (Free Life Party of Kurdistan) è l’unica forza politica che è impegnata nel difendere i diritti dei curdi, ma naturalmente è un partito illegale. La Repubblica Islamica giudica tutti coloro che portano avanti le vertenze dei curdi come dei traditori e questo implica che molti attivisti politici siano stati rinchiusi nelle carcere e sottoposti a torture. Chi viene giudicato un traditore viene giustiziato senza un giusto processo. Ci sono circa 1260 detenuti politici curdi in Iran.

Lo stesso rischio lo corrono anche tutti coloro che osano parlare di quest’argomento e mettere in discussione l’autorità. Ci sono anche molti giornalisti rinchiusi nelle galere iraniane anche solo perché hanno osato parlare di diritti umani negati. E non sono tutti necessariamente di origine curda. Chiunque anche solo osi mettere al centro certe questioni rischia non solo la reclusione ma addirittura la vita”.

A pronunciare queste parole è Shirzad Kamangar, tra gli uomini di spicco del partito curdo iraniano. Costretto all’esilio, vive la maggior parte del suo tempo a Bruxelles dove lo abbiamo incontrato.

Ma com’è la situazione di chi sceglie di lottare per i diritti in Iran?
“Chi ha scelto di fare politica è costretto a uscire dal Paese e questo implica l’impossibilità di rientrare perché messo piede sul suolo iraniano la conseguenza immediata sarebbe l’arresto. Il problema poi si presenta per i familiari che rimangono perché il governo impossibilitato ad arrestare chi vive all’estero e quindi se la prende con loro. Io sono stato in prigione diverse volte e dopo l’ultima volta ho scelto di abbandonare la mia terra e le persone a me care. Non potere rientrare è ovvio che è un dolore. Ma la cosa più difficile da accettare sono le ritorsione che subiscono i cari dei fuoriusciti. Mio fratello ad esempio era un insegnante di scuola elementare ed è stato arrestato e giustiziato dopo un processo sommario solo perché era mio fratello. Non era certo un attivista politico, eppure ha pagato con la vita il solo fatto di essere mio fratello”.

Che ruolo ha a tuo parere l’Iran con Is?
“Il ruolo dell’Iran nella questione Is è quello di supporto al Califfato. Chiaro che non lo dichiara apertamente ma è un fatto. Un po’ come fa la Turchia. Nessuno lo dice chiaramente ma la questione è per noi molto chiara. E non si tratta solo di una questione ideologica, ma anche pratica che però nessuno ha voglia di affrontare. Mi riferisco alla comunità internazionale. Il problema è anche che è molto complicato fare uscire notizie dall’Iran, impossibile poi anche solo fare un lavoro di inchiesta o di denuncia sulla questione. Credete sia possibile anche per un giornalista straniero, occidentale, entrare in Iran e raccogliere testimonianze sulla condizione dei curdi o sui rapporti di questa grande potenza e Daesh?
Chiunque anche solo volesse provarci, sarebbe immediatamente tacciato di attività spionistica. La conseguenza immediata sarebbe la carcerazione.”

Che prospettive ci sono secondo te per il futuro? “Quello che pensiamo come comunità curda intesa nella sua quasi totalità è che è sui diritti che dobbiamo concentrare la nostra battaglia. Per questo siamo uniti alla lotta in Rojava ma anche sostegno al partito turco curdo HDP che è una bella spina nel fianco di Erdogan. Diversa è la questione nel Kurdistan iracheno ma quelle sono problematiche interne alla nostra comunità e di più facile soluzione. Oggi dobbiamo essere tutti compatti per fare si che i curdi sparsi nei vari territori ottengano finalmente il rispetto non solo dei diritti umani ma anche sul piano della libertà di espressione. Senza il raggiungimento di questi elementi, il popolo curdo non sarà mai libero, che si trovi a vivere in Iran, in Turchia, in quel che rimane della Siria o in Iraq”.
Tratto da Articolo21

Netanyahu non è solo anche i sauditi infuriati per l’Accordo di Vienna
di redazione

Roma, 16 luglio 2015, Nena News – Il premier israeliano Benyamin Netanyahu non è solo nella critica durissima che porta all’accordo sul programma nucleare iraniano sottoscritto a Vienna da Tehran e dai Paesi del gruppo 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania). A dare forza alla protesta del leader del governo di destra alla guida di Israele, ci sono alcuni Paesi arabi che hanno accolto con grande diffidenza l’accordo che interrompe l’isolamento internazionale dell’Iran e che, a loro dire, potrebbe espandere “l’influenza sciita” nella regione.

Ci riferiamo alle monarchie sunnite del Golfo. I regnanti di questi Paesi temono che la fine delle sanzioni internazionali, che per anni hanno strangolato le potenzialità economiche dell’Iran, offrirà a Tehran l’opportunità per un ulteriore sviluppo della sua influenza in Medio Oriente.

La regione da anni è paralizzata da uno scontro a distanza tra le petromonarchie – peraltro accusate da più parti di sostenere in varie forme i gruppi qaedisti e jihadisti che agiscono nell’area – e la Repubblica islamica iraniana. I monarchi del Golfo, in particolare i sauditi, combattono indirettamente l’Iran in Siria dove le proteste popolari del 2011 si sono trasformate in una guerra civile e infine in un conflitto tra le potenze regionali e tra i musulmani sunniti e sciiti. Senza dubbio il sostegno di Tehran a Damasco ha contribuito a puntellare l’esercito siriano sfiancato da quattro anni di combattimenti contro jihadisti e qaedisti e tanti altri nemici, sempre più armati.

I sauditi da mesi sono impegnati in una pesante campagna aerea in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi, appoggiati dall’Iran. E Riyadh gioca un ruolo determinante anche a sostegno dei sunniti iracheni schierati contro il governo centrale di Baghdad che ritengono “controllato” dall’Iran.

“La tensione nella regione, non è certo finita”, ha commentato Abdulkhaleq Abdullah, un professore di scienze politiche alla United Arab Emirates University, “se l’Iran crescerà come potenza regionale penso che vivremo momenti difficili”. “Questo accordo, dal nostro punto di vista, rappresenta una minaccia indiretta agli interessi arabi e alla pace”, ha aggiunto da parte sua Tariq Al-Shammari, un analista saudita e presidente del Consiglio del Golfo per le Relazioni Internazionali.

Dietro le quinte le monarchie sunnite lavoreranno per cercare di tenere l’Iran isolato politicamente ed economicamente. L’Arabia Saudita si è già mossa per migliorare i rapporti con la Russia, alleata dell’Iran, allo scopo di allentare le relazioni tra Mosca e Tehran e di spingere Vladimir Putin ad interrompere all’aiuto militare alla Siria.

Tuttavia, a differenza dell’Arabia saudita, altre monarchie del Golfo hanno cercato, almeno ufficialmente, di mostrare una posizione più aperta. Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno legami commerciali di lunga data con Tehran, e l’emiro del Kuwait, che ha visitato Teheran lo scorso anno, nel tentativo di migliorare le relazioni bilaterali, hanno subito inviato messaggi di congratulazioni all’Iran ed espresso la speranza che l’accordo di Vienna contribuisca alla sicurezza regionale e alla stabilità.

Da parte sua l’Egitto, attraverso il portavoce del ministero degli esteri, Badr Abdelattie, ha espresso l’auspicio che l’accordo con l’Iran rappresenti “un passo verso una regione esente da armi nucleari”. E’ un punto sul quale batte da lungo tempo il Cairo che denuncia la presenza, tenuta sino ad oggi segreta, di armi atomiche in Israele, paese che non ha ancora firmato il Trattato di non proliferazione nucleare.

Un clima ben diverso si respira a Damasco dove si spera in un maggiore aiuto dell’Iran, economico e militare, una volta che Tehran sarà libera dalle sanzioni. Il presidente siriano Bashar Assad si è affrettato a congratularsi con il leader supremo iraniano Ali Khamenei e il presidente Hassan Rouhani. Nel messaggio indirizzato a Khamenei, Assad ha descritto l’accordo come “una grande vittoria” ottenuta da Iran e una “svolta storica” ​​nella storia della regione e del mondo. “Siamo certi che la Repubblica islamica dell’Iran continuerà, con maggiore slancio, a sostenere le giuste cause delle nazioni”, ha scritto.

Ottimismo anche a Baghdad. Saad al-Hadithi, portavoce del primo ministro (sciita), Haider al-Abadi, ha descritto l’accordo “un catalizzatore per la stabilità regionale”, che porterà ad una migliore unità nella lotta contro il terrorismo. Decisamente più cauto il deputato sunnita Hamid al-Mutlaq. “Speriamo ora di vedere una interferenza iraniana positiva, non negativa della regione”, ha detto.

A dir poco rabbiosi sono i militanti sunniti più radicali che parlano di “acquiescenza alla diffusione del potere iraniano”. Un importante religioso saudita, Salman al-Ouda, ha avvertito in un tweet che “l’Iran si sta muovendo secondo una visione chiara e ben studiata, che tende ad assorbire i suoi avversari. Dove sono i governi arabi? Dove si trova il loro progetto alternativo per affrontare la sfida?”.
Tratto da NenaNews


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