Dal 2016 il fumettista Claudio Calia ha iniziato ad andare in Iraq e da allora non ha mai smesso di andarci per svolgere workshop, partecipare ad iniziative collegati ai comics.
Una relazione a tutto campo che ha portato a far conoscere, tramite le pubblicazioni curate da Oblò APS la nascente scena del fumetto iracheno in Italia e a livello internazionale, come con l pubblicazione di Ultima donna di Shirwan Can.
Con lui un primo bilancio di questi anni.
2016 – 2024: se tu dovessi comporre un frame di allora e uno di oggi sui fumetti in Iraq cosa immagineresti? Iniziamo dal 2016 quale flash ti viene in mente?
Prima non c’erano, oggi ci sono. E’ la prima cosa che mi viene in mente. Nel 2016 non c’era una produzione “nazionale” di fumetti, mentre adesso c’è uno studio attivo, ci sono dei libri usciti in curdo, in arabo ..
Il 2016 ti fa venire in mente una pagina bianca mentre il 2024 una pagina piena di disegni, fumetti, cose?
Se ci limitiamo al fumetto potremmo dire 2016 uguale ad una pagina bianca. O meglio non era una pagina bianca visto che la prima volta che sono andato ho trovato un sacco di cose, però di fatto nel 2016 non c’erano, o meglio direi che non ho conosciuto rispetto ai contatti che ho avuto in questi anni, iracheni che facevano fumetti perché volevano fare fumetti. Adesso ce ne sono.
Adesso ce ne sono. Partiamo da questa affermazione. Ma cos’è che caratterizza, a tuo avviso, il fatto che adesso c’è una scena del fumetto. Magari anche prima la gente disegnava. Per cui cosa significa “c’è una scena dei fumetti oggi in Iraq”?
Prima di tutto, escono pubblicazioni. In effetti prima ricordando c’era una esperienza di Baghdad, dei ragazzi che facevano una rivista, che interagivano col mondo, partecipavano a dei Festival, o meglio cercavano di andarci ma non ci riuscivano per i soliti problemi di visti etc …
Esserci una scena di fumetti oggi, cosa cambia? Cambia che ci sono persone, o meglio tali individui, tali persone, che fanno fumetti, che hanno scelto di farli e di farli con uno sbocco editoriale. Alcuni di loro, come poi è la vita irachena, si stanno spostando in giro per il mondo, studiando in Germania per poi tornare a casa. Si muovono.
Per cui si può dire che c’è una scena dei fumetti quando qualcuno fa dei fumetti la sua professione?
Che possa essere o meno una professione, direi che la specificità è che qualcuno sceglie di comunicare a fumetti, e non di comunicare all’amico sotto casa ma stamparli ed avere un pubblico.
Potremo dire che una scena di fumetti si materializza quando in un paese, in una zona, quando c’è un tot di persone che a questo linguaggio danno la dignità della professione?
Si, senz’altro, direi professionalità più che professionismo. Di essere professionali nel fare fumetti.
Non esiste ancora una scena editoriale anche se chi ha fatto libri in questi anni che sono usciti, lo hanno fatto con un vero rapporto professionale …
Fermiamoci ancora un attimo su questa ricerca di categorie, per capire perché oggi parliamo di scena dei fumetti in Iraq, come definiresti la professionalità, diresti “un insieme di tecniche”, “un insieme di accuratezze”, una “scelta di elaborare un linguaggio”, cos’è la professionalità?
In un qualche senso, conoscere il linguaggio del fumetto e cercare di fare parte di una scena internazionale, che ragiona attorno a questo linguaggio.
Per cui oggi, 2024 esiste una scena del fumetto iracheno. Quali secondo te potrebbero essere le caratteristiche della scena del fumetto iracheno?
C’è una gran voglia di raccontare storie del proprio territorio, storie del proprio “popolo”: Molti sdi quelli con cui lavoro sono curdi e le prime storie che hanno voluto incominciare a raccontare sono della tradizione orale curda, di cui non esistono testi scritti. Hanno fatto la scelta di cominciare a farle a fumetti. Per cui c’è un grande bisogno, probabilmente, di raccontarsi all’altro, da qui questo grande recupero di storie curde.
Per cui più che inventare storie, una sorte di “realismo” per usare una categoria che utilizziamo.
Certo realismo che a modo loro, può diventare anche molto onirico. C’è un libro bellissimo sull’acqua che hanno fatto che non è realismo, però racconta qualcosa di vero. Non è che le storie orali siano tutte realistiche.
Un … realismo immaginifico?
Un realismo come quello a cui ci ha abituato per esempio il cinema giapponese.
Si può parlare di temi assolutamente realistici, usando metafore, modi narrativi più onirici. Non li stringerei sul definizione di realismo.
Sono tanti e diversi, chi è più giornalista a fumetti, chi è più per storie. Sono tanti che stanno lavorando al fare fumetti, sono pochi quelli che finora hanno fatto un libro, in grado di attestarsi su un piano professionale. I lavori, che mi vengono in mente, sono o racconti di vita vissuta o racconti che vanno a recuperare una tradizione di storia orale.
In questi anni che accoglienza ha avuto il linguaggio dei fumetti nella società irachena. In Italia siamo passati dal fatto che nessuno badava ai fumetti al fatto che Zerocalcare vende migliaia di copie. Immagino che in Iraq non sia così. Loro come vedono la situazione? C’è stata una crescita dell’attenzione? Resta una cosa da nicchia?
Siamo effettivamente agli albori, però una cosa che è cambiata nel tempo è l’utilizzo del fumetto per fare cose che non sono libri a fumetti. Alcuni di quelli che lavorano a PAIA STUDIO, magari fanno a fumetti il volantino, pagato da qualche Ente internazionale che lavora là, per riconoscere le mine antiuomo su un terreno. Poter usare il disegno e il fumetto come linguaggio non solo che si regge sul mercato del libro ma come linguaggio per essere più divulgativi, è più assodato di prima.
Con loro tu hai seguito è un grande traguardo a cui vogliono arrivare: la realizzare la prima rivista irachena di fumetti. Sappiamo che non è facile, perché quando parli di Iraq, parli di tanti linguaggi. Non è certo automatico dire facciamo la rivista nazionale. A che punto siamo?
L’ultima volta che sono stato lì era quasi pronta. Ci sono difficoltà tecniche. C’è un senso di lettura opposto a quello a cui siamo abituati. Ma non tutti gli iracheni disegnano, fanno storie in quel senso di lettura. L’ultimo scoglio su cui si era arenata la rivista, l’ultima volta che stavamo parlandone, era come presentare in uno stesso contenitore delle storie brevi che si leggono da destra a sinistra e delle storie brevi che si leggo da sinistra a destra. Delle storie brevi originalmente scritte in inglese ed molte altre scritte originariamente in curdo. Per cui come fare le traduzioni. Ci sono tutte una serie di attenzioni tipografiche che sono diverse e complesse …
Mi pare d’aver capito che l’obiettivo è realizzare un contenitore, uno spazio dei tanti e diversi, per lingua, arabo, curdo, solo per restare alle lingue …
Già ci sono due lingue da disbrigare e l’inglese ci va per forza. Ma poi soprattutto ci sono i nativi: hai chi scrive solo in arabo, chi solo in curdo, chi in inglese. La rivista dovrebbe essere un modo in cui tutto questo convive e il come tipograficamente è ancora in via di lavorazione.
Mi ha sempre colpito la grande partecipazione di ragazze, non me la aspettavo sia nei tuoi corsi di formazione sia nelle cose che racconti, nei libri che mostri.
Sì ci sono tante ragazze. Il fumetto come linguaggio nuovo ha aiutato a colmare la parte femminile dell’Iraq che non si è mai raccontata. Probabilmente spero, auspicabilmente che questo linguaggio nuovo abbia fornito uno spazio forse più protetto.
Ricordo che in uno dei corsi ad Erbil avevo delle ragazze da Mosul, queste erano arrivate con i fratelli che le accompagnavano. Per cui c’è molto da lavorare su questa cosa,
Potrebbe essere anche una scelta di fare velocemente un salto nei costumi, di non dover fare i passaggi graduali nell’”emanciparsi”.
Non a caso, il primo libro prodotto da una mia studentessa si intitola “Fate” ed è il racconto di una classica storia orale curda, riguarda uno stupro. Probabilmente i fumetti danno più modo a chi non si è mai potuto esprimere liberamente di incominciare a farlo.
Chiudiamo con una domanda per te: loro ti considerano un loro riferimento. E’ la prima volta in vita tua che hai sulle spalle il peso di aver costruito una scena a fumetti. Che cosa ti porta dentro questa esperienza? Essere il “grande vecchio” del fumetto iracheno. E’ un ruolo impegnativo …
Chiunque con una passione come la mia, per questo linguaggio, sarebbe molto felice in questa situazione. Dà soddisfazione. E poi è l’Iraq, un posto che “noi abbiamo invaso”. Nelle mie prime manifestazioni di piazza, da piccolo ho manifestato per questo, per cui come contributo non male direi per me.
In realtà adesso la questione è un’altra e cioè che loro si emancipino. Adesso fanno i fumetti come li farei io, anzi non è vero perché stanno già crescendo, maturando, prendendo delle strade per me strane.
Però penso che il passo sia proprio quello di “ammazzare i padri” in un certo senso ed emanciparsi. Cosa che stanno facendo.
Anche perché, volente o nolente, tu gli hai portato alcuni stimoli che erano i tuoi, dal punto di vista del disegno. Adesso loro hanno la possibilità di capire quando vedono alcuni esempi nel mondo, di cosa stai parlando.
Esatto sia capire e anche il fatto di essere maggiormente protagonisti.
Se si guardano i nuovi libri usciti si vede che c’è una grande componente grafica curda, araba, derivazioni culturali che non mi appartengono.
Io, probabilmente, gli ho fatto vedere come andavano le cose nel mondo e loro stanno trovando il modo per inserirsi nel mondo ma con il loro portato. Questo è quello che deve succedere.
I fumetti in questa parte del mondo non hanno visto grandi esperienze collettive, forse questa irachena è la prima esperienza collettiva in queste zone.
Di racconto lungo, narrativo è la prma.
Più che altro intendevo di scuola, di percorso collettivo …
Si certo ci sono state cose, ma in realtà di esperienze come PAIA STUDIO, dove persone si incontrano ogni giorno a ragionare di fumetti, a portare avanti progetti, non ce ne sono altre.
Aspetteremo le prossime tappe, però so che loro ti considerano ancora una sorte di “consigliori” …
Loro hanno dei progetti, magari non hanno progetti come saremmo abituati qui nel mercato, che ci sono i fumetti in libreria, però oggi hanno grandi progetti di racconto di storia, di storia orale su reperti archeologici che hanno lì.
In realtà stanno riuscendo ad usare il fumetto a modo loro, che è quello che doveva succedere
…. un pò di storie
2016 – Claudio va per la prima volta in Iraq
2017 – Dispacci dal fronte iracheno
2018 – Kurdistan Iracheno: tra fumetti e musica
2019 – I fumetti in Iraq ci sono eccome!
2019 – Cresce la scena dei fumetti iracheni
2020 – Batte il suo tempo la scena dei fumetti in Iraq
2021 – Il nuovo fumetto iracheno
2022 – Generazione comics