A Kobane si resiste ai nuovi attacchi dell’Isis

Le notizie che giungono dalla cittadina, simbolo materiale della resistenza curda, parlano ancora di morti tra i civili, di attacchi vigliacchi da parte dell’Isis, per il quale la frontiera turca ovviamente è aperta.

Una nuova offensiva per cercare di minare quel che Kobane e l’intera Rojava rappresentano nella complessa geopolitica dell’area e dell’intero Medioriente.
La complicità turca è evidente anche se ufficialmente smentita, con la classica lingua biforcuta che è caratteristica dei governanti di questo pezzo di mondo e non solo,
A Kobane e dintorni i combattenti delle YPG/YPJ stanno di nuovo combattendo, mentre il numero dei civili vittime dell’attacco delle bande dell’Isis con autobombe ed alte efferatezze, è ancora imprecisato. La città di certo non è in mano agli uomini vestiti di nero, ma dietro questo attacco come non vedere, oltre agli interessi tattici dello Stato Islamico, anche la volontà di Erdogan, peraltro indebolito dopo le elezioni, e di tanti altri primi tra tutti Arabia Saudita e paesi del Golfo, di contenere e se possibile distruggere l’alternativa rappresentata dai curdi.

L’esperimento sociale del Rojava, così come il positivo dato elettorale per l’Hdp, la coalizione promossa dai curdi in Turchia, non riguarda infatti solo gli specifici confini geografici ma parla di un futuro, di una idea, di una proposta alternativa e profondamente diversa da quella reazionaria ed autoritaria che si vorrebbe per l’intero Medio Oriente e non solo.

Per questo è importante sostenere a tutti i livelli il Rojava, Kobane e tutti quelli che tra mille difficoltà e strette repressive combattono per costruire una società laica, pluralista e alternativa in tutti i paesi dell’area dall’Iraq fino all’Africa.

In questi giorni è in Italia una delegazione, per ottenere appoggio e soprattutto riconoscimento internazionale per il Rojava, vi proponiamo un’intervista realizzata da Giuliana Sgrena, invitandovi anche a rileggere quel che ci ha raccontato Hadla Omar, Copresidente del consiglio popolare del Cantone di Cezire, quando l’abbiamo incontrata a Padova, a leggere “Kobane dentro” di Ivan Grozny e a seguire gli aggiornamenti in Uiki.onlus.

Comandante Abdalla, l’altra metà del Rojava di Giuliana Sgrena

«In questo momento in Kurdistan il ruolo delle donne è storico, anche a livello internazionale. La nostra lotta mira alla creazione di una nuova società partendo da una visione ecologica, dal rispetto della natura, dall’affermazione della nostra identità»

«Noi non siamo mili­tari, siamo mili­tanti, non siamo pagati per fare la guerra, siamo come par­ti­giani della rivo­lu­zione. Viviamo con il nostro popolo, seguiamo una filo­so­fia, un pro­getto poli­tico. Con­tem­po­ra­nea­mente por­tiamo avanti una lotta di genere con­tro il sistema patriar­cale. Gli altri com­bat­tenti sono nostri com­pa­gni, abbiamo rap­porti poli­tici e di ami­ci­zia», così Nes­srin Abdalla, coman­dante dell’Unità di difesa delle donne(Ypj), mi spiega il ruolo delle donne com­bat­tenti nel Rojava (Kur­di­stan siriano) e il loro rap­porto con l’unità maschile (Ypg).

36 anni, ma ne dimo­stra meno, nata a Dirik nel can­tone di Jezeri, sicura di sé, prima di essere impe­gnata nell’esercito era gior­na­li­sta, non è spo­sata, come viene richie­sto a tutti i com­bat­tenti kurdi, uomini e donne. Da quando è scop­piata la guerra civile in Siria (2011) – e l’Isis (Stato isla­mico in Iraq e nel Levante) ha attac­cato il Rojava distrug­gendo Kobane – Nes­srin Abdalla è in prima linea, è diven­tata una di quelle «eroine» che sono cele­brate non solo in Kur­di­stan ma nel mondo intero.

«In que­sto momento in Kur­di­stan il ruolo delle donne è sto­rico, non solo per le kurde e per quelle del Medio oriente, ma anche a livello inter­na­zio­nale. La nostra lotta mira alla crea­zione di una nuova società par­tendo da una visione eco­lo­gica, il rispetto della natura, l’affermazione dei diritti e dell’identità delle donne. Il mondo ora è insta­bile, vi sono molte minacce, tra que­ste il ter­ro­ri­smo, come donne com­bat­tenti abbiamo molta respon­sa­bi­lità verso tutte le donne.

Le donne che in pas­sato hanno par­te­ci­pato alle lotte di libe­ra­zione dei loro paesi ave­vano messo in secondo piano i diritti delle donne pen­sando che li avreb­bero acqui­siti dopo gra­zie al loro impe­gno, ma non è stato così. E per voi non è così…

Il mondo è pas­sato da un sistema matriar­cale a quello patriar­cale e le donne hanno perso la loro iden­tità. Il patriar­cato ha oppresso le donne, che hanno subito vio­lenze anche fisi­che, e pur lot­tando non sono riu­scite a con­qui­stare uno spa­zio nella società. Eppure le donne hanno sem­pre aspi­rato alla loro libertà e ai loro diritti, con la nostra lotta stiamo rea­liz­zando que­sto sogno. Sono le lotte degli anni pre­ce­denti che hanno por­tato alla crea­zione dell’Ypj, è stato l’esempio del movi­mento delle donne del Pkk che per anni hanno lot­tato sulle mon­ta­gne per la loro iden­tità e libertà. Le donne sono state pro­ta­go­ni­ste della pri­ma­vera araba ma que­sto non ha aperto loro una strada per l’affermazione dei loro diritti, la rivo­lu­zione del Rojava invece ha mostrato la forza delle donne. La nostra è una lotta alla quale par­te­ci­pano tutte: dalle bam­bine di sette anni fino alle donne di settant’anni, que­sto ha per­messo la pre­senza fem­mi­nile in tutti i set­tori, anche quello militare.

Credi che le donne com­bat­tenti che affron­tano i ter­ro­ri­sti fana­tici abbiano pro­vo­cato uno shock nell’Isis?

Penso che la pre­senza delle donne tra i com­bat­tenti abbia pro­vo­cato un crollo nelle con­vin­zioni e forse anche nella fede dell’Isis. Loro hanno sem­pre com­bat­tuto con­tro eser­citi di uomini e hanno anche vinto, ma ora tro­varsi davanti delle donne deve essere stato uno shock per­ché hanno dichia­rato le donne nemico numero uno. Inol­tre hanno subito decre­tato che se un com­bat­tente viene ucciso da una donna non può andare in para­diso e il suo corpo viene bru­ciato. Quando sono stati loro a ucci­dere una guer­ri­gliera le hanno tagliato la testa e l’hanno mostrata tenen­dola per i capelli come un tro­feo. Que­sto gesto era il sim­bolo di una scon­fitta ideo­lo­gica dell’Isis. Per noi, al con­tra­rio, com­bat­tere que­sto nemico è diven­tato un segno di iden­tità e ha come ipno­tiz­zato, pro­vo­cato l’attrazione verso di noi di donne arabe, assire, tur­che, tede­sche (tra di loro vi è stata anche una martire).

Ci sono anche italiane?

Ita­liane che io sap­pia no, ma potreb­bero anche esserci.

Quali sono i vostri rap­porti con la coa­li­zione occi­den­tale, in pas­sato que­sti inter­venti sono sem­pre fal­liti, pen­sate che insieme riu­sci­rete a scon­fig­gere l’Isis?

Noi com­bat­tiamo per la demo­cra­zia, la nostra porta è aperta anche alla coa­li­zione se ci vuole aiu­tare. Finora ci hanno aiu­tato con i bom­bar­da­menti, anche pesanti. Spe­riamo che l’aiuto non resti solo a livello di bombardamenti.

Pensi che una coa­li­zione gui­data dagli Usa sia inte­res­sata ad aiu­tare il vostro pro­getto democratico?

Finora l’aiuto è stato solo attra­verso i bom­bar­da­menti che, sap­piamo bene, non erano fatti per noi ma per scon­fig­gere l’Isis che è un nemico comune. Ma occorre andare oltre: il Rojava ha biso­gno di un rico­no­sci­mento inter­na­zio­nale, vedremo se la coa­li­zione sarà dispo­sta a darci anche un aiuto diplo­ma­tico. Chie­diamo la fine di tutti i mas­sa­cri, anche quello della nostra identità.

Il primo aiuto potrebbe essere una pres­sione sulla Tur­chia per­ché ponga fine all’embargo che impe­di­sce il pas­sag­gio di aiuti per i kurdi.

Cre­diamo che se la coa­li­zione volesse potrebbe creare cor­ri­doi uma­ni­tari, occorre aprire le fron­tiere per scopi uma­ni­tari, ma abbiamo biso­gno anche di rap­porti commerciali.

Il suc­cesso dell’Hdp (Par­tito demo­cra­tico del popolo, par­tito di ispi­ra­zione kurda) nelle recenti ele­zioni tur­che potrà favo­rire un cam­bia­mento della poli­tica di Ankara?

Sicu­ra­mente quando un par­tito kurdo è forte è un van­tag­gio per tutti i kurdi, loro sono i nostri rap­pre­sen­tanti in Tur­chia, la loro vit­to­ria è una nostra vit­to­ria. Impor­tante è anche che abbiano eletto nume­rose donne (31 su 79), que­sto è un bel mes­sag­gio al par­la­mento turco. Il suc­cesso dell’Hdp può favo­rire una poli­tica comune dei kurdi. Spe­riamo inol­tre che serva a spin­gere la Tur­chia verso un regime più demo­cra­tico per favo­rire anche nuove rela­zioni con la Siria. Noi vogliamo l’autonomia dei tre can­toni kurdi, ma il nostro paese è la Siria.

E in Siria, cosa succederà?

La Siria ha fatto la fine di un kami­kaze, ora non c’è nulla su cui costruire. Noi siamo pronti a livello mili­tare per costruire un nuovo sistema demo­cra­tico ma occorre l’impegno poli­tico. L’opposizione siriana non ha un pro­getto per il futuro della Siria e la pro­po­sta non può venire dall’esterno, potrebbe seguire il nostro esem­pio. Noi non aspet­tiamo che la situa­zione si risolva in Siria per rea­liz­zare il nostro pro­getto che è quello di un’autonomia demo­cra­tica come parte di una Siria demo­cra­tica. Il modello pro­po­sto dal Rojava viene apprez­zato a livello inter­na­zio­nale per­ché garan­ti­sce a tutti di vivere libe­ra­mente con la pro­pria cul­tura, iden­tità e reli­gione. Noi com­bat­tiamo solo con­tro l’Isis e siamo pronte a difen­dere il sistema che abbiamo creato, siamo una gamba del nostro sistema.

Ma nella Carta del Rojava è pre­vi­sta la smi­li­ta­riz­za­zione del territorio.

Noi vogliamo man­te­nere solo una forza di auto­di­fesa, per gestire il nostro ter­ri­to­rio. In Medio­riente ogni popolo ha biso­gno di autodifesa.

In futuro pensi di restare nell’Ypj?

Oggi il nostro popolo ha biso­gno di difesa, que­sto ruolo deve con­ti­nuare in que­sto momento. Quindi per ora non penso ad altro, se un giorno non ser­virà più lavo­rerò dove sarà neces­sa­rio. In pas­sato ho fatto la giornalista.

Cosa chie­dete all’Italia?

Innan­zi­tutto un appog­gio poli­tico per il rico­no­sci­mento inter­na­zio­nale del Rojava, poi aiuti per la rico­stru­zione di Kobane, ma anche una coo­pe­ra­zione più ampia. Inol­tre le armi con cui com­bat­tiamo l’Isis sono obso­lete, quindi ci ser­vono anche armi, ma solo per la difesa.

Tratto da Il Manifesto 24 giugno 2015


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