Verso la Cop a Parigi – Intervista con Avi Lewis, regista di This changes everything

Se si guarda quasiasi vocabolario la parola ipocrisia significa “simulazione di virtù, di devozione religiosa, e in genere di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole”.
Guardando all’apertura della Cop è la parola che più si adatta ai discorsi che si sentono. Non c’è un solo rappresentante dei vari paesi, dal più grande al più piccolo che non ammettono che … “se non facciamo qualcosa la situazione complessiva del pianeta andrà peggiorando in maniera drastica”.

Bene, detto questo?
Ci sono a questo punto grandi, medie, piccole ipocrisie.
Chi si guarda assolutamente dall’intervenire citando a suo giustificazione che ” … noi siamo arrivati dopo, la colpa ed i rimedi devono venire da chi ha inquinato “, vedi Cina, India etc .. Brics in generale dove l’inquinamento e le emissioni sono alle stelle.
Chi dice che ce la sta mettendo tutta, salvo poi fare scelte peggiori del problema, vedi Stati Uniti con politiche d’indipendenza energetica che, se cercano di liberarsi dall’abbraccio mortale dei paesi arabi esportatori di petrolio, si basano su scelte qualo il devastante fracking o ipotizzano soluzioni come la geopirateria.
Chi come i paesi dell’America Latina progressista che fanno della salvaguardia ambientale un punto irrunciabile salvo poi, a volte obtorto collo, continuare con scelte estrattiviste per cercare di avere i fondi da utilizzare per politiche sociali distributive e cercare di migliorare le condizioni sociali.

Sono solo tutti attori consumati di una scenografia fissa oppure c’è qualcosa d’altro?

C’è un nodo profondo quando si parla del modello di sviluppo ed è che viviamo nel tempo del capitalismo finanziario del mercato unico globale, dove al di là del palcoscenico della Cop21 a dettare legge oltre le volontà di grandi e piccoli potenti, di vecchie e nuove potenze che si contendono “un posto al sole”sono i flussi finanziari, il denaro che produce denaro. Un meccanismo perverso, nuovo e potente, che sussume vite e risorse, in cui non c’è più la dinamica lineare di sviluppo, ma il primato del saccheggio e della depredazione.
Ma chi può o vuole affrontare di petto tutto questo tra le migliaia di sherpa al lavoro nei tavoli della Cop e i loro capi?

Questo non vuol dire che non si possono aprire crepe, contraddizioni anche conflitti. , ma è lo scenario che andrebbe modificato, perchè non è possibile pensare di fare le scelte necessarie per non superare i due maledetti gradi di ulteriore innalzamento della temperatura, senza parlare dei danni già compiuti, senza porre nello scenario di fondo della discussione un cambiamento globale e generale,

A questo si aggiunge che mai come in questa edizione della Cop il nesso tra crisi e guerra è evidente. Lo è perchè a Parigi divieti e restrizione delle libertà fanno da padroni sull’onda dei tragici fatti del 13 novembre, come sintetizza bene Naomi Klein nelll’articolo apparso su The Guardian, quando afferma che si usa lo shock per cercare di far tacere le proteste e far passare scelte inaccettabili. Lo è perchè perfino insospettabili rapporti pongono il tema che i molteplici conflitti che attraversano il globo, trovano linfa in cause ambientali che si intrecciano con volontà di potenza geopolitica locale ed internazionale.

Avi Lewis, regista di “This changes every thinks” che abbiamo intervistato proprio su cosa è in gioco a Parigi e che giustamente ha ricordato quanto anche nello scenario siriano abbia pesato la terribile siccità che ha messo il paese in ginocchio tra il 2006 e il 2011 (su 22 milioni di abitanti, oltre un milione e mezzo è stato colpito dalla desertificazione che ha provocato massicce migrazioni di contadini, allevatori e famiglie verso le città).

La libertà di movimento e la necessità di un’alternativa radicale. Questo quello per cui hanno manifestato in migliaia, anche nella Parigi vietata così come nelle altre città del mondo lo scorso fine settimana.E si continuerà a dirlo, pur nella difficoltà di questo momento in cui soffiano venti di guerra interni ed esterni in ogni dove, come stanno facendo gli attivisti che si ritroveranno a Parigi a partire dal fine settimana nelle iniziative lanciate dalla Coalition Climat 21.

INTERVISTA A AVI LEWIS
Regista di “This changes every thinks”

Il regista di This Changes Everything, film in collaborazione con Naomi Klein, parla di quello che c’è in gioco a Parigi.

E’ certamente molto complessa la situazione che porta al vertice di Parigi sul clima dopo gli attentati dei giorni scorsi. Il rischio è un accordo al ribasso che i leader dei paesi europei e degli Stati Uniti potrebbero ottenere approfittando della situazione contingente: un accordo non vincolante sulle riduzione delle emissioni.
Arriviamo a questo vertice con un lavoro politico della società civile e dei movimenti per la giustizia climatica che, dopo Copenaghen sono stati in grado di connettere le istanze e le spinte del Nord e del sud del mondo esercitando una forte e continua spinta dei movimenti dal basso nei confronti dei leader internazionali. E’ evidente che le migliori decisione nei vertici post G8 sono avvenuti quando la pressione dei movimenti nelle piazze ha influito sulle scelte dei leader politici. Dopo gli attentati di Parigi il cinismo del governo francese e la politica della guerra al terrorismo si sostanziano nel “torniamo alle nostre vite fatte di concerti e delle spese per il Natale ma vietiamo ogni manifestazione del dissenso, ogni dimostrazione di piazza che non sia contro il Terrore”.
Ma la necessità di una giustizia climatica è strettamente collegata non solo alla crisi globale che viviamo dal 2008 ma anche a gli esiti delle guerre e conflitti come quello in Siria che non è un puro esito di una macchinazione tra governi occidentali e locali. Per sei anni prima dello scoppio della guerra civile in Siria quei territori hanno vissuto la più grande siccità del bacino del mediterraneo che ha portato alla migrazione interna di più di un milioni di persone, le stesse che ora fuggono dalla guerra.

Le richieste dei movimenti e la necessità di un cambiamento sulle politiche del clima con la capacità di sfidare i divieti la paura e l’autoritarismo della guerra al terrorismo a Parigi come in tutto il mondo sono una priorità per arrivare ad un cambiamento.


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