Million march – Da Washington a New York manifestano in migliaia

In migliaia a Washington ma non solo anche a New York, Boston e nelle altre principali città del paese. La Million March ha mantenuto le attese. A scendere in piazza ancora una volta nella protesta contro la violenza razziale della polizia e l’impunità delle forze dell’ordine non solo gli afro-americani, i neri, i “black” ma giovani e meno giovani di ogni appartenenza: ispanici, asiatici, bianchi.
Tra i cartelli spicaccavano quelli che dicevano “ora possiamo respirare”.
La mobilitazione al di là di quel che dicono alcuni mass media mainstream non era stata convocata da questa o quella organizzazione per i diritti umani o comunità specifica. L’”essere movimento”, fuori dagli schematismi e dalla ritualità di ogni tipo, ha portato a questa ampia partecipazione.

Più “classica” con un comizio a cui hanno partecipato i leader “storici” dei diritti civili e i familiari dei giovani uccisi dalla polizia, la manifestazione a Washington davanti a Capitol Hill. Sul palco hanno parlato oltre ai familliari di Mike Brown ucciso a Ferguson, anche Samaria Rice, i famigliari di Eric Garner, Akai Gurley, Trayvon Martin. Garner, un padre di famiglia quarantenne, era morto a Staten Island in luglio, quando un poliziotto lo aveva soffocato cercando di arrestarlo perché vendeva sigarette di contrabbando. Gurley, un ragazzo ventenne disarmato, era stato ucciso da un agente a colpi di pistola a New York. Martin era stato ucciso in Florida da un vigilante, mentre andava a casa del padre. Tutti questi casi si sono risolti senza la condanna dei responsabili delle violenze, provocando proteste in tutti gli Usa.

New York invece oltre a sfilare in migliaia, molti più del previsto, la giornata è sta accompagnata da blocchi stradali e Die.in. La protesta nella grande mela è stata soprattutto di giovani. Tantissimi di ogni etnia, che hanno bloccato le arterie principali della metropoli. Così è stato anche in alttre città americane, come a Boston dove ci sono state alcune decine di arresti per un blocco stradale.

Comuni le richieste: “basta con la violenza razziale della polizia” e la possibilità che i processi contro poliziotti denunciati per violenze non siano seguiti dai magistrati della stessa città per evitare le pressioni e l’impunità che finora ha coperto il “racial profiling”.

“Hands up, don’t shoot”, “I can’t breathe”, “No justice, no peace” “Stop Police Brutality” e “Stop Racist Police Terror” i cartelli portati dai manifestanti. Alcuni di loro intervistati dai network americani dicono ”di essere in piazza per contrastare la militarizzazione della polizia”, intesa come l’agire da apparato separato delle forze dell’ordine. Alle domande dei giornalisti sul perchè a parlare dal palco siano gli storici leader dei diritti umani e non volti nuovi i manifestanti rispondono “che non ha importanza che tutti valgono uguali e che la protesta continuerà fino ad un cambiamento radicale”.

A chi vorrebbe contrapporre la protesta di Washington a quella più radicale di New York, Boston etc .. rispondono che ”ognuno manifesta come vuole, l’importante è esserci”, portare in piazza una critica che è rivolta alle forme moderne, attuali della discriminazione che assume caratteristiche diverse dal passato e che non può essere accettata perchè se si rivolge in particolare ai neri, nel contempo attacca i diritti di tutti.
E’ questa consapevolezza che rende comune l’azione di tanti e diversi, che crea movimento capace di incidere nella società, nei rapporti di foza e di costruire cambiamento.

Ieri, in chiusura di programma poco prima delle 4, mentre sfilavano sugli schermi le immagini in diretta da Washington e New York, 4 conduttrici nello studio della Cnn hanno simbolicamente levato le braccia in alto in segno di solidarietà con i dimostranti ed una ha sollevato un cartello con la scritta “I can’t breathe”.


Pubblicato

in

da