Tunisia – L’oasi di Jemna: tra sogno e realtà

All’inizio dell’anno, quando le proteste invasero la Tunisia a partire da Kasserine, dicevamo che bisognava guardare al di là dei dei copertoni in fiamme.
Questo non vale solo per la Tunisia. E’ come se intorno ad alcuni episodi si puntassero i riflettori. Ma la luce è accecante e ci impedisce di vedere quel che si muove intorno.

La vicenda che vi vogliamo raccontare non è sotto i riflettori, ma racconta un altro pezzo di Tunisia che lotta, esiste e resiste cercando di costruire un’alternativa: l’Association de Défense des Oasis de Jemna.

Prima però vediamo quel che sta succedendo in questi giorni. Dovete far scorrere i frame, prima di arrivare dove vogliamo zoomare, cioè nella piccola oasi nel sud del paese.
Primo frame: Il presidente della Repubblica Béji Caïd Essebsi si fa immortalare mentre dona un giorno del suo salario al Fondo Nazionale di lotta al terrorismo
E’ una campagna che è stata lanciata in questi giorni per coinvolgere i tunisini nella lotta al terrorismo.
Secondo frame: il capo del governo Habib Essid si è recato domenica a Ben Guerdane, la città vicina alla frontiera libica, teatro, il 7 marzo, di un attacco di miliziani, descritti come appartenenti all’Isis, che si sono scontrati con l’esercito. Il bilancio è di 49 terroristi, 13 appartenenti alle forze dell’ordine e 7 civili uccisi. Quest’ultimi non si capisce ancora come. Da allora la frontiera con la Libia è chiusa e nella zona c’è il coprifuoco.

Giriamo il nostro obiettivo prima di arrivare nell’oasi.
Lasciamo i frame della Tunisia dell’alto, quella che propugna come unica soluzione strette repressive e retorica di fronte all’innegabile esistenza del terrore che vogliono imporre le organizzazioni dell’integralismo islamico, continuando a cercare di stringere d’assedio il paese, .
Ci sono altri frame che ci mostrano un altro modo radicale di opporsi all’integralismo, alla perversa idea che la religione da fatto privato diventi costruzione sociale. Sono le iniziative che toccano i tabù che trasversalmente gli apparati di potere continuano a voler mantenere. Ci riferiamo alle campagne contro la proibizione di alcool e hashish, utilizzata per criminalizzare in molti casi i giovani e gli attivisti, come a campagna contro la Legge 52 oppure le iniziative per la depenalizzazione dell’omosessualità.
Non sono cose secondarie ma temi che, se affrontati alla radice, obbligano a schierarsi sul tema delle libertà collettive e personali come possibilità di un reale cambiamento contro la forbice tra autoritarismi ed integralismi.

E’ tra questi frame che ci vogliamo muovere. Non sono pochi, ma sono a volte poco narrati

Perché è questa capacità di autorganizzazione, di realizzazione oltre gli apparati statali, invischiati di corruzione e ipocrisie, che lascia aperti spazi possibili di cambiamento in una situazione di complessiva crisi economica e sociale, facile scenario dell’avanzata dell’Islam politico nelle sue ambigue declinazioni moderate e radicali, con i rispettivi sponsor stranieri.

Ed allora … zoomiamo verso l’Oasi di Jemna

“Non hanno alcun vantaggio fiscale, non hanno aiuti pubblici, non hanno esenzione dalla TVA per gli acquisti, ma hanno investito più di un milione di dinari per:
— rinnovare il mercato cittadino;
— infrastrutture sportive per gli studenti;
— gestire il cimitero;
— rinnovare la scuola;
— appoggiare numerose associazioni.
Non esercitano le loro attività sulla base di leggi fatte a misura, come quelle sulle imprese straniere.
Danno da lavorare a 120, 130 persone e si permettono il lusso di finanziare infrastrutture e attività pubbliche, ben oltre quel che fanno normalmente le istituzioni.

Sono i membri dell’«Association de Défense des Oasis de Jemna», che hanno preso il controllo della fattoria «STIL» (Société Tunisienne de l’Industrie Laitière). Una « fattoria » con un percorso giuridico caotico. Collocato in una parte del territorio di Jemna, questo palmeto è stato occupato da coloni francesi, poi recuperato dagli abitanti e poi espropriato dallo stato.
Il 14 gennaio 2011, i cittadini di Jemna hanno deciso di riprendersi quello che consideravano dovesse tornare loro.”

Inizia così l’articolo pubblicato da Nawaat per presentare un video dedicato a questa esperienza.
vale la pena guardarlo, accompagnato dai sottotitoli francesi.

Nell’articolo si dice che non si vuole raccontare la storia ma parlare di questa esperienza per affrontare “il parente povero delle politiche pubbliche tunisine: l’impresa sociale”. Da qui si parte per parlare di come nel paese si faccia ancora troppo poco per questo genere di imprese, frutto della società civile. Si tratta di quello che noi chiamiamo “terzo settore”, che ovviamente nelle nostre latitudini non è certo esente da difetti e limiti, dalla corruzione allo sfruttamento.
Ma quel che è utile in questa riflessione tunisina e nell’esperienza di Jemna è la radice del discorso.
Di fronte ad uno stato, che fa delle clientele la sua ossatura insieme all’appoggio esclusivo all’impresa privata, di fronte al fatto che anche gli aiuti esteri sia quelli dei paesi arabi e del golfo, sia quelli degli investimenti europei si rivolgono in maggior parte solo o all’assistenzialismo o all’iniettare capitali verso settori di profitto, esperienze come quella di Jemna provano che un’altra strada è possibile.

L’articolo si sofferma proprio su questa possibilità parlando di come “l’indifferenza del legislatore tunisino verso l’impresa sociale sia inversamente proporzionale alla riuscita della società civile Jemnienne. Bisogna insistere sul fatto che siamo in presenza di un’associazione che gestisce milioni di dinari nell’indifferenza del quadro legale.”

Giustamente poi si sottolinea come “in questi tempi in cui numerose voci si levano a proposito di soldi gestiti, in maniera per lo meno oscura, da parte di certe associazioni, non si voglia invece evocare i successi di quelle che fanno un lavoro encomiabile. Più inquietante ancora è che la miopia dei legislatori è che si sacrifichi l’impresa sociale nel nome della lotta contro le attività di associazioni che riciclano denaro o che hanno come scopo minare la repubblica.”

L’articolo poi continua affrontando il nocciolo del problema. “Nella migliore delle ipotesi, siamo nel pieno di una cultura della sovvenzione di stato, questo tipo di infusione che mantiene l’impresa sociale sotto stretta dipendenza dallo Stato e delle sue agenzie. Ma l’esempio di Jemna dimostra chiaramente che alcuni possono riuscire dove il governo ha accumulato tanti fallimenti. Certo la riuscita dell’« Association de Défense des Oasis de Jemna » è eccezionale. Non solo ce la fa economicamente, ma crea ingenti somme di denaro che investe a beneficio della comunità. E, chiaramente, il quadro legale associativo, in mancanza di cambiamenti, si adatta male alle sue attività sociali.”

Si conclude poi riflettendo su quante imprese sociali avrebbe bisogno di un quadro legislativo che le sostenesse, accordandogli quegli incentivi che, guarda caso, vengono invece dati alle imprese che hanno come unico scopo il guadagno. Ed ancora su come, soprattutto nel sud e nell’interno del paese le imprese sociali sarebbero da incoraggiare proprio dove lo stato è assente o agisce ancora in maniera più clientelare e corrotta.
“Ma è ancora necessario che il legislatore si impegni … … è ancora necessario che l’incompetenza non venga premiata sulla buona volontà … è ancora necessario che non sacrifichiamo le imprese sociali sull’altare della lotta contro la “appropriazione indebita” di alcune associazioni.”

E aggiungiamo noi, questa dovrebbe essere anche il senso degli investimenti europei, se non vogliamo che siano solo dei fondi dati a politiche statali locali inefficienti in cambio del controllo delocalizzato delle frontiere.


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