Dicembre 2009- Copenaghen: change the system not the climate

Dicembre a Copenhagen si svolge la COP 15 (Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici). Le conferenze sul clima con il loro apparato di partecipazione ampia vorrebbero presentarsi come ben diverse dai vertici blindati nelle zone rosse che abbiamo imparato a contestare a partire da Seattle. In realtà se il volto è apparentemente diverso, le decisioni sono prese dall’alto all’interno dei nuovi equilibri dei poteri globali.

La Cop 15 avviene in un momento segnato da una verità ormai incontrovertibile: il clima sta cambiando con tutte le conseguenze del caso. Bisogna fare qualcosa. La risposta come minimo per fermare il surriscaldamento globale è la fine dell’utilizzo delle risorse fossili, dell’emissione di CO2.

Per cui a Copenhagen si scontreranno le istanze di lotta per la giustizia sociale ed ambientale e gli interessi al profitto del capitalismo che non ha remore a vestirsi di Green. Emergerà anche con forza la discussione su cosa fare in occasione di queste Conferenze stare dentro, stare fuori, stare dentro/fuori ….

Decidiamo di partecipare insieme ad una vasta rete di realtà italiane, dando vita alla Rete See You in Copenhagen per partecipare alle iniziative di piazze con il Climate Justice Action e cercare di capirne di più al Climat Forum.  

Fin dall’arrivo si capisce che la repressione in versione pulita, ordinata, nordica sarà la costante. Tanto è vero che alcuni di noi vengono subito fermati e poi rilasciati. Cosa che avverrà spesso nei giorni successivi.  

Il 12 dicembre c’è la manifestazione che parte dalla piazza del parlamento danese e arriva al Bella Center, sede del Cop15. In piazza siamo oltre 100 mila persone. Associazioni, movimenti verdi del nord Europa, delegazioni di oltre 60 paesi. La polizia, con il pretesto di qualche vetro rotto, ferma un migliaio di persone, sedute per terra e ammanettate, mentre il corteo si conclude.

Il giorno dopo il 13 dicembre iniziativa dei movimenti NO OGM e dei contadini di Via Campesina. Ci si prepara per partire in corteo ma la polizia lo vieta e circonda la piazza. Improvvisamente guidato dal Samba Block, si comicia a scendere dai marciapiedi, a bloccare il centro cittadino ballando. Il corteo improvvisato arriva fino al Climat Forum, ovvero gli edifici messi a disposizione dal comune di Copenaghen, dove alcune migliaia di delegati stanno facendo workshop, incontri etc .. Ci sono ONG, movimenti contadini, realtà di molti paesi, personaggi come Bovè, Vandana Shiva, Naomi Klein, docenti, membri di comunità. Alcuni di quelli che sono qui partecipano come delegati anche alla Conferenza ufficiale della COP.

Che ci sia poca comunicazione tra chi protesta e chi discute lo si vede, quando arriviamo con il corteo e la polizia sta per caricare, nessuno da dentro si muove, i dibattiti continuano. E’ un limite visto che siamo dalla stessa parte, ne discuteremo molto nei giorni a seguire.  

Il 14 dicembre inizia con circa duemila persone che partecipano ad un corteo No Border e contro i fermi, anche in questo caso diversi attivisti sono fermati.

Nel pomeriggio ci spostiamo nello storico quartiere di Christiania, c’è un dibattito con Naomi Klein e Michael Hardt sulla crisi, e a seguire il concerto di autofinanziamento del Climate Justice Action. Alla fine, mentre tutti si rilassano, all’improvviso la polizia entra, sparando lacrimogeni e fermando numerose persone, tra cui un’ottantina di italiani. La polizia si giustificherà dicendo che qualcuno aveva dato fuoco a qualcosa. Fatto sta che i fermati sono portati a Retortvej e poi rilasciati ma uno dei nostri Luca, ricercatore e astrofisico, non solo sarà trattenuto, processato ma godrà dell’”amabile” ospitalità delle galere danesi per alcune settimane.

Ovviamente il 15 dicembre lo dedichiamo a mobilitarci contro questa asfissiante repressione e l’arresto di Luca. Facciamo una conferenza stampa nella hall del Climat Forum a cui partecipano attivisti da tutto il mondo.

Arriviamo così al 16 dicembre. E’ la giornata Reclaim the Power, per affermare che le decisioni le vogliamo prendere noi non i vertici di una Conferenza, che tra l’altro tutti i commentatori dicono sta fallendo, o meglio è schiava delle decisioni da vertice prese da Cina e Usa, alla faccia della partecipazione corale.

Avanziamo con il corteo verso il Bella Center, luogo della Conferenza. La polizia carica ma il corteo resiste, va avanti, la polizia circonda i partecipanti mentre da dentro cercano di raggiungerci i delegati Onu dei paesi piccoli e delle associazioni, che si sono alzati, hanno interrotto i lavori e sono usciti per raggiungere il corteo. Almeno siamo tutti insieme. E tutti insieme verremo fermati, a parte chi riesce a scappare per i campi.

Le immagini fanno il giro del mondo. Il re è nudo. La conferenza è stata un vertice, protetto dalla asfissiante “gentile”, polizia danese.

L’immagine di chi da dentro esce e si unisce a chi da fuori protesta, è quella che ci porteremo a casa.

Non ci sono scorciatoie. Dentro, fuori ma soprattutto contro una grande mistificazione che si vuole costruire sul cambio climatico.

Nelle settimane successive, lasciata la ridente socialdemocrazia danese mentre la neve imbianca la città, ci impegneremo in una campagna per la libertà di Luca.

La Cop 15, formalmente fallita, ha svelato molte ambiguità: la conferenza è stata un vertice, in cui Cina e gli Usa di Obama hanno deciso di non decidere, parlare di Sud globale, mettendoci dentro economie trainanti del sistema mondo capitalista come Cina e India, è assurdo. Ma ha anche dimostrato che il problema non è stare fuori o stare dentro ma quanto e come si è disposti a disobbedire per cambiare il sistema e non il clima.


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