Turchia – The Day After

Le elezioni, come grande “sondaggio” del clima in un paese, ci consegnano un immagine della Turchia reale.
Si può dire che quello a cui abbiamo assistito in questi mesi è da “manuale della strategia della tensione, per alimentare la conferma di un governo forte.
Si può dire che la conferma di Erdogan ripropone con forza il nazionalismo profondo legato alla stessa nascita dello stato turco, alimentato dalla caotica situazione per la ricerca della predominanza in tutta l’area.
Si può dire che la grande affluenza alle urne ha premiato le forze reazionarie radicate attorno al Bosforo.
Si possono dire e rileggere tante cose dette prima ed ora, come le analisi legate alla frenata della crescita economica passata dal boom degli anni passati a trand più bassi.
In ogni caso la forza di Erdogan ci schiaffa in faccia la pericolosità perversa dell’Islam politico, nella versione cosidetta “moderata” e radicale. Ci dimostra che nel grande caos della ridefinizione globale e dell’area che corre dall’Africa all’Asia, squassata da integralismi ed autoritarismi, da alleanze in continua modificazione, Erdogan ha giocato le sue carte, ha forzato il banco per vincere. Lo ha fatto, mettendo alleati e nemici davanti al fatto che ora può “agire in nome della maggioranza del paese”. E questo vale per l’Europa, sotto ricatto del Sultano per i migranti in fuga come per l’America alle prese con il fatto di far digerire ad Istanbul l’apertura verso l’Iran. Possono dirsi soddisfatti, anche se di certo non credono nella dimensione del voto, gli altri “soci” di Istanbul, dall’Isis agli ambienti islamici vari.
Siamo nel Day After. Per Erdogan si aprono scelte da intraprendere che vengono sintetizzate in un articolo di Daniele Santoro in Limes: “guerra totale ai nemici interni ed esteri o compromesso per ottenere la riforma presidenziale e riportare Ankara al centro dei giochi nel Mediterraneo orientale.”
Ogni scenario futuro possibile, di certo, è irto di difficoltà per chi prova a costruire un’alternativa in Turchia e che tutti noi sosteniamo, come il Hdp, riuscito a superare, per la seconda volta nella storia, la soglia di sbarramento del 10%, pur avendo perduto dei voti, come i giornalisti, impegnati a difesa della libertà d’espressione e come i movimenti di base. Questo vale anche fuori dai confini turchi nei contesti già difficili e drammatici che affrontano le donne e gli uomini, curdi e non, che resistono e combattono nella Rojava in Siria così come gli attivisti impegnati per la giustizia, i diritti, le libertà dall’Iraq a tutti i paesi dell’area. La tornata elettorale in Turchia dimostra che, nel tempo del capitalismo finanziario del mercato unico globale, la velocità degli eventi, la profondità e complessità delle costruzione sociali non può essere affrontata con modellistiche lineari, continue e stabili.
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Da Articolo 21

Case crivellate dai proiettili,edifici squarciati dalle bombe. Il Kurdistan post elezioni
di Stefania Battistini e Ivan Grozny

Immagini dal Kurdistan turco il giorno dopo le elezioni.
A Nusaybin un edificio squarciato da una bomba che ha ucciso un bambino di 13 anni e ferito 20 persone. A Cizre, dietro le barricate, le case sono crivellate di proiettili, raccontano ancora delle 26 persone rimaste uccise durante gli scontri con l’esercito turco. Qui gli abitanti hanno subito nove giorni consecutivi di coprifuoco, senza poter mai uscire di casa. Ed è quello che ha denunciato il copresidente dell’Hdp Onan appena dopo il risultato elettorale. “Molte persone hanno dovuto abbandonare città come Sur e Lice, sotto assedio da mesi a seguito dei diversi scontri tra pkk ed esercito turco”, ha detto. “Durante le votazioni c’era un clima intimidatorio, con carri armati fuori dalle scuole e militari con mitragliatrici in mano dentro i seggi”.

E sono queste le immagini che abbiamo raccolto lungo le antiche strade dell’Anatolia: villaggi militarizzati e armi nei seggi. Senza contare che il blocco della strada di collegamento tra i villaggi e la città di Lice, fatta saltare con le mine, ha impedito a oltre tremila persone di votare.

Nonostante questo clima, il partito filocurdo dell’Hdp ieri è riuscito a superare, per la seconda volta nella storia, l’altissima soglia di sbarramento del 10%, pensata proprio per tenerli fuori dal Parlamento. Ha perso un milione di voti rispetto alle elezioni del giugno scorso, quando fece perdere la maggioranza assoluta a Erdoğan, ma ha raggiunto comunque, dal punto di vista curdo, un buon risultato.
Per questo ieri a Diyarbakir (la città che ha subito il primo dei tre attentati di questi mesi) ci sono stati solo tafferugli estemporanei, ma nessuna manifestazione di piazza, né rivolta. Da più parti – dai grandi giornali ai siti di informazione alternativa – si è letto di “rabbia curda in piazza”, ma per chi ieri ha passato la notte a Diyarbakir è chiaro che venti tizi che tirano due sassi non sono certo una rivolta, sopratutto in un luogo come questo in cui “scontri” significano almeno quattro giorni di barricate. Ieri sera a mezzanotte c’era un silenzio quasi irreale attorno alle sede dell’Hdp, dentro cui si tiravano le somme, in modo positivo. Perché questo risultato consente all’Hdp, da una posizione istituzionale, di continuare a fare da ponte tra Pkk e governo turco. “Non cambieremo politica – dice ancora Onen – Siamo determinati a portare avanti il processo di pace”.

Bisognerà vedere se Erdoğan, stretto nella pericolosa alleanza con l’estrema destra dei lupi grigi e forte dell’appoggio europeo in cambio dell’aiuto con i profughi siriani, proverà ad aprire un dialogo concreto con i curdi. Una realtà, quella dell’Hdp, che ormai va oltre la questione eminentemente curda, ma è catalizzatrice di tutte quelle forze del paese attente alle libertà e ai diritti civili. Le stesse su cui si é fondata l’Europa. A partire dalla libertà di informazione, in questi mesi negata dal governo turco che ha oscurato emittenti televisive, chiuso testate d’opposizione e arrestato giornalisti. “Noi siamo cresciuti con ‘I quaderni dal carcere’ di Gramsci”, ci racconta Inus Murataka, dell’associazione giuristi della Mesopotamia. “L’ho letto in carcere, quando mi hanno arrestato per motivi politici durante una manifestazione studentesca”. Accade a Diyarbakir, Turchia, 2015.
2 novembre 2015

Da Limes
Resa dei conti o pacificazione, le opzioni di Erdoğan dopo il trionfo
La vittoria perfetta di Erdoğan: il partito del presidente turco (Akp) conquista la maggioranza assoluta dei seggi alle elezioni mentre quello curdo (Hdp) supera la soglia di sbarramento ed entra in parlamento – dove potrà influire pochissimo ma potrà essere ritenuto responsabile di eventuali tensioni antigovernative provenienti dal suo bacino elettorale del sudest del paese.
Raramente i temi di politica estera sono stati così importanti alle urne: lo sbandierato intervento di Ankara contro lo Stato Islamico si è poi rivelato una guerra contro i curdi di Turchia e di Siria, ma il cammuffamento è servito a poter poi accusare i jihadisti degli attentati che hanno insanguinato la campagna elettorale. Attentati sulla cui paternità è lecito nutrire più di un sospetto.
Scrive per noi Daniele Santoro:

“Prima del voto era legittimo stigmatizzare la politica del rischio perseguita da Erdoğan. All’indomani delle elezioni, bisogna rendere omaggio all’animale politico più spregiudicato e capace di Caoslandia. La sua strategia ha infatti funzionato su tutta la linea: il clima di paura ha indotto un milione di curdi a seguire il consiglio del “sultano” e voltare le spalle all’Hdp di Demirtaş.

Il risultato delle elezioni è gravido di conseguenze geopolitiche. All’indomani del voto, la principale incognita è infatti relativa all’atteggiamento che il presidente terrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. In tal senso, è possibile delineare due scenari.

Nel primo scenario, Erdoğan potrebbe essere tentato di interpretare il risultato delle elezioni come una forma di sostegno alla politica adottata nell’ultimo biennio e in particolare negli ultimi mesi.

C’è un secondo scenario, che muove dall’ipotesi secondo cui la spregiudicata strategia adottata da Erdoğan dopo Gezi Park sia dovuta alla sua paura di perdere il potere – e forse anche la libertà personale.

Dopo la vittoria di domenica, il presidente potrebbe inaugurare un’iniziativa di pacificazione interna. Certo, il prezzo della pace sarebbe molto elevato”.

Da Nena News
Elezioni in Turchia: l’AKP vince grazie alla paura
I segreti del successo del partito di Erdogan: controllo e censura di media considerati “ostili”, avvio di una campagna massiva contro i movimenti curdi dietro il paravento della lotta all’IS, demonizzazione delle opposizioni e gli attentati che hanno insanguinato prima Suruc, poi Ankara
di Francesca La Bella
Roma, 2 novembre 2015, Nena News – I dati delle elezioni turche sembrano parlare chiaro: il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) con il 49,41% dei voti e 316 seggi può formare un nuovo Governo senza necessità di coalizioni. Dopo che nelle elezioni di giugno, il Partito di Recep Tayyp Erdogan e Ahmed Davutoglu si era fermato al 40,87% e a 258 seggi configurando la necessità di elezioni anticipate a causa dell’impossibilità di creare un Governo di coalizione, la campagna elettorale serrata dell’AKP sembra aver premiato il Partito islamico, incoronandolo nuovamente alla guida del Paese. Per comprendere meglio i risultati di questa tornata elettorale e al cambio, apparentemente drastico, nelle scelte degli elettori, bisogna osservare attentamente questi cinque mesi di campagna elettorale e l’impatto degli eventi sul destino dei diversi partiti.

AKP: l’unico vero vincitore

La campagna elettorale dell’AKP è stata intensa e pervasiva e ha permesso al Governo uscente di ottenere altri quattro anni alla guida del Paese. Nonostante non siano stati raggiunti i 330 seggi minimi per la modifica della Costituzione, necessaria per permettere l’ampliamento dei poteri del Presidente della Repubblica come voluto da Erdogan, il supporto all’AKP sembra essere aumentato in maniera significativa in questi cinque mesi. Vari possono essere i fattori che hanno contribuito a questo incremento. Da un lato la non accettazione di mediazioni con gli altri Partiti e la forte spinta ad elezioni anticipate, ha convinto sia una percentuale di non-votanti sia una parte di sostenitori di altri gruppi a scegliere l’unico Partito che sembrava potesse offrire un Governo solido, stabile e duraturo. Il sentimento di insicurezza veicolato dalla guerra in Siria, dall’azione dello Stato Islamico (IS) e dal rinnovato aumento degli scontri tra Ankara e militanti curdi sembra aver spinto molti elettori verso la sicurezza rappresentata dall’AKP.

Le scelte del Governo in questi mesi si sono, dunque, dimostrate efficaci. L’avvio di una campagna massiva contro opposizioni di sinistra e movimenti curdi dietro il paravento della lotta all’IS ha polarizzato l’opinione pubblica, obbligando molti a una scelta di fronte. Allo stesso tempo, il controllo e la censura di media considerati “ostili” ha limitato le possibilità di propaganda di altre compagini, permettendo all’AKP di guadagnare spazi di espressione sempre più ampi e privi di voci discordanti. Infine, la demonizzazione delle opposizioni e gli attentati che hanno insanguinato prima Suruc, poi Ankara, hanno permesso al Partito di Erdogan di ergersi a tutore di una nazione sull’orlo della guerra civile, dove solo una mano forte avrebbe potuto riportare la stabilità. Da questo punto di vista sembra significativo far notare come, dopo l’annuncio della vittoria dell’AKP, sia gli indici di borsa, sia i valori della lira turca abbiano assistito ad un immediato incremento: una consacrazione della vittoria anche dal punto di vista economico.

CHP: un lieve incremento del sostegno non basta per governare

Il Partito Popolare Repubblicano (CHP) è il secondo Partito di Turchia. Nato dalla tradizione Kemalista e caratterizzato da una forte impronta laica, il Partito più longevo della storia turca ha, in queste elezioni, assistito a un lieve aumento dei suoi voti, rispetto alla tornata elettorale di giugno. Grazie al forte radicamento in alcune provincie occidentali come Smirne e Mugla, nonostante la campagna elettorale segnata da censure e violenze, il Partito Repubblicano è riuscito ad ottenere 134 seggi in Parlamento. La capacità del Partito guidato da Kemal Kilicdaroglu è stata quella di canalizzare lo scontento della popolazione per la deriva dittatoriale e censoria del Governo di Ankara, senza, però, assumere posizioni radicali. Da un lato il CHP non ha negato la sua disponibilità a possibili coalizioni con l’AKP come dimostrato nei colloqui successivi al 7 giugno, dall’altro, al momento della chiusura coatta di tre emittenti televisive, il Partito Repubblicano si è dimostrato inflessibile e pronto a avviare una campagna per la libertà di espressione.

Parallelamente, anche sul piano della lotta tra Ankara e militanti curdi nel sud est del Paese, il CHP ha assunto una posizione mediana, condannando sia il Governo per l’azione indiscriminata contro la popolazione curda e per l’innalzamento del livello di violenza nel Paese, sia il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) per aver indebolito il Partito Democratico del Popolo (HDP) scegliendo il ritorno alle armi dopo l’attentato di Suruc. In questa maniera, il CHP è riuscito a rafforzare la propria credibilità come Partito di opposizione moderato, pur non riuscendo ad ottenere una vera e propria vittoria che gli permettesse di entrare nel Governo.

MHP: il grande sconfitto

La campagna elettorale dell’AKP, chiaramente indirizzata a guadagnare il voto dei nazionalisti, sembra aver dato i risultati sperati. Il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), in questa tornata elettorale, avrebbe, infatti, perso 39 seggi, la maggior parte a favore del Partito islamico. Le motivazioni alla base del crollo del quarto Partito di Turchia (per numero di seggi, ma terzo per percentuale di voti ottenuti) possono essere ben sintetizzate dalle parole pronunciate dal Segretario del Partito, Devlet Bahceli, al momento dell’annuncio dei dati elettorali: il clima di terrore diffusosi nel Paese a seguito di violenze e attentati, avrebbe convinto molti simpatizzanti del Partito nazionalista a scegliere, in questa seconda tornata elettorale, la stabilità di un Governo a guida AKP. Pur avendo superato la soglia del 10%, entrando di diritto nel Parlamento turco, il MHP si trova ora in una situazione di debolezza avendo perso voti e supporto anche nelle provincie da sempre fedeli al Partito, come Kilis ed Osmaniye. Dopo il rifiuto di Bahceli di qualsiasi coalizione e il rinnovato interventismo di Ankara contro il movimento curdo, molti elettori nazionalisti si sono riconosciuti nel nuovo corso del Partito di Governo ed hanno ri-direzionato il loro voto verso chi avrebbe potuto, vincendo, portare avanti, anche se con le dovute differenze ideologiche, il progetto nazionalista di Grande Turchia.

HDP: una vittoria a metà

Il partito turco-curdo vede un calo di circa tre punti percentuali rispetto a giugno e si attesta a 59 seggi. Un decremento significativo che non impedisce, però, al HDP di entrare in Parlamento e di continuare il proprio percorso nonostante le difficoltà oggettive attraversate in questi mesi. Molto è successo nelle aree del sud-est della Turchia a maggioranza curda dopo il 7 giugno: dopo un periodo di apparente pacificazione tra militanti curdi e Governo centrale, una nuova fase bellica si è aperta e continua ancora oggi.

Le azioni del PKK e delle sue milizie contro lo Stato turco, accusato di sostenere le azioni dell’IS nell’area e di seminare la paura reprimendo indiscriminatamente la popolazione locale solo perché curda, hanno portato a un intervento di ampia scala di Ankara nell’area. Dopo mesi di scontri armati in tutte le maggiori città delle provincie sud-orientali, arresti di militanti e rappresentanti politici e imposizioni di coprifuoco anche lunghe giorni, come nel caso di Cizre, le elezioni si sono svolte in un clima di grande tensione. La presenza di numerosi osservatori internazionali non ha impedito che venissero denunciati brogli e violazioni delle procedure in diversi seggi. Se in alcune cittadine, come Yuksekova, il Governo di Ankara aveva preventivamente vietato, per questioni di sicurezza, l’utilizzo delle scuole della città come seggi e la popolazione ha dovuto spostarsi nelle città vicine per votare, in altre città sono state denunciate azioni della polizia contro gli elettori e gli osservatori fuori e dentro ai seggi: scontri e gas lacrimogeni a Van, militari all’interno del seggio a Cizre, militari schierati a ridosso dei seggi nei principali quartieri di Diyarbakir.

Le condizioni di voto e lo stato di latente guerra civile degli scorsi mesi non basterebbero, però, a spiegare il calo dei voti diretti al HDP. Da un lato, a fronte di una situazione sempre più polarizzata, il HDP ha dovuto schierarsi, perdendo, come logica conseguenza, sia una parte di voti moderati sia una parte di voti radicali. Dall’altro, la grande vittoria di giugno aveva fatto sperare che fosse possibile giungere ad una soluzione della questione curda attraverso il canale parlamentare. Gli avvenimenti di questi mesi e la sfiducia nel Governo a guida AKP, hanno, in parte, ridimensionato questo sentimento. Sembra, però, necessario ricordare che il superamento della soglia del 10% era considerato, a giugno, un successo sperato, ma non sicuro e la presenza di 59 membri del HDP nel nuovo Parlamento rende questa tornata elettorale, comunque, vittoriosa per il Partito curdo-turco.


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