Colombia – La resistenza della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò

La Colombia dal 21 novembre 2019 è scossa da proteste che tutti i commentatori definiscono storiche sia per la partecipazione di massa alle manifestazioni e agli scioperi sia per la determinazione e le forme di lotta che si stanno portando avanti.
Iniziate contro le politiche economiche del governo Duque, le proteste, con una grande presenza di giovani, si sono allargate alla gestione complessiva del potere. Il Governo all’inizio ha risposto con la repressione che è costata la vita ad alcuni manifestanti, tra cui un diciottenne, Dilan, un ragazzo come tanti sceso in piazza per il proprio futuro è ucciso dai corpi antisommossa messi in campo dal governo dal presidente Iván Duque.
Come in Cile in gioco non ci sono solo temi economici, legati alla grande disparità presente nel paese dove anche studiare per i giovani è un problema, ma anche la voglia di voltare pagina, di poter essere liberi e di poter costruire un futuro in cui mobilitarsi, lottare, manifestare non significhi essere vittima della repressione violenta dei militari e dei gruppi paramilitari, come succede a leader indigeni, contadini e sociali.

La città di Padova, in collaborazione con la Rete In Difesa di, da tempo ha avviato il percorso per aderire alla proposta di essere Città rifugio, Shelter City, ovvero un luogo dove i difensori dei diritti umani possano per un periodo essere ospitati.
All’interno del percorso si è svolto a novembre 2019 l’incontro con un ospite d’eccezione Jesus Emilio Tuberquia, difensore della dignità umana e membro della colombiana Comunita di Pace di San Josè de Apartadó.
Ad accompagnarlo sono stati i volontari e operatori di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, parte della rete In Difesa Di, che dal 1992 é attivo in territori di conflitto armato, o conflitto sociale acuto, per rappresentare una presenza di pace che ha come primo intento la protezione dei civili.
L’incontro è stato aperto dall’Assessora Francesca Benciolini, che ha aggiornato sulle tappe già percorse e le prossime azioni da intraprendere per concretizzare l’idea di Padova, Città rifugio.

Jesus Emilio inizia definendo la comunità di pace come una piccola organizzazione di contadini che nasce nel bel mezzo della guerra, per vivere in mezzo alla guerra. I membri sono sfollati interni a causa del conflitto civile che é protagonista in Colombia da molti anni, ma si rifiutano categoricamente di abbandonare le proprie terre. Questa resistenza ha il duplice intento di difesa di un territorio che, oltre ad essere casa della comunità colombiana, ne rappresenta il principale mezzo di sostentamento e di calamita attrattiva per l’attenzione pubblica internazionale in relazione alle gravi violazioni dei diritti umani che su di esso vengono perpetrate.
La sopravvivenza dell’associazione organizzata dipende proprio dagli incontri che avvengono tra i suoi portavoce e la comunità internazionale.
Per questo già solo il fatto di trovarsi in territorio italiano, avendo così la possibilità di parlare della dura realtà che vive sulla propria pelle quotidianamente, per Jesus Emilio rappresenta una grande opportunità.

La Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò

La nascita della Comunidad de Paz risale al 1997, avvenuta per reazione all’instabile periodo che la zona di Antioquia viveva all’interno del conflitto civile. Quest’ultimo vide attivi numerosi attori armati tra cui l’esercito colombiano, i gruppi paramilitari e le Forze Armate Rivoluzionarie (FARC). Dal 1994 moltissime persone, che fino a quel momento avevano vissuto in pace, dovettero spostarsi dalla foresta a nord-ovest del Paese, abbandonando quella che poco prima consideravano la propria casa, ritrovandosi di fronte alla necessità di riorganizzarsi in comunità autonome per non venire schiacciate dalla guerra civile. Le stesse comunità chiesero formalmente ai membri di Peace Brigades International in Colombia un accompagnamento permanente. Così facendo scelsero apertamente di non schierarsi e non manifestare appoggio a nessuna delle parti che dagli anni Settanta alimentavano il conflitto colombiano.
Il 23 marzo del 1997, fu firmata una dichiarazione pubblica, in presenza di svariate organizzazioni, la Chiesa Cattolica, la Croce Rossa Internazionale e il sindaco del comune di Apartadó, la quale segnò la nascita della comunità organizzata, donandole, solo formalmente, protezione e legittimazione.
Enorme fonte di ispirazione per la costituzione di un’associazione organizzata – dichiara Jesus Emilio – é stata la resistenza indigena, che in Colombia porta dietro di sé una storia millenaria di lotte e rivendicazioni. In questo modo si costituì ufficialmente e scrisse il suo manifesto fondativo.
Niente cocaina, niente armi, niente guerra, no alla riparazione individuale delle vittime, si alla condivisione della terra e al lavoro collettivo” sono solo alcune delle posizioni prese dagli abitanti della Comunità di Pace che, con la redazione dello statuto, segnarono una rottura netta con le politiche del governo di Álvaro Uribe Vélez. I membri da sempre si impegnano a non partecipare, direttamente o indirettamente, alla guerra, a non portare armi, a denunciare le violazioni commesse dalla guerriglia e dai paramilitari e a non rispondere alla violenza con la violenza, nonostante le persecuzioni giudiziali, gli sfollamenti forzati e i crimini violenti subiti.

Dal 1997 ad oggi la comunità ha perso più di 350 membri a causa di violenze e assassinii. È stato utilizzato contro di noi qualsiasi strumento di guerra, pur essendo parte della popolazione civile colombiana. Parliamo di circa tremila violazioni dei diritti umani in questi 23 anni di esistenza.

Per il governo colombiano le comunità resistenti come questa rappresentano un vero problema: la radicalità e la fermezza nelle posizioni hanno da sempre reso queste piccole famiglie di contadini incorruttibili. Anche e soprattutto per la neutralità rivendicata, nel mese di febbraio del 2005 la comunità subì un violento massacro dove persero la vita Luis Eduardo Guerra, giovane leader della comunità e membro del Consiglio Interno, la sua compagna diciasettenne Bellanira Areiza Guzmann e suo figlio Deiner Adres Guerra, già ferito da una granata l’11 agosto del 2004.
L’azione violenta messa in atto per intimorire la Comunità di Pace portò la firma dell’esercito governativo, come venne denunciato dalla stessa comunità.

Ad oggi, attraverso un tipo di organizzazione comunitario, i membri della comunità sono riusciti a ricostruire le abitazioni distrutte dagli attacchi susseguitisi negli ultimi anni, riuscendo nuovamente a fruire delle proprie terre e acquistandone di nuove da coloro i quali si sono rifiutati di tornare nel territorio di conflitto. Questo é stato fatto in modo totalmente autonomo e col fine di conseguire l’autosufficienza alimentare.
A livello di organizzazione interna, la Comuninad de Paz si autogestisce attraverso un Consiglio formato da otto persone elette democraticamente, solo e soltanto nel caso in cui esse ottengano il 70% di approvazione sulla totalità di membri. Non poche sono le difficoltà che si incontrano nel tentativo di ricostituzione di un tessuto sociale solido, il cui progetto si é avviato a partire dalla formazione di figure che possano avere un ruolo educativo all’interno delle strutture scolastiche, anch’esse da ripristinare da zero, passando poi dalla creazione di centri di aggregazione comunitaria, ristoranti e locali pubblici.
“Questo é il costo che abbiamo dovuto pagare in quanto difensori dei diritti umani. L’85% delle violazioni sono state commesse dallo Stato e il restante 15% da parte delle FARC, quando ancora operavano nella zona.”

Jesus Emilio porta poi all’attenzione di tutti il fatto che il susseguirsi di differenti governi negli ultimi anni non ha cambiato minimamente le cose per i membri della comunità, che si vedono tutt’ora perseguitati e minacciati, come se lo Stato avesse decretato il loro sterminio.
Jesus stesso ha subìto ben quattro attentati negli ultimi 10 anni e l’ultimo di cui é stato testimone é avvenuto il 29 dicembre del 2017, con il tentato omicidio del rappresentante legale della comunità Germán Graciano Posso. La sua vita é stata risparmiata solamente grazie ad un intervento collettivo comunitario e alla presenza sul territorio delle organizzazioni internazionali come Operazione Colomba. Le innumerevoli violazioni dei diritti umani perpetrate nella zona sono state più volte portate all’attenzione delle corti internazionali, tanto che la Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha dettato delle misure cautelari provvisionali di protezione della comunità. Anche i magistrati della Corte Costituzionale colombiana hanno decretato sentenze a favore di quest’ultima, ma questo non è stato sufficiente per far sì che le forze pubbliche arrestassero la persecuzione. Data l’impunità mostrata dal governo colombiano, già sedici anni fa i rappresentanti legali hanno richiesto l’attenzione della Corte Penale Internazionale domandando giustizia, la quale nemmeno in questo caso arriverà, essendo ormai passato il tempo limite in cui l’istituzione avrebbe potuto attuare il proprio intervento. Recentemente é stato richiesto a quest’ultima un incontro specifico sul caso, richiesta per la quale non si é mai ricevuta risposta.

Ci troviamo in posizione di rottura con lo Stato colombiano perché non crediamo nella legittimità del nostro governo, perché uno Stato che uccide i propri cittadini, civili, bambini, donne e anziani, la cui protezione dovrebbe essere sancita dalle misure avanzate dalla Commissione Interamericana e della stessa Corte Costituzionale, é uno Stato illegale.

La strategia ora implementata dal potere pubblico é quella di togliere alle Comunità il diritto alle proprie terre, una vera volontà di sterminio nel loro confronti, dal momento che la loro stessa esistenza dipende dalla possibilità di lavorare la terra.

Gli interessi in gioco

San José de Apartadó è una delle oltre 50 Comunità di pace e in resistenza civile colombiane che resistono con gli strumenti della nonviolenza alla guerra e allo sfollamento forzato, reclamando con forza il loro diritto a essere riconosciute come popolazione civile non combattente in un contesto di guerra a bassa intensità che, dalla fine degli anni Quaranta, insanguina la Colombia. La Comunità di Pace di San José de Apartadó si trova nella giurisdizione di San José de Apartadó, la più grande per estensione del Comune di Apartadó, nella regione di Urabà, al nord ovest della Colombia, al confine con Panama. La sua ubicazione, porta di ingresso della catena montuosa di Abibé, fa di questa zona un punto strategico per gli attori armati del conflitto (esercito e paramilitari, guerriglia), dal momento che l’Abibé permette il passaggio verso i dipartimenti di Cordoba, Chocò e Antioquia. Oltre a questo, esistono sulla zona forti interessi economici, come ad esempio la costruzione di un canale secco, parallelo al canale di Panama, tanto desiderato dalle multinazionali, lo sfruttamento delle miniere di carbone e del legno, che in questa zona è molto pregiato e si trova in grande quantità.
La strategia dello Stato obbedisce ai grandi interessi presenti in un territorio che risulta inoltre essere vantaggioso per le monocoltivazioni, ricco di riserve acquifere e petrolifere.

La presenza della Colombia all’interno del Trattato sul Libero Commercio (siglato tra Stati uniti, Perù Colombia ed Ecuador) legittima lo sfruttamento geografico e strategico di queste terre. Emblematico esempio di impresa multinazionale presente nella zona é quello del celebre Chiquita Brands International. Impresa che, come dimostrano le carte in possesso della Comunità di Pace, ha fatto pagamenti alla Convivir Papagayo, la quale ha favorito l’importazione sul territorio di armi e da tempo finanzia l’operato delle forze paramilitari.

In passato anche Coca Cola era presente sulle stesse terre colombiane, sino a quando fu costretta ad uscirne in seguito alle denunce dei sindacati che ne dimostravano legami finanziari con i gruppi paramilitari.

Sempre più numerose ed emergenti negli ultimi anni le imprese cinesi, che mirano allo sfruttamento delle miniere di carbone presenti sul territorio.

Oltre a questo la radice del problema – afferma Jesus Emilio – é storicamente anche di natura politica. Lo Stato colombiano, già nel 1963 ha decretato la “persecuzione del pensiero comunista”, che ha significato la repressione brutale di ogni forma di movimento e di organizzazione sociale dal basso.
L’allora governo colombiano stipulò un accordo con quello degli Stati Uniti, per l’invio nel paese di unità militari incaricate di annichilire qualsiasi organizzazione sociale e sterminare i principali leaders dell’opposizione, ovvero coloro le cui idee politiche andavano in contrasto al pensiero neoliberista e conservatore.

La maggiore difficoltà che stiamo affrontando in questo momento é quella relazionata alle tasse che lo Stato ci impone sulle nostre terre, che raggiungono una somma complessiva pari a circa quarantamila euro.

Lo Stato colombiano mira in questo modo a silenziare e depotenziare le possibilità strategiche della comunità e che il loro esempio contagi altri territori.

Di seguito riportiamo alcuni spunti di stampo letterario raccolti da pubblicazioni ed interviste ai contadini e alle contadine della comunità di pace di San Josè de Apartadò, oltre che agli accompagnatori internazionali.
Si tratta di un effluvio spontaneo di idee, esperienze di vita, sogni, sofferenze ma, soprattutto, lezioni di vita e dignità, donate generosamente dai protagoniste di questa formidabile resistenza.

La stigmatizzazione
Nella comunità di pace di San Josè de Apartadò, abbiamo sofferto le conseguenze di questa logica “chi non sta con me, sta contro di me” e siamo stati additati dall’uno e dall’altro attore armato in seguito alla nostra decisione di resistere contro di loro. Ognuno indica la comunità come collaboratrice dell’altro, però noi abbiamo risposto con la trasparenza di un processo costruito comunitariamente, conseguenza della situazione che viviamo a causa dello sfollamento, le minacce e gli omicidi. Di fronte a questa violenza che pretende imporre la morte, abbiamo resistito seminando la vita e lasciando le nostre impronte sulla terra che ci rifiutiamo di abbandonare.
Da San Josè de Apartadò: caminos de resistencia. Alternativas de la población civil en medio del conflito, Comunidad de Paz de San José de Apartadó, Equipo de formación.

La fame
Lo sfollamento ci lasciò nella miseria perchè perdemmo tutto, i raccolti furono lasciati nelle terre abbandonate e il tempo concesso dai paramilitari e dall’esercito per abbandonare i villaggi ci permise appena di salvare la vita. Al nostro arrivo a San José la situazione era desolante perchè non c’era da mangiare, non c’era assistenza sanitaria, nessuno poteva garantire la sopravvivenza degli sfollati che avevano deciso di fermarsi e resistere con il processo di neutralità. La Comunità di Pace di San José de Apartadó ci ha permesso di rispondere a questa situazione di miseria e di espropriazione con il lavoro comunitario che ha dato a tutti la possibilità di avere condizioni minime di sopravvivenza.
Da San Josè de Apartadò: caminos de resistencia. Alternativas de la población civil en medio del conflito, Comunidad de Paz de San José de Apartadó, Equipo de formación

La bambina della pietra
Un altro momento in cui sono fuori dalla casa, seduto, annotando alcune impressioni. Sono vicino a delle pietre, le pietre della memoria. Sono dipinte con vari colori. E sopra i colori, i nomi delle persone, i nomi delle vittime assassinate in questi quasi dieci anni di lavoro della Comunità di pace. Queste pietre arrivano dal fiume, sono parte della natura, sono dipinte e scritte per ricordare, sono parte della storia. Non sappiamo se un giorno ci sarà giustizia, però l’unica cosa di cui non dubitiamo è che non ci sarà oblio, giammai. Una bambina di sei anni si avvicina, prende una delle pietre scritte e me la mostra. Leggo un nome di uomo. Lei dice: “Questo è mio padre”. Dio santo! esclamo dentro di me, e un’altra volta chiudo gli occhi con forza per evitare che scendano le lacrime.
Da Nacen flores en el jardin devastado, di Mario Gonzales Sastre, volontario Acompaz, visitò San José nel 2006


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