Ecuador – Proteste e diritti indigeni in Amazzonia

Incontro svolto il 10 ottobre 2019 nella sede del Dipartimento ICEA – Ingegneria Civile Edile e Ambientale – Via Ognissanti 34, PD

Il primo appuntamento a Padova del ciclo di incontri Amazzonia, deforestazione, estrattivismo fossile: diritti dei popoli indigeni e alternative, organizzato dal Dipartimento ICEA – Ingegneria Civile Edile e Ambientale – e Master in GIScience e droni per la gestione del territorio, è aperto dai saluti di Chiara Gallani, assessora all’ambiente del Comune di Padova e Francesca Benciolini, assessora alla cooperazione internazionale.

Reduce da una riunione intercontinentale della Rete In Difesa Di, tenutasi all’Aia nel quadro del progetto “Shelter Cities”, l’assessora Benciolini afferma l’importanza crescente della creazione di una rete tra enti locali, i quali possono diventare delle città rifugio a difesa dei diritti umani. In questo senso, anche Padova si afferma in quanto città in difesa dei diritti delle comunità indigene dell’Amazzonia.

Lottare per i diritti delle persone, vuol dire intrinsecamente lottare per i diritti dell’ambiente, le due cose non possono avanzare separatamente

Continua dicendo che il tema ambientale è uno dei temi centrali degli ultimi anni, forse perché, per la prima volta, ci stiamo rendendo conto del legame inscindibile che intercorre tra noi esseri umani e l’ambiente che ci circonda. Non esiste un “noi e l’ambiente”, solo un “noi nell’ambiente”, consapevolezza alla quale le popolazioni indigene sono arrivate da secoli.
Prende poi la parola Massimo De Marchi, coordinatore del progetto di ricerca “Cambiamenti climatici, territori, diversità” del Dipartimento ICEA dell’Università di Padova per presentare l’ospite d’eccezione Milagros Aguirre, giornalista e scrittrice ecuadoriana, che da sempre si batte per il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene presenti sul territorio Yasuni.
De Marchi racconta di come, storicamente, l’Amazzonia non sia integrata nella cultura dell’Ecuador, aspetto comune anche ad altri paesi sud americani. La colonizzazione dell’America Latina, infatti, nasce dalle coste, lasciando l’Amazzonia come ultimo punto di conquista. Quest’ultima avviene più di recente, tramite dei processi di endocolonizzazione – colonizzazione interna – attraverso i quali, nell’immaginario collettivo, la foresta diviene un luogo in cui dei popoli nulla facenti siedono sopra una miniera d’oro.
Il docente continua sostenendo che è proprio questo tipo di visione, egemone in molti paesi sudamericani, a legittimare l’azione violenta dei governi nei confronti degli indigeni e del loro territorio, si pensi ad esempio al Brasile di Bolsonaro.

Viene evidenziata l’importanza di dare una voce alla progettualità dei popoli indigeni, ripartendo da una pianificazione politica che provenga dal basso.
Il docente termina il proprio intervento introducendo la tematica dei gruppi indigeni non contattati che, per scelta o per costrizione, hanno deciso di isolarsi nelle più profonde zone della foresta amazzonica. Pur non essendo direttamente in contatto con la società maggioritaria, sono minacciati dai flussi di materia ed energia veicolati da pratiche quali deforestazione ed estrattivismooperati in nome del progresso neoliberista infinito.
Come trovare un modo per rendere visibile, ciò che visibile non è? E come costruire uno spazio di diritto in cui farlo?

“Perché i problemi esistono indipendentemente dal fatto che essi siano palesati davanti ai nostri occhi o meno, essi coinvolgono storie, persone e territori.”

La scrittrice Milagros Aguirre esordisce lanciando una critica ai media mondiali e al Vaticano, sostenendo che sia le notizie sugli incendi nella foresta, indiscusse protagoniste nelle ultime settimane, sia il Sinodo Speciale per la regione Panamazzonica, convocato da Papa Francesco nel mese di ottobre, si basano su false premesse, o meglio su una visione romantizzata di ciò che l’Amazzonia è.

La foresta viene pensata ecologicamente in quanto polmone del pianeta e mai in quanto CASA di svariati gruppi umani

Quando si immagina il territorio Yasunì si pensa ad una foresta verde senza confini, un paradiso in cui la gente vive, nuda e libera, di caccia, pesca e frutti che la natura offre. La realtà attuale è tutt’altro che idilliaca. Il territorio è stato trasformato in un imponente scenario industriale, fatto di strade, pozzi petroliferi, piattaforme estrattive e impianti di combustione, che occupano tutto lo spazio e cambiano la vita di chi quelle aree naturali le abita da secoli, anche di coloro con i quali non si è mai avuto un reale contatto.

La giornalista afferma che quello che sappiamo per certo delle popolazioni indigene non contattate è che esse vivono in piccoli gruppi familiari nomadi di cacciatori-raccoglitori. Hanno subito due grandi attacchi negli ultimi anni, uno nel 2003 e l’altro nel 2013, in cui a morire sono stati soprattutto donne e bambini.
Una delle maggiori problematiche che oggi li riguarda è la distanza che li separa dalla società nazionale, la quale impedisce una reale comprensione della complessità della situazione e, in un certo senso, legittima le azioni invasive operate sul loro territorio.
La zona territoriale di sfruttamento del Yasunì è divisa in cinque grandi blocchi petroliferi: i numeri 14 e 17 operati dalla China Andes Petroleum, il 31 dalla statunitense Occidental Petroleum Corporation, l’1 dalla statale Petroamazonas e il 43 operato da quest’ultima in collaborazione con compagnie cinesi.
Aguirre racconta di come il governo ecuadoriano di Jamil Mahuad, nel 1999, annunciò la creazione di due Zone Intangibili, ovvero aree protette in cui è vietata qualsiasi attività di sfruttamento ambientale, Cuyabeno e Tagaeri Taromenane, quest’ultima all’interno del Parco Nazionale Yasunì. Nonostante questo, la fervente attività delle imprese multinazionali è continuata indisturbata, caratterizzandosi, in alcuni casi, dall’uso strumentale delle conoscenze degli indigeni Waorani, popolazioni già contattate, da parte dei “madereros” (tagliatori commerciali di legname), al fine di penetrare il cuore della foresta. Le incursioni nelle profondità amazzoniche sono state spesso caratterizzate dall’utilizzo della violenza su membri delle tribù non contattate.
Nell’anno corrente, il Presidente Lenin Moreno, ha promosso una consulta popolare per aumentare la superficie della Zona Intangibile di altri 50 000 ettari, per raggiungere una superficie totale che ne comprende 818 502. A detta di numerose organizzazioni, l’ampliamento del decreto del 1999 avrebbe, in realtà, l’obiettivo di aumentare lo sfruttamento petrolifero, proponendo inoltre la demilitarizzazione dell’area circostante alla Zona Intangibile, la cosiddetta zona de amortiguamento, che si rivela quindi disponibile alle operazioni estrattive. Quest’ultima, dichiara la giornalista, risulta oggi essere un fiume di petrolio.

L’area naturale in questione è dimora ancestrale del popolo Waorani, ma anche di altri gruppi in isolamento spesso dimenticati, come i Tagaeri e Taromenane, gli Shuar e i Kichwa, che vedono la propria esistenza minacciata dalle attività della società metropolitana e il proprio spazio vitale e di autodeterminazione ridursi sempre più.

La giustificazione avanzata è la stessa da 40 anni a questa parte: l’interesse della maggioranza; ma la minoranza non risulta ottenere benefici, al contrario, viene sacrificata

Riportando il testo dell’articolo 57 della Costituzione della Repubblica dell’Ecuador; Aguirre rimarca il fatto che, non rispettandolo, il governo ecuadoriano, oltre a violare i diritti umani delle popolazioni indigene, si macchia di crimini violenti:

I territori dei popoli in isolamento volontario sono loro possedimento ancestrale irriducibile e intoccabile, e sarà vietata qualsiasi tipo di attività estrattiva all’interno di essi. Lo Stato garantirà i mezzi necessari per garantire loro la vita, fare rispettare la loro autodeterminazione e volontà di rimanere isolati, e garantire l’osservanza dei loro diritti. La violazione di questi costituirà delitto di etnocidio, che sarà normato dalla legge. Lo Stato garantirà l’applicazione di questi diritti collettivi senza alcuna discriminazione, in condizioni di uguaglianza ed equità tra donne e uomini

A concludere la conferenza è il docente e ricercatore Master in GIScience Eugenio Pappalardo, che propone un’approfondita analisi sulla tematica dei fuochi petroliferi in territorio amazzonico e del monitoraggio ambientale dal basso, basata sugli studi svolti, e tutt’ora in svolgimento, nell’ambito del progetto di ricerca Cambiamenti Climatici, Territori, Diversità.

l primo dato lampante emerso dall’intervento di Pappalardo riguarda l’Amazzonia Brasiliana che, dal 1970 ad oggi, ha perso circa il 25% del suo territorio a causa di incendi e deforestazione.
Per ciò che concerne gli studi sull’area amazzonica ecuadoriana, il ricercatore parla di “schizofrenia territoriale” per evidenziare la situazione paradossale in cui i popoli non contattati semi-nomadi, che hanno una capacità di movimento di 40 chilometri al giorno, ritrovano il proprio territorio, quasi geometricamente diviso tra zone protette, aree di deforestazione, blocchi petroliferi e campi di produzione agricola ed estrazione mineraria. Il 70% dell’Amazzonia ecuadoriana è progettato per l’estrattivismo, pratica che oltre ad avere un enorme impatto ambientale, ha impatti sulla vita delle persone, soprattutto sulla loro salute. Si riscontra un’elevata presenza di sostanze tossiche nell’acqua che animali della foresta e i locali bevono.
Pappalardo chiude la conferenza avanzando possibili prospettive sulla situazione, che vedono come protagoniste le voci e l’attivismo diretto delle popolazioni indigene, considerate inoltre da associazioni del calibro di Survival International come i migliori conservazionisti presenti sul pianeta, le cui conoscenze ancestrali sono forse l’unica speranza di risoluzione della crisi globale che riguarda ormai tutti noi.

Per approfondire: Oggi in Ecuador

Il 27 settembre 2019, la CONAIE – Confederación de Nacionalidades Indìgenas del Ecuador – rilascia un comunicato indirizzato al governo ecuadoriano, a giustificare le azioni di mobilitazione che hanno visto riunirsi un’enorme fetta delle popolazioni indigene presenti sul territorio nazionale. Le rivendicazioni hanno avuto come tematiche centrali proprio il rifiuto delle attività di estrattivismo petrolifero e minerario nei territori da loro abitati, esigendo inoltre che il governo prenda misure adatte alla preservazione dell’ambiente e al superamento della crisi economica generalizzata. Nello specifico si è protestato contro l’imposizione di politiche neoliberali da parte del presidente Moreno, la possibilità di prendere accordi col Fondo Monetario Internazionale e l’utilizzo della violenza sui corpi delle manifestanti e dei manifestanti indigeni.
Il decreto 883, cosiddetto Paquetazo, prevedeva l’introduzione di misure di austerità, come l’eliminazione dei sussidi per la benzina, l’abbassamento del 20% degli stipendi dei lavoratori pubblici precari e colpiva duramente l’economia dei contadini, dei settori popolari, dei lavoratori e delle lavoratrici. Il FMI avrebbe, dal canto suo, fornito all’Ecuador un credito di 4,2 miliardi di dollari da usare per risollevare l’economia del paese.
Dal 3 ottobre le proteste si estendono a livello nazionale, includendo inoltre la generalità della popolazione, il movimento sindacale, le organizzazioni popolari, i movimenti delle donne e gli studenti.
La durissima repressione del governo, che ha causato 10 morti, centinaia di feriti e oltre un migliaio di arresti, non ha fermato la lotta indigena e popolare, poiché come affermato dalla leader indigena Katy Machoa.

Queste politiche neoliberali vanno contro gli interessi popolari, con le pressioni del FMI cercano di riattivare l’economia degli imprenditori ma non quella della gente, del popolo, dei contadini.

Durante un tavolo di dialogo tra i leader indigeni e il presidente Lenin Moreno tenutosi domenica 13 ottobre, il governo viene accusato di aver violato diritti umani e costituzionali durante gli 11 giorni di proteste.

Finalmente, nella serata del medesimo giorno il presidente dichiara che si aprirà un tavolo per una soluzione condivisa e che il decreto 883 verrà modificato e sostituito.
In un sentimento generalizzato di gioia, le dimostrazioni in strada si placano nei giorni successivi.

Articolo a cura di Damiano Giunta


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