Marocco – Le proteste del Rif si allargano a tutto il paese

Sono in sciopero della fame i portavoce della protesta del Rif, incarcerati dal Governo nelle scorse settimane per le manifestazioni che si susseguono dallo scorso dicembre dopo la morte di Mohssine Fikri, pescivendolo ambulante di Al Hoceima, triturato in un camion della spazzatura mentre cercava di recuperare i 500 chili di pesce spada confiscati dalla polizia.

La mobilitazione continua ad allargarsi come se il movimento della zona del Rif desse voce ad un malcontento che non riguarda solo le zone periferiche.
Come accade ovunque ed in particolare nel contesto mediorientale e nordafricano, le vicende sociali hanno molte sfaccettature. Per questo approfondire quel che accade è importante per non avere uno sgurado superficiale.

Il Marocco è un paese in cui la monarchia ancora non è stata messa in discussione e il giovane sovrano Mohamed VI è riuscito fino ora a passare indenne, usando il bastone e la carota, attraverso l’onda delle cosiddette primavere arabe.
Ma corruzione, accentramento di ricchezze e poteri, squilibri sociali, mancanza di giustizia permangono esprimendosi in quel senso di insofferenza che viene chiamato “hogra” e che racchiude tutta la distanza e la mancanza di fiducia soprattutto dei giovani nel sistema. Esprimere il proprio dissenso, scendere in piazza oggi diventa ancora più difficile alla luce della crisi, della guerra, della percezione di paura che si vive in tutto il mondo e con le proprie particolarità in tutta la zona che va dal Marocco all’Iran.

Le proteste partite dal Rif, zona periferica del Marocco, sono state l’occasione per riprovare a scendere in piazza. Tutto non è lineare e facilmente leggibile, tanto è vero che numerosi articoli raccontano di come gruppi islamici radicali si siano inseriti dentro le proteste. Tutto questo in uno scenario in cui nelle scorse elezioni il partito dell’islam politico, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ha riottenuto la maggioranza trovando modo di convivere bellamente con la monarchia al di là della formale opposizione. Tanto è vero che oggi il paese è governato da una coalizione di sei partiti tra cui il Rassemblement national des indépendants, guidato da un uomo d’affari che i commentatori definiscono essere molto vicino al re.

Per approfondire quel che succede vi proponiamo alcuni articoli usciti negli ultimi mesi, nella convinzione che come sempre capire è importante anche per trovare le strade per sostenere chi realmente prova a cambiare le cose, e non chi lo fa strumentalmente per mantenere intatto il sistema, anche cambiandogli il vestito.

Il Rif

La protesta, partita all’indomani della morte del pescatore Mohssine Fikri, affonda le sue radici nella situazione del Rif: si tratta di una zona che ha sempre avuto dissensi col governo centrale, tanto è vero che il secolo scorso, durante la guerra coloniale con la Spagna, aveva proclamato una breve indipendenza sotto la guida berbera. È una zona dove più forti sono povertà ed emarginazione.
Il padre dell’attuale re Mohamed VI, Hassan II diceva che c’è un Marocco utile e un Marocco inutile. Ed è proprio a causa del suo passato secessionista che la regione del Rif non rientrava fra le zone territoriali che avevano il suo favore. Dopo i movimenti del 1984 lanciati dagli studenti, Hassan II aveva deciso di escludere la regione del paese dai piani di sviluppo.
Nelle montagne aride la popolazione vive soprattutto di coltivazione di cannabis. Dopo l’arrivo al potere, Mohamed VI aveva proclamato di voler avviare un piano di riconciliazione con gli abitanti di questa regione berbera, ma la realtà continua ad essere quella di una mancanza di risorse locali che fanno aumentare la frustrazione: il tasso di disoccupazione è del 21%, cioè il doppio di quello nazionale.

Cronaca

28 Ottobre 2016
Mohssine Fikri pescivendolo ambulante di Al Hoceima (città situata a Nord nella regione settentrionale del Rif), muore stritolato nel tritarifiuti del camion dell’immondizia mentre protestava contro la requisizione della sua merce confiscata ingiustamente dalla polizia. La tragica morte ripresa con un cellulare e postata sui social network, da il via ad una rivolta, le cui rivendicazioni affondano nella situazione di marginalità della regione, che si propaga viralmente nelle zone limitrofe, arrivando in pochi giorni ad attirare anche l’interesse della stampa internazionale.

10 Dicembre 2016
Durante la giornata internazionale per i diritti umani ad Al Hoceima si svolge una grande manifestazione che riempe le vie della città. Tra media locali, attivisti e manifestanti si calcola che ci fossero all’incirca 100 mila persone. Si protesta per chiedere autonomia, diritti e libertà reali.

Da dicembre ad aprile
Continuano presidi e inziative in uno stato di mobilitazione continua. Il Governo risponde con lo stato d’emergenza e la militarizzazione della zona. La protesta trova appoggio in tutto il paese, diventanto il simbolo della generale insoddisfazione. Nasser Zefzafi, un disoccupato della zona, viene descritto nei media come il portavoce della protesta ed in molte occasioni arringa la folla durante le iniziative, rilascia interviste non solo ai giornali nazionali. La sua immagine inizia a circolare anche all’estero.

7 Aprile 2017
Il tribunale di prima istanza di Al Hoceima condanna con pene tra i cinque e gli otto mesi sette persone coinvolte nella morte di Fikri, ovvero gli agenti intervenuti durante la morte del pescatore. E’ una sentenza che fa ulteriormente crescere la protesta: è come se lo stato si fosse assolto dalle colpe, alla base di quel che è successo. Gli organizzatori delle proteste reclamano soprattutto miglioramenti economici e sociali. Dopo la sentenza un attivista dichiara: “stiamo chiedendo da mesi la costruzione di un ospedale specializzato nella cura del cancro, la creazione di un’università e l’abolizione del decreto del 1958 con il quale si considera Al Hoceima una zona militarizzata”.

14 Maggio 2017
Sei partiti della maggioranza di governo, capeggiati dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo ( partito islamico al potere) pubblicano un comunicato nel quale accusano chi protesta di “promuovere idee distruttive che seminano discordie” e peggio ancora di essere “separatisti”. Tutto questo è parte di una generale campagna di diffamazione che cerca di screditare chi protesta e nasconderne le profonde ragioni.

18 Maggio 2017
Viene convocato uno sciopero generale e migliaia di persone scendono in piazza con lo slogan: “Siete una mafia, non un governo”. Sei mesi dopo l’inizio delle proteste, la tensione non si placa.

Fine maggio 2017
Di fronte al permanere della protesta. Il Governo cerca di mostrare un volto conciliante.Una delegazione di ministri ed esponenti di istituzioni pubbliche si recano al Rif annunciando progetti sociali, educativi e nuove infrastrutture ma nessuna concessione politica e culturale. Promettono l’apertura di una sede distaccata dell’università di Tangeri ad Al Hoicema, la riqualificazione delle scuole, l’assunzione di 500 professori, la ristrutturazione e l’acquisto di un centro oncologico e annunciano la scelta da parte dello Stato di investire 900 milioni di euro nella regione.

Mentre il Governo vuole apparire conciliante a rompere il clima di pseudo tregua ci pensa il Ministro degli Affari Islamici, Ahmed Taofiq, che impone per la preghiera del venerdì a tutti gli imam di rimproverare i giovani ribelli, accusandoli di fomentare la “fitna”, ossia lo scontro tra musulmani.
All’ordine del Ministro gli imam obbediscono.

A Hoceim Nasser Zefzafi interrompe l’imam durante la preghiera del venerdì nella principale moschea della cittadina, accusandolo di utilizzare la religione a fini politici. Dopo essere duramente intervenuto, accompagnato da molti giovani, ritorna a casa.
Contro di lui viene spiccato un mandato di arresto . I reati sono l’aver ostacolato la libertà di culto, impedito al imam di parlare e aver insultato la religione, perturbando la tranquillità e sacralità del culto.
Nasser scappa da casa per fuggire all’arresto e diffonde un video sui social network assicurando che sta bene e appellandosi ai giovani perchè continuino in modo pacifico le manifestazioni.
Di fronte alle provocatorie accuse contro il portavoce della protesta, la tensione sale e ci sono scontri con la polizia, durante i quali vengono arrestati una ventina di ragazzi.

Nasser Zefzafi viene arrestato il 29 maggio. L’accusa è di minaccia alla sicurezza nazionale per aver interrotto il sermone dell’imam. Nel momento dell’arresto molte persone cercano di difenderlo. “L’imam stava parlando contro il nostro movimento. Ci accusa di destabilizzare il paese, di causare divisione. E Nasser ha preso parola per dire che dovrebbe dedicarsi a parlare di religione e non di politica. Stavano cercando un pretesto per arrestarlo”, dicono i manifestanti.

Le manifestazioni dopo gli arresti si fanno più dure.“Nasser, ti difendiamo con la vita e con il sangue”, gridano i manifestanti. A prendere il posto di Nasser come portavoce e simbolo della protesta è Nawal Ben Aissa, una giovane donna. Durante le manifestazioni cresce il numero delle donne che partecipano.

3 Giugno
Nel fine settimana la procura di Al Hoceima ordina l’arresto di un’altra ventina di attivisti. L’accusa per tutti è di “attentare alla sicurezza interna dello Stato, incitare a commettere delitti e crimini, umiliare i funzionari pubblici durante lo svolgimento del loro lavoro e commettere ostilità contro i simboli del Regno nelle riunioni pubbliche”Proteste contro la repressione e a sostegno degli attivisti del Rif si svolgono anche in altre città del paese.

11 Giugno 2017
Più di 10 mila persone manifestano a Rabat. La protesta è convocata dal movimento islamico illegale ma tollerato “Giustizia e Spiritualità”, vi partecipano anche partiti di sinistra e forze islamiche interne alla coalizione di governo.
Come spesso accade in piazza si ritrovano tutti quelli che hanno motivi di risentimento e protesta contro il governo, al di là delle rispettive appartanenze. Cosa questa per certi versi naturale ma foriera di grandi contraddizzioni visto che il vecchio slogan “chi è nemico del mio nemico è mio amico” non sempre porta a grandi risultati,. Per cui nella stessa piazza ci sono islamici radicali, sindacati di sinistra e organizzazioni civili. Ci sono anche esponenti del Movimento “20 febbraio”, ovvero quello che ha dato vita in Marocco alle proteste del 2011 durante la primavera araba. Uno di loro afferma “Quello che succede nella regione del Rif è di una gravità eccezionale visto il decreto di militarizzazione della regione e il decreto di emergenza. Non siamo più nel momento delle promesse del re del 2011″.

Da metà giugno ad oggi
Il 14 giugno arriva la condanna a 18 mesi di carcere per i primi 25 attivisti. Una condanna dura se comparata ai 5 o 8 mesi dati a chi a partecipato alla morte di Mohssine Fikri. Ne seguiranno altre. Gli avvocati che difendono i manifestanti dichiarano “ la maggior parte dei condannati è accusato di aver manifestato senza autorizzazione gli ultimi giorni di maggio, dopo l’ordine di arresto di Nasser.”
In occasione della conferenza stampa davanti al Tribunale l’avvocato di Nasser denuncia che il suo assistito ha subito violenze fisiche e morali, come il fatto che al momento dell’arresto, in modo dispregiativo sia stato definito “figlio di spagnoli”.
La notte le manifestazioni a Al Hoceima diventano più dure e viene proclamato uno sciopero generale per il fine settimana.

Un gruppo di detenuti inizia lo sciopero della fame in segno di protesta. Tra loro oltre a Nasser anche Mohamed Jellou, scarcerato da poco, dopo cinque anni di carcere per aver partecipato alle proteste del 2011.

Mentre nel paese la tensione cresce si svolge la visita del neo presidente francese. A Macron le organizzazioni dei diritti umani francesi inviano un comunicato per chiedere che venga condannata la repressione attuata dal governo marocchino. Alla conclusione della visita ufficiale Marcon dichiara di aver visto il re molto attento a quel che succede, Ovviamente nelle dichiarazioni ufficiali non c’è traccia dei temi collegati ai diritti umani.

Proteste sono previste per la fine di giugno ed è stato convocato un nuovo sciopero generale.

NASSER ZEFZAFI

Quasi otto mesi fa, quando iniziarono le proteste per la morte del pescivendolo triturato in un camion della spazzatura, nessuno in Marocco conosceva Nasser Zefzafi. Era semplicemente un disoccupato, dopo essere stato strozzato dai debiti del fallimento di una piccola attività di riparazione di computer e telefoni.

Presente fin da subito nelle proteste, ne diventa il portavoce. Viene intervistato soprattutto dalla stampa internazionale, i suoi discorsi vengono ascoltati in piazza. Viene definito il leader del movimento. Diventa ancora più famoso quando a fine maggio interrompe il sermone dell’imam per denunciare quel che sta accadendo e viene denunciato ed arrestato.
Che chi lo definisce un semplice disoccupato salito alle cronache, chi ne parla come appartenente a gruppi islamici radicali, chi addirittura lo definisce un provocatore al soldo degli spagnoli, chi semplicemente ne parla come un pazzo o un esagitato.


Proviamo a vedere cosa dice lui stesso in una lunga intervista realizzata da Diagonal lo scorso 4 aprile.

L’intervista parte dall’episodio scatenante, la morte di Mohssine Fikri. Nasser afferma: “Quello che è successo a Mohssine non è la prima, né non sarà l’ultima volta che accadrà (…) Ripeto, Mohssine è la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha portato le persone a combattere contro la hogra (…) Dalle prime indagini emerse come un fatto senza molta importanza. Questo invita a pensare che ci sia qualcosa di più grande, che implica personaggi importanti (…) Noi siamo manifestanti e come tali chiediamo un’indagine corretta. La gente che scende in piazza esige verità e che le indagini siano pubbliche per vedere chi si è sporcato le mani.”

Riferendosi al movimento di cui è portavoce e alla situazione attuale dice: “Chiediamo servizi pubblici, lo sviluppo della nostra economia, la fine della corruzione, che se ne vadano soldati e polizia. Quello che chiediamo non è diverso da quello che si chiede nel resto dello Stato. In questa terra (Rif) non si ha nulla, nè sviluppo economico, politiche che lo incentivino, università e nemmeno ospedali specializzati nell trattamento del cancro causato dalle armi chimiche spagnole nella guerra del 1921. Chiediamo questo per il Rif perché è dove viviamo e non c’è nulla, manca tutto”.

L’intervista continua con un giudizio sul comportamento del governo, che a parole si mostra condiscendente: “lo fanno per cercare di dare un esempio positivo e di rispetto per i diritti umani. Non dimentichiamoci che le mobilitazioni che stanno avendo luogo ora sono seguite in tutto il mondo e per quello non possono fare nulla (… )”.

L’intervista termina con propositi sul futuro: “..possono incarcerarci e farci qualsiasi cosa, a me come alle altre persone che scendono in strada. (…) Se moriamo, che sia per la nostra terra e i nostri diritti”.

Nawal Ben Aissa

Casalinga di 38 anni, moglie di un tassista, madre di quattro figli. Una donna comune, che dopo l’arresto di Nasser viene indicata dai media come la nuova portavoce del Movimento Popolare.
Venuta a conoscenza della tragedia del pescivendolo tramite Facebook e interessata dall’impatto sociale delle proteste, inizia a studiare la storia e le rivoluzioni che hanno avuto luogo ad Al Hoceima. Decisa ad ascoltare i problemi dei rifeños (popolazione del Rif), scende direttamente nelle strade. Fa la sua prima apparizione pubblica l’8 Marzo, al fianco di Nasser.

Riportiamo brevemente le sue dichiarazioni in un’intervista realizzata da El Mundo lo scorso 12 giugno.
Inizia raccontando che “al principio si trattava di un movimento tranquillo e familiare, portavo anche i miei bambini”.
Parlando della sua istruzione dice: “Non ho avuto la possibilità di poter scegliere se studiare o meno. Qui alle bambine è già tanto se si arriva a mandarle alla secondaria …”.
Sono chiari nella sua testa i motivi che spingono la protesta: ” costruire un’università, e dei programmi di inserimento per i lavoratori”.

A proposito dell’atteggiamento del governo dice: “Quando abbiamo iniziato le proteste, il governo si è dimostrato a favore delle nostre domande e si è impegnato a prendere in considerazione le nostre richieste. Poco dopo, senza che sapessimo il perché, hanno iniziato a detenere le persone in modo indiscriminato anche se non avevano niente a che vedere con il movimento.”

La giovane donna è stata accusata di essere parte di un gruppo indipendentista finanziato dal Fronte Polisario e dall’Algeria. Lei risponde: “Non è vero. Siamo patrioti e amiamo il nostro re, Mohamed VI, abbiamo la speranza che venga qui e veda che le nostre proteste sono pacifiche e riguradano tutto il Marocco, non solo il Rif.”

Uno degli aspetti che più la preoccupa è il drammatico stato della sanità nella regione del Rif, dove il numero di patologie oncologiche è elevato. Lee cause risalgono al 1921 quando l’esercito spagnoloha usato nella regione armi chimiche. La Spagna non ha mai negato di averle utilizzate, ma non l’ha mai riconosciuto ufficialmente.
Ad Al Hoceima c’è un ospedale oncologico molto piccolo, insufficiente per far fronte al problema. Nawal lo conosce molto bene, ha intervistato i malati facendo dei video e divulgandoli sui social grazie ai quali molta gente ha fatto offerte anonime per aiutare i malati a pagare i trattamenti.
“Non chiediamo l’ospedale più grande del mondo, o con le migliori tecnologie, vogliamo solo una struttura sanitaria adeguata”.

Nel chiudere l’intervista Nawal denuncia il clima di controllo: “il livello di repressione e la mancanza di libertà di espressione sono estreme. La cosa peggiore è che stanno soffrendo anche i miei figli, non vogliono che esca di casa perché non sanno se ritornerò”.


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