Giulio Regeni: una storia di omissioni e silenzi

Approfondimento sul “Caso Regeni” e il ruolo giocato dagli interessi economici tra Italia ed Egitto.

In previsione dell’incontro “Egitto: Da piazza Thair all’omicidio di Giulio Regeni“, che si terrà mercoledì 23 novembre 2016 presso l’aula N del Palazzo Wollemborg in Via del Santo 26, proponiamo un articolo redatto da alcuni studenti di Relazioni Internazionali dell’Università di Padova sul “Caso Regeni”.

L’articolo, elaborato da Mattia Catarina, Maddalena Recla e Giulia Bosa, offre una lettura in chiave economica della vicenda, analizzando l’influenza che gli interessi economici tra Italia ed Egitto possono aver avuto sulla risoluzione del caso.
Un capitolo è dedicato inoltre all’analisi delle Convenzioni Internazionali che riguardano la tortura e degli strumenti di lotta e prevenzione contro tale crimini, con accenno alla posizione italiana su tali tematiche.

INTRODUZIONE

Ne il settimanale l’Internazionale del 19 febbraio 2016 il direttore Giovanni De Mauro scriveva: “Negli stessi giorni in cui la ministra Stefania Giannini si complimentava su Twitter per i risultati ottenuti dai ricercatori italiani nel mondo, il presidente del consiglio italiano si faceva notare per il grave e prolungato silenzio (tranne qualche dichiarazione di circostanza) sulla vicenda di un altro giovane studioso italiano all’estero, Giulio Regeni, rapito, torturato e ucciso in Egitto”. Probabilmente la ragione di questo silenzio sta nei 5,7 miliardi di dollari di interscambio tra i due paesi nel 2014 (una cifra che Egitto e Italia hanno dichiarato di voler portare a sei miliardi entro il 2016 e che nel 2013 comprendeva 17 milioni di euro di esportazioni di materiale di armamento italiano); la ragione sta nel primo posto dell’Italia come destinazione delle esportazioni egiziane (il 9,6 per cento del totale nel 2014); sta nella presenza di Eni, Enel, Edison, Ansaldo, Banca Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi e altre 123 aziende italiane in Egitto; la ragione sta nel giacimento di gas naturale (il più grande del Mediterraneo) scoperto dall’Eni nell’agosto 2015 al largo delle coste egiziane; sta nel via vai di ministri e viceministri italiani che, accompagnati da amministratori delegati e imprenditori, vanno spesso e volentieri in Egitto per firmare accordi e stringere rapporti; sta nel viaggio di Matteo Renzi nel giugno del 2014, primo leader occidentale a far visita ad Al Sisi dopo le elezioni presidenziali egiziane vinte con il 97 per cento dei voti; la ragione sta nelle parole dello stesso Renzi, che nel luglio del 2015 in un’intervista ad Al Jazeera ha definito Al Sisi “a great leader” e si è detto “proud”, orgoglioso, dell’amicizia con il presidente egiziano. E se è vero che per l’Italia i rapporti con l’Egitto sono molto importanti, è anche vero che proprio per questo, e per il peso che l’Italia ha nell’economia egiziana, Renzi potrebbe far sentire la sua voce quando si tratta di diritti umani. Che non l’abbia fatto mentre il regime egiziano massacrava migliaia di oppositori era già un fatto gravissimo; che non lo faccia neanche ora che un cittadino italiano è stato ucciso lo rende complice”.

1. IL CASO

Il 25 gennaio 2016 Giulio Regeni, ricercatore italiano dell’università di Cambridge, scompare al Cairo, nel quinto anniversario della rivoluzione che ha cacciato il presidente Hosni Mubarak. Era andato a studiare all’American University del Cairo, stava conducendo una ricerca sul lavoro in Egitto e a quanto pare aveva incontrato alcuni dei più importanti leader sindacali del paese. Si trovava in Egitto da settembre.

Nove giorni dopo, il 3 febbraio, il cadavere di Regeni è stato ritrovato nudo dalla vita in giù in un fosso di Giza, alla periferia della capitale. Il 5 febbraio l’Italia invia un gruppo di investigatori in Egitto per indagare sul caso. L’8 febbraio l’autopsia in Italia conferma che Giulio Regeni è stato torturato. Il corpo era coperto da bruciature di sigarette e ferite di arma da taglio, aveva il volto tumefatto e le orecchie mozzate. L’agenzia Reuters ha scritto che Regeni aveva “sei costole rotte, segni di elettrocuzione sul pene, traumi su tutto il corpo e un’emorragia cerebrale”. La stampa italiana ha scritto che gli sono state strappate le unghie delle mani e dei piedi ed è stato torturato come se fosse una “spia”.

Il 19 febbraio Amnesty international lancia una campagna per chiedere la verità sul caso. Il 24 febbraio il ministro degli interni egiziano afferma che Regeni è stato ucciso da criminali o per vendetta. Secondo un agente di polizia del Cairo l’omicidio di Regeni è una questione “politica, non criminale”. Sospetta che il ricercatore sia stato ucciso dai fratelli musulmani, dichiarati fuorilegge, “per danneggiare i rapporti tra Egitto e Italia”. Secondo il ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni è “una verità di comodo”.
Il 1 marzo Hisham Abdel Hamid, direttore del dipartimento di medicina legale del Cairo, dice alla procura che l’autopsia rivela che Regeni è stato interrogato per una settimana prima di morire.

Regeni è scomparso proprio il giorno dell’anniversario della rivolta contro Mubarak, mentre gli agenti di sicurezza erano sparpagliati in tutta il Cairo per garantire che non si svolgesse nessuna protesta per commemorare quella giornata.
I suoi amici dicono di aver sentito Regeni per l’ultima volta mentre era diretto a una stazione della metropolitana del quartiere Dokki, e che il ricercatore doveva incontrare qualcuno in centro. Nel corso di un’intervista Ahmed Nagy, il procuratore che si occupa del caso, ha dichiarato che l’ultimo segnale del suo cellulare è stato rilevato nella strada dove si trova quella stazione. Più o meno nello stesso momento, secondo un testimone, in cui è scomparso.
Diversi testimoni sostengono che intorno alle sette di sera, ora in cui Regeni sarebbe stato sentito al telefono per l’ultima volta, due agenti in borghese stavano perquisendo tutti i ragazzi che passavano per quella strada.
Un altro testimone, che chiede di rimanere anonimo, dice di aver visto i due agenti fermare il ricercatore italiano: uno gli stava perquisendo la borsa, mentre l’altro controllava il passaporto. Poi lo hanno portato via. Secondo il testimone, uno degli agenti era già stato visto nel quartiere in precedenza, e aveva fatto domande su Regeni.

Tre funzionari della sicurezza egiziani che stanno indagando sul caso hanno dichiarato che Regeni era stato arrestato perché era stato brusco con gli agenti. “Era molto sgarbato e si comportava come uno sbruffone”, ha detto uno di loro.
Tutti e tre, interrogati separatamente, hanno affermato che Regeni, che stava conducendo una ricerca sulle organizzazioni dei lavoratori in Egitto, aveva destato sospetti anche perché sul suo cellulare erano stati trovati i numeri di persone associate ai Fratelli musulmani e al Movimento 6 aprile, e il governo Al Sisi considera queste organizzazioni nemiche dello stato.
“Devono aver pensato che fosse una spia”, ha detto uno dei funzionari. “Dopotutto, chi mai viene in Egitto a studiare i sindacati?”.
Dopo la scomparsa di Regeni, le autorità egiziane hanno lasciato intendere in varie occasioni che sia morto in un incidente stradale, che sia stato vittima della criminalità comune o che a contribuire alla sua morte sia stato qualche aspetto oscuro della sua vita personale. E comunque hanno smentito qualsiasi ipotesi di un coinvolgimento dei servizi segreti.

2. REAZIONI SUL CASO DA PARTE DELL’ EGITTO

Le dichiarazioni delle autorità egiziane successive alla scoperta del cadavere del ricercatore italiano non si sono fatte attendere. Paradossalmente l’ammissione che si trattasse di un reato di tortura è stata raggiunta solo dopo una serie di ipotesi inverosimili sulla sua morte, nonostante fossero evidenti i segni di maltrattamento sul corpo.
La prima versione dei fatti fornita dalle autorità egiziane indica che si è trattato di un incidente stradale, ma viene contraddetta con l’affermazione del procuratore del Cairo, Ahmed Nagi, che afferma che sul corpo ci sono segni di bruciature i quali farebbero pensare alla tortura. In seguito si sono succedute differenti versioni dell’accaduto facendo trapelare un evidente intento di occultazione della verità. Le differenti ipotesi sono state a poco a poco smentite, ma il Governo egiziano ha continuato a fornire versioni che erano in contraddizione con la realtà dei fatti. Alcune congetture condurrebbero ai Fratelli mussulmani, supponendo che Regeni sia stato ucciso per far ricadere la responsabilità sul governo e screditare il nuovo corso egiziano. L’ultima in ordine di tempo è la pista della gang di rapinatori specializzata nel sequestro di stranieri, unica supposizione che non è ancora stata smentita completamente, in quanto il team investigativo venuto a Roma non esclude che questa banda potrebbe aver avuto un ruolo nella morte del ricercatore.

Dopo un’iniziale affermazione da parte del procuratore di Giza che afferma che le indagini saranno svolte solo dalle autorità egiziane, il governo del Cairo ha concesso che le successive investigazioni siano svolte in maniera congiunta, permettendo così alla Procura di Roma di inviare i propri inquirenti al Cairo per essere informati degli sviluppi investigativi.
Questo cambio di posizione è avvenuto anche grazie alla presa di posizione del Parlamento europeo che il 10 marzo ha approvato con un’ampia maggioranza una risoluzione non vincolante per sospendere gli aiuti militari all’Egitto e chiedere al Cairo di collaborare con la autorità italiane. Il Parlamento ha anche sottolineato che quello di Regeni non è un caso isolato e che in Egitto sparizioni, torture e violazioni dei diritti umani sono divenute la norma.

Fin da subito i principali problemi delle indagini sono stati la mancanza di collaborazione da parte del personale egiziano e la forte reticenza a fornire documenti sufficienti e completi, come ad esempio i tabulati telefonici delle persone presenti nei luoghi dove è scomparso o dove è stato ritrovato, considerandola una richiesta incostituzionale secondo l’ordinamento egiziano. Questo fatto ha portato al ritiro da parte dell’Italia del proprio ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari, segnando un forte punto di rottura nelle relazioni tra i due paesi.
Nonostante la difficoltà delle indagini, dopo aver esaminato varie prove, per le autorità italiane la pista principale rimane quella dell’omicidio politico, ovvero che Regeni che sia stato torturato perché ritenuto una spia e per il suo lavoro di ricercatore sui sindacati egiziani, avendo stretto legami con alcuni attivisti del posto.

3. STRUMENTI INTERNAZIONALI CONTRO LA TORTURA

Internazionalmente la definizione di tortura è dettata dall’art 1 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, che prevede che ogni Stato si adoperi per perseguire penalmente quegli atti di tortura definiti come: “(…) qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali al fine di segnatamente ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito.”

Questa Convenzione è stata adottata dall’Assemblea Generale nel 1984, entrando in vigore nel 1987. I dati del 2008 affermano che la Convenzione è stata ratificata da un totale di 145 paesi; il problema è che molti Stati, come l’Italia, non hanno ancora implementato nel proprio ordinamento la legge di ratifica che permette alla Convenzione di essere operante.
Il 9 gennaio 2003 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha adottato con risoluzione n.57/199 il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, che entra in vigore internazionalmente il 22 giugno 2006.

Per quanto riguarda l’Italia, ha ratificato la convenzione nel 1988 ma non ha ancora introdotto il reato di tortura nell’ordinamento penale, nonostante molte petizioni popolari al riguardo, come ad esempio le campagne promosse da Amnesty International. Un passo avanti è stato fatto con il ddl del 10 aprile 2015 che è stato promosso dalla Camera, ma che è in attesa di ultima lettura e approvazione definitiva al Senato. Questo decreto vorrebbe introdurre il reato di tortura con l’aggravante se commesso da pubblico ufficiale, o se un pubblico ufficiale istiga un altro a commettere atti di tortura.
Per quanto riguarda il Protocollo invece, l’Italia lo ha firmato in data 20 agosto 2003 e lo ha ratificato con la l. 9 novembre 2012, n. 195 (deposito strumento ratifica in data 3 aprile 2013).

Per quanto riguarda invece gli strumenti di lotta e di prevenzione contro i crimini di tortura, uno dei più importanti è il Comitato contro la tortura delle Nazione Unite. Le funzioni del comitato ed il suo scheletro istituzionale sono descritti nella seconda parte della Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite (artt.17 a 24).
Il Comitato è composto da 10 esperti indipendenti eletti dagli stati parte, tenendo conto di un’equa ripartizione geografica o dell’interesse rappresentato dalla partecipazione ai lavori del Comitato di alcune persone aventi un’esperienza giuridica (art.17.1) .
Gli Stati Parti presentano al Comitato, tramite il Segretario Generale delle Nazioni Unite, delle relazioni sulle misure da loro adottate al fine di dare esecuzione ai loro impegni in virtù della presente Convenzione, entro un periodo di un anno, a partire dall’entrata in vigore della Convenzione per lo Stato Parte interessato. Gli Stati Parti presentano successivamente, ogni quattro anni, delle relazioni complementari, in merito ad ogni nuova misura adottata, ed ogni altra relazione richiesta dal Comitato (art. 19). In seguito il Comitato analizzerà i rapporti formulando raccomandazioni agli Stati, sotto forma di “concluding observations”.
In aggiunta il Comitato possiede altri 3 meccanismi attraverso i quali può porre in atto funzioni di monitoraggio. Questi strumenti sono:
indagini confidenziali (art.20) – procedura per i reclami individuali (art.22) – esame dei reclami interstatali (art.21)

Il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, ha introdotto un ulteriore strumento per la prevenzione della tortura: il Sottocomitato per la Prevenzione della Tortura (SPT).
Gli obiettivi dell’OPCAT sono di creare un sistema di visite periodiche presso gli Stati membri e Meccanismi di Prevenzione Nazionale (MPN), inoltre gli stati parte sono obbligati a permettere le ispezioni dei delegati dell’SPT e consentire libero accesso a tutte le informazioni.
Ruolo centrale in questo ambito è assunto dal Relatore Speciale sulla Tortura, che opera all’interno del contesto del Consiglio dei Diritti Umani.
Normalmente il suo compito consiste nell’esaminare, monitorare sul campo e preparare rapporti pubblici sugli aspetti di loro competenza, ma il suo mandato può includere anche la possibilità, tra l’altro, di ricevere comunicazioni individuali, preparare studi e fornire assistenza tecnico-legale ai Governi interessati.

CONCLUSIONE

Il caso “Giulio Regeni” è un esempio evidente di come gli Stati siano disposti a scavalcare le convenzioni, i trattati e i protocolli internazionali, quando si tratta di mantenere stabili le relazioni politiche ed economiche. Manifestazioni di questo comportamento ci sono state sia da parte delle autorità italiane sia da quelle egiziane: le prime, nonostante fosse stato comunicato al Ministero degli esteri la morte del ricercatore, hanno lasciato passare settimane prima di trattare il caso in maniera adeguata, quando ormai le ONG e i social network stavano già sottoponendo l’accaduto all’opinione internazionale; mentre le seconde fin dall’inizio hanno cercato di nascondere il caso e, come riportato sopra, tutt’ora non hanno ancora fornito informazioni complete per risalire alla verità.
A tale conclusione siamo giunti analizzando la portata degli scambi economici che coinvolgono Italia ed Egitto, un flusso di denaro che si aggira attorno ai 5,7 miliardi di dollari ogni anno.

E lo stesso caso è anche un chiaro esempio di come il diritto a conoscere, che viene secondo noi ancor prima e in maniera distinta rispetto al diritto alla verità, sia un’esigenza sostanziale che perfettamente si colloca in questo contesto storico, dove gli ideali si muovono verso l’affermazione di uno Stato di Diritto ma le politiche concrete degli stati sembrano invece agire appellandosi alla ragion di stato, ne è un esempio la politica dello stato Egiziano nell’impedire l’accesso alle indagini interne riguardanti il caso.
Se vogliamo quindi farci portatori di un modello di Europa che proclama l’uguaglianza tra Stati e la difesa dei Diritti Umani dobbiamo riconoscere prima di tutto che gli Stati sono formati da individui, individui che sono esseri umani, individui che sono Giulio Regeni, che in modo sempre più globalizzato hanno la volontà e il diritto a conoscere, conoscere per sentirsi inclusi. Come diceva Luigi Einaudi “conoscere per poter poi a quel punto, deliberare”.

BIBLIOGRAFIA


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Cinque piste (fasulle) in due mesi. Tutte le bugie dell’Egitto: Unità.tv (2016, 9 aprile).

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Commitee against torture: OHCHR.


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