Non una frustata di più – Libertà per Raif Badawi in Arabia Saudita

Si svolgerà il 22 gennaio a Roma davanti all’ambasciata dell’arabia Saudita e a Milanoi di fronte all’ufficio visti un sit-in promosso da amnesty International a cui hanno aderito Articolo 21, la Federazione nazionale della stampa italiana e Un ponte per…

La storia di Raif Badawi è emblematica di quel che succede nel paese da sempre formalmente fido “alleato” degli occidentali, salvo poi essere uno dei finanziatori anche dell’integralismo islamico.

Raif Badawi, trentunenne, è stato arrestato nel 2012 e condannato a 10 anni di carcere, 1000 frustate oltre e una multa di 270mila dollari per quello che è pubblicato nel Free Saudi Liberals.

Mille frustate 50 ogni venerdì in pubblico a Gedda, all’esterno della moschea di al Jafali.

Lo scorso venerdì, Raif è stato punito con la prima serie di frustate e la seconda serie di 50 frustate è stata sospesa, ufficialmente per ragioni mediche in quanto le ferite causate dai primi 50 colpi di frusta, la settimana precedente, non si erano cicatrizzate. “Nonostante questo, e nonostante il caso sia all’esame della Corte suprema, le condanne restano in vigore e le sessioni di fustigazione in pubblico possono riprendere già da questo venerdì” si legge nel comunicato stampa di Amnesty International Italia che “è intenzionata a proseguire la mobilitazione di fronte all’ambasciata dell’Arabia Saudita fino a quando le frustate non saranno definitivamente annullate.”

Ma cosa c’è dietro la pesante pena comminata a Raif, arrestato e condannato per presunte offese alla religione, per oltraggio, crimini informatici e persino per aver disobbedito a suo padre?

Lo spiega Michele Giorgio in un articolo apparso in Il Manifesto “in realtà la condanna per apostasia e offese all’Islam copre un «reato» ben più grave commesso da Badawi: ha osato dire, nel suo e in altri siti, che l’Università Islamica «Imam Muhammad ibn Saud» di Riyadh è un laboratorio del wahabismo più radicale che spinge tanti giovani sauditi ad abbracciare il jihadismo armato. Troppo per un regime che da un lato afferma di combattere al Qaeda e lo Stato islamico e poi lascia che tanti dei suoi ricchi cittadini versino generosi finanziamenti che, per varie strade, arrivano proprio a quei gruppi.”

Nell’articolo Michele Giorgio racconta come “Il blogger dopo le prime frustate ricevute il 9 gennaio era apparso particolarmente provato, non solo fisicamente. La moglie, Ensaf Haidar, rifugiata politica in Canada, da giorni denunciava la gravità delle sue condizioni. «Prova molto dolore – aveva riferito – sta male, sono sicura che non sarà in grado di resistere a una seconda serie di frustate».

Giustamente si fa notare il fatto che “quando Badawi ieri è stato trasferito dalla sua cella alla clinica del carcere per un controllo, il medico ha accertato che le lacerazioni causate dalle prime frustate non si erano ancora cicatrizzate e che il detenuto non avrebbe potuto sopportarne altre. Quindi ha indicato che la seconda razione sia rinviata almeno di una settimana (sic). Come medico doveva opporsi con forza a questa forma di punizione corporale ma nell’Arabia saudita riverita e protetta dalle democrazie occidentali, anche chi per mandato se non per vocazione dovrebbe proteggere la vita umana, finisce per avallare crimini orrendi.”
L’articolo si conclude ricordando come la storia di Raif non sia sola. tanti gli attivisti, poco sconosciuti che sfidano una monarchia che priva della libertà i cittadini, che vieta le attività pubbliche ed adirittura la guida dell’auto alle donne.

Michele Giorgio ricorda “Fadhel al-Manasef, anch’egli blogger, processato più volte dal 2009, condannato a 15 anni di carcere e a pagare una sanzione 26mila dollari per aver «diffamato il Regno», scritto «articoli contro la sicurezza dello Stato» e dato alla stampa estera «una immagine distorta» dell’Arabia saudita. Con lui vanno ricordati Mohamed al-Qahtani e Abdullah al-Hamid, cofondatori dell’Associazione saudita per i Diritti civili e politici, e attivisti come Omar al-Said, Abdel Karim al Khodr, Abdulaziz al-Ghamdi e Abdulaziz al-Shubaily.”

Senza dimenticare che uno degli avvocati di Raif, Waled Abu al-Khair , è in carcere con una condanna a 15 anni resa esecutiva in toto questo gennaio. anche in questo caso la sua colpa è quella di difendere i diritti umani fondamentali attraverso il lavoro di un’organizzazione indipendente denominata Osservatori dei diritti umani in Arabia Saudita.
Viene accusato di aver criticato, nel 2011, l’arresto di 16 riformisti; non aver riconosciuto la legittimità della Corte penale speciale; aver difeso in tribunale numerose vittime di tortura e di altre violazioni dei diritti umani.
Nella “democratica” Arabia la libertà non è permessa e Waled, come molti altri resta detenuto nella prigione Briman, a Gedda. Nelle settimane successive al suo arresto, nell’aprile 2014, è stato posto in isolamento nella prigione al-Ha’ir nella capitale Riad e sottoposto a tortura.

Il valore della libertà, la lotta alla censura e all’oscurantismo reazionario valgono ad ogni latitudine per questo “Je suis Charlie Edbo” ed anche “Je suis Raif Badawi”.


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