Oro nero con Andrea Segre, Gianfranco Bettin e Salvatore Altiero

L’incontro con Gianfranco Bettin, Andrea Segre e Salvatore Altiero, presso Hub in Piazza Gasparotto ha rappresentato un’utile occasione per approfondire i nodi collegati alle scelte energetiche a poche settimane dalla referendum del 17 aprile sulle trivellazioni.

VIDEORACCONTO DELLA SERATA

Introduzione di Vilma Mazza – Associazione Ya Basta Caminantes

Avevamo pensato la serata come contributo al Corso di Introduttivo di giornalismo ambientale, dedicato alle tecniche multimediali ma avendola poi spostata ad oggi, abbiamo pensato di offrirla come spunto per discutere di una data importante che ci aspetta: il 17 aprile. E’ la giornata in cui saremo chiamati a votare, obtorto collo, visto che si poteva accorpare il referendum con le amministrative rendendo più facile la partecipazione, nel referendum sulle trivellazioni.
Per farla breve il referendum partito da 9 regioni si è ridotto ad un solo quesito riferito alle trivellazioni entro le 12 miglia e alla loro durata.
Nonostante tutti i tentativi per boicottare il referendum la data del 17 aprile può rappresentare un importante occasione, un sondaggio sociale per affermare che ci vuole una diversa politica energetica.

Essendo il 17 aprile una data X, visto che si è scelto di non inserire il referendum nell’Election Day a giugno con una spesa tra l’altro non piccola, il primo problema che ci troviamo davanti è avviare un grande sforzo collettivo per informare che il referendum c’è e qual’è la posta in gioco.
Questo fine settimana ci siamo riuniti tra comitati, associazioni anche qui in Veneto per essere protagonisti attivi in colegamento con tutte le altre realtà nazionali che si stanno mobilitando con il COMITATO NAZIONALE UNITARIO “VOTA SI’ PER FERMARE LE TRIVELLE”!

Il calo del prezzo del petrolio, dovuto agli interessi geopolitici degli scenari mondiali, rappresenta un momento di transizione che può essere un’occasione buono per dare una spallata alle logiche che la produzione di energia tramite petrolio porta con sè.
In questo contesto perchè l’Italia, buon ultima, dovrebbe perforare i propri mari?
La stessa Croazia, che aveva avviato la discussione per perforare l’Adriatico, (cosa che era stata una delle motivazioni per sostenere la necessità che l’Italia non fosse da meno) ha cambiato idea e sospeso il tutto.
17 aprile è una vera occasione. Dipende da noi, noi tutti, trasformare queste settimane in un’ampia discussione e mobilitazione su una reale transizione per andare oltre l’estrattivismo.
Di questo parleremo questa sera con Gianfranco Bettin, esponente storico dell’ambientalismo italiano, Andrea Segre che con il suo film “I sogni del lago salato” ha voluto indagare cosa spinge le comunità ora e nel passato ad accettare l’estrattivismo e con Salvatore Altiero che insieme a Manuele Bonaccorsi e Marcello Brecciaroli sta realizzando “Italian offshore. Chi vince e chi perde nella nuova corsa al petrolio nei mari italiani”.

Questa sera non si svolge a caso in Piazza Gasparotto, considerata una piazza del degrado nella nostra città. In questa realtà esperienze come Hub, Co* e tanti altri stanno costruendo insieme un percorso di rigenerazione urbana aperto a tutti quelli che vogliono collaborare.

Gianfranco Bettin

Il film di Andrea credo che sia davvero la migliore introduzione a questa serata. Il suo lavoro mette insieme approcci differenti e suggestivi per raccontare il nostro presente così radicato in scelte del passato, partendo dal raccontare il presente del Kazakistan. Una situazione simbolica di come l’oro nero metta a disposizione di regimi e classi dirigenti nuove, neo-ricche la possibilità di realizzare i loro sogni di dominio, di potere, entrando nel grande gioco contemporaneo che si fonda sul controllo delle fonti energetiche e dell’acqua. Ma è anche un film su come noi, in Italia, abbiamo attraversato una fase del genere in passato, magari in maniera meno megalomane, ma con un impatto di massa che ha stravolto il nostro paese. Usando materiali di famiglia e d’epoca, il film ci porta a riflettere su come la scoperta di giacimenti di idrocarburi e/o la trasformazioni di materie prime o seconde, abbia cambiato la nostra economia. In parte il nostro paese si è arricchito, ma dall’altra parte è stato stravolto dal punto di vista del paesaggio e degli equilibri naturali.
Ci porta a riflettere su come, nonostante l’inquinamento provocato, si voglia restare legati al carro dei combustibili fossili.
Perchè si vorrebbe trivellare dove non si potrebbe? Perchè si usano tecniche devastanti come il fracking negli Usa e non solo?
Si continua ad accumulare combustibili fossili per non voler cambiare il modo di produzione dell’energia, per non voler puntare fino in fondo sulle energie rinnovabili e pulite
L’uso dei combustibili fossili attuale sarebbe quello di essere strumento di transizione, per passare ad un altro regime energetico. Ma non stiamo parlando di questo.
Si frantuma gli scisti per continuare su quella strada, per accumulare vantaggio strategico sui concorrenti. Per entrare nel grande gioco della ricchezza e del potere della geopolitica per paesi emergenti, senza avere neanche l’intelligenza che ha la Cina che da un lato sfrutta al massimo i combustibili fossili e dall’altra è uno dei principali investitori in energie alternative, unendo massimo inquinamento vecchio stile e massimo investimento sul nuovo. Questa “lungimiranza” non c’è. Non c’è nei paesi ricchi dove si continua ad investire nella vecchia strada.
E come se ci trovassimo di fronte ad un difetto culturale, al non voler credere nè alla crisi climatica nè energetica e confidando, di fronte a due crisi che creano momenti di difficoltà, nelle “magnifiche forze progressive” per trovare l’invenzione che risolva il tutto.
Di fronte alla scarsità ben visibile dei fossili, alla crisi climatica, che dimostra che non si può spremere ancora di più la terra, questo limite culturale accompagnato da protervia politica ci presenta il conto. E’ tutto questo che va affrontato con il tema del referendum.
Ma tutto questo va fatto capire, raccontandolo in modo conviencente. Il film di Andrea lo fa in modo credibile, affrontando il parallelo tra ieri ed oggi. Abbiamo bisogno di lavori di questo tipo. Ci vogliono lavori fortemente comunicativi capaci di evocare la complessità come La sesta estinzione. Una storia innaturale di Elizabeth Kolbert e C. Peddis, come il libro di Naomi Klein ed il film di Avi Lewis. Racconti avvicenti, magari un pò ansiogeni, ma capaci di farsi ascoltare.
Sappiamo quanto forte sia l’arma della manipolazione e distorsione che il potere mette in campo per continuare sulla stessa strada e portarci a fare sempre più piccoli passi verso la catastrofe, intesa non tanto come estinzione ma come condanna a condizioni sempre peggiori di vita per pezzi sempre più grandi di umanità.
E’ importante il racconto del nostro mondo, ma anche il racconto di che cosa possiamo fare per cambiarlo. Il racconto delle strade per salvarlo e salvare le nostre vite.
Per questo preferisco parlare di transizione epocale. Le crisi danno idea di un tempo limitato, anche se possono durare secoli e decenni, divenendo epoche di crisi. La transizione difficile e sconvolgente in cui viviamo è dura da interpretare, raccontare e fronteggiare. Per farlo abbiamo bisogno anche di film come quello di Andrea.

Salvatore Altiero

A Sud e il Centro di Documentazione sui Conlitti Ambientali operano per leggere il reale attraverso il conflitto ambientale, inteso come devastazione ma anche gestione antidemocratica dei territori.
Abbiamo iniziato con attività di cooperazione internazionale, per poi comprendere che anche in italia avvengono cose simili.
Le attività che vogliamo proporre in Veneto, attivando la nostra sede, ospitati dall’Associazione Ya Basta Caminantes a Padova saranno molteplici: corsi di formazione, mappatura partecipata dei conflitti ambientati
da inserire nell’”Atlante italiano dei conflitti ambientali”, che non potrebbe esistere senza i comitati e le realtà locali. A breve presenteremo anche la nostra ultima pubblicazione oltre ad attivare stage e relazioni con l’Università.
Perchè un’associazione che si chaima A Sud viene a Nord-Est?
Stiamo cercando di aprire dei nostri sportelli territoriali perchè siamo convinti che il sud non sia una definizione statica e geografica, ma che i sud, intesi come sfruttamento sociale e messa a profitto del territorio per l’interesse di pochi, siano ovunque.
Per quanto mi riguarda ora, a partire da un’esperienza di attivista e ricercatore, sono impegnato con Manuele Bonaccorsi e Marcello Brecciaroli nella realizzazione di “Italian offshore. Chi vince e chi perde nella nuova corsa al petrolio nei mari italiani”, documentario di inchiesta premiato al DIG – Documentari inchieste giornalismi 2015.
Il nostro lavoro vuole raccontare le scelte, non solo attuali, che hanno mosso in Italia gli investimenti nel settore. La difficoltà che abbiamo incontrato è che per certi versi il mare è una barriera che nasconde agli occhi dei cittadini il problema. In Italia non siamo in Amazzonia, in Nigeria dove l’impatto devastante delle maree nere è evidente. Ma ad esempio, anche se gli incidenti che pur ci sono stati hanno portata limitata, non si parla dei danni arrecati dallo scaricamento in mare delle acque di produzione, altamente inquinanti. E’ un incidente diluito nel tempo e poco visibile.
Così come non si parla della sicurezza, del rischio in caso di incidenti delle piattaforme, affidata alla Castalia, una società nominata nelle indagini della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nelle indagini sulle navi dei veleni.
Ed ancora, quello che ho imparato lavorando al documentario è che le valutazioni di impatto ambientale, che pensavo fossero basate su dati controllabili, in realtà si appoggiano su letture da parte del MInistero dello studio di impatto ambientale fatto dall’azienda stessa.
Ci siamo perciò resi conto lavorando sul documentario che non si trattava di cercare il disastro, ma di raccontare un intero sistema intorno alle trivellazioni. Non ultima la poca informazione sulla questione occupazionale, con cui si cerca di giustificare il tutto. Andando a visionare le piattaforme, la maggior parte sono automatizzate e telecomandate.
Come a A Sud ed anch’io personalmente con il lavoro per il documentario ci mettiamo a disposizione per iniziative e per la campagna per “Votare SI per fermare le trivelle”.

Andrea Segre

Di ritorno dal viaggio in Kazakistan, denso di impressioni nel vedere come si vive lì l’emozione della crescita, mi sono immerso negli archivi dell’Eni.
Mi sarebbe piaciuto chiedere agli italiani come vivevano negli anni cinquanta in una situazione similare. Allora ho pensato di immergermi nei materiali realizzati da registi italiani in quel periodo, anni cinquanta, voluti anche da Enrico Mattei. Documentari realizzati in gran parte in Sicilia, nella piana di Gela, peraltro oggi interessata dalle estrazioni. Documentari che mostrano l’estrema povertà ed il sogno di cambiare la realtà. Documentari voluti anche per nostrare che l’Italia non era più un paese povero.
La cosa che mi ha colpito è che anche un attento ed indipendente regista come De Seta, pur essendo un osservatore acuto della realtà ed avendo per primo utilizzato le domande in presa diretta ( una vera rivoluzione culturale e cinematografica), nelle sue interviste non pone il dubbio ambientale, la domanda se “sei sicuro che questa cosa non possa crearti dei problemi?”. Se neanche lui, un avanguardia cinematografica, chiede “sei sicuro che vada tutto bene?”, significa che questo dubbio non esisteva.
Nei dibattiti che ho fatto attorno al film, in particolare in luoghi dove esistono memorie familiari legate a queste vicende, persone di una certa età effettivamente dicono che non se l’erano chiesto.
E’ una cosa che ho visto anche in Kazakistan, dove peraltro quando facevo questa domanda mi dicevano se intendevo “portare sfortuna”, che “non per forza doveva capitare loro quello che era successo a noi”.
Queste sono le domande interessanti da porre in queste settimane che ci separano dal 17 aprile. E’ importante dare informazioni. Abbiamo il problema di portare la gente ad occuparsi del perchè non ci hanno fatto venire questo dubbio prima, del perchè non esistono questi dubbi dove si inizia ora.
Per capire tutto ciò e portarlo nel mio lavoro, ho scomodato anche i video matoriali della mia famiglia.
Quando ora sono stato a Gela, mi è capitato di fermarmi da un benzinaio e l’uomo al distributore mi ha raccontato, guardando parte degli impianti chiusi, che i suoi nonni allora avevano litigato: da una parte sua nonna che diceva al marito “devi andare a lavorare e portare a casa i soldi” dall’altra l’uomo che diceva “quei soldi facili rovineranno casa nostra”. Il marito alla fine è andato a lavorare. Per quei “soldi facili”, di cui parlano anche i documentari di De Seta quando racconta che i contadini guadagnavano a fatica se gli andava bene e venivano contrattati 1000 lire al giorno, mentre un operaio guadagnava 50.000 lire al mese fisse e stabili.
Se avessi incontrato quel benzinaio prima, avrei messo il nostro dialogo nel mio film.
Riascoltare quella domanda credo sia un’interessante chiave per far diventare il dibattito attorno al referendum qualcosa legato alle nostre famiglie, alla nostra storia.
Una chiave di interpretazione su quel che ci è successo e succede in altri paesi come il Kazakistan.
Quasi sempre nei dibattiti seguiti al film qualcuno interviene dicendo “ma come facciamo senza petrolio, non possiamo tornare a non aver la luce etc ..”, ma devo dire che c’è sempre qualcuno che ribatte dicendo “se noi continuiamo a muoere le nostre riflessioni in questo aut aut, non costruiremo nient’altro”.

* Il disegno di copertina è stato realizzato da Marta Gerardi ed ha accompagnato la serata Difendere la Terra di Rassegna Oblò.


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