Ottobre 1998 – Trieste la battaglia contro i CPT

Durante l’estate mentre continuiamo a mobilitarci contro le nostre espulsioni dal Messico, all’interno della legge Turco Napolitano introdotta in Italia dal governo di centrosinistra, vengono istituiti i Centri di Permanenza Temporanea per cittadini migranti.

Nell’estate a luglio il ministro Napolitano inaugura a Trieste il Centro immigrati. Ci vuole poco a capire che quella gabbia, nascosta nel Porto Vecchio di Trieste aprirà la strada al tentativo di aprire ovunque luoghi di reclusione etnica per migranti.

La costituzione italiana prevede che possa essere privato della libertà solo chi commette un reato ma entrare senza permesso in Italia è un reato amministrativo che non può essere punito con la reclusione. Ergo i CPT sono illegali.

Questa semplice verità è scomoda. E comincia l’opera di mistificazione, si trasforma il migrante clandestino in delinquente, si inizia a tentare di spacciare i CPT per luoghi di accoglienza, si batte il tasto delle normative europee a cui non ci si può sottrarre, si comincia a parlare di invasione che va controllata con le espulsioni, si parla, si giustifica, si mistifica.

A Trieste iniziano a trapelare le prime informazioni dal “non luogo” nascosto dalle mure del Porto. Funzionari arroganti, applicano la detenzione e poi l’espulsione forti della legalità che li garantisce. Ci vuole poco a sentire l’urgenza di fare qualcosa.

L’occasione viene da una giornata di mobilitazione lanciata sui temi contro i rimpatri forzati e la detenzione degli stranieri non in regola. Viene lanciato un appello: chiaramente l’obiettivo di chiudere ovunque i CPT.

Mentre ci si sta preparando ad andare a Trieste muore soffocata, con un cuscino postale sulla bocca per farla tacere, Semira Adamu mentre a forza viene fatta salire su un aereo in Belgio per essere espulso. Semira veniva dalla Nigeria aveva cercato nel lager dove era rinchiusa di ribellarsi all’espulsione. Poche settimane prima 5 giovani tunisini  muoiono soffocati nel Porto di Genova avevano un’unica colpa quella di voler tentare di entrare in Italia, in Europa.

C’è un inciviltà maledetta dietro alle politiche migratorie.

Non basta la denuncia, le mozioni di protesta quanto siamo disposti a mettere in gioco, noi che abbiamo avuto la fortuna di nascere in Italia?

A Trieste si decide di manifestare per andare oltre il muro del Porto Vecchio e svelare la realtà.

Si sa di fare qualcosa che verrà definito illegale e per questo il corteo protetto da scudi di plastica per proteggersi dalle eventuali cariche della polizia, avanza, spinge, entra nonostante l’intervento dei poliziotti oltre il muro. E’ il minimo che si possa fare per iniziare a dire NO.

Gli scudi che i manifestanti portano sono il segno materiale della disponibilità a mettere in gioco i propri corpi per affermare una legittimità di fondo quella di disobbedire alle norme illeggittime.

Le tute bianche che indossano i manifestanti sono il simbolo degli invisibili, di tutti quelli che si vorrebbero fossero corpi senza nomi e senza diritti.

Da quella giornata la battaglia contro i CPT sarà un punto fisso nell’azione dell’Associazione Ya Basta e ovviamente non solo nostro. E’ una battaglia ancora aperta perchè le stesse ambiguità di allora coprono la violazione delle leggi.

Dopo una settimana il Centro di Trieste viene chiuso. La vergogna era stata troppo alta, in compenso alcuni saranno denunciati e poi condannati per fortuna con il proseguo degli anni le condanne andranno in prescrizione.

FLASH

Dietro gli scudi

Marciamo tenendoci vicino, davanti a noi, il corteo è aperto da esponenti politici, rappresentanti di associazioni. Arriviamo al muro del Porto Vecchio vediamo che non vogliono far entrare nessuno, decidiamo di premere, di avanzare. I poliziotti caricano, lanciano dei lacrimogeni, gli scudi ci proteggono, caricano, lanciano dei lacrimogeni, gli scudi ci proteggono per un po’ ma è quello che serve per aprire il portone. Vediamo che qualcuno riesce ad entrare. Ci ricompattiamo. Quegli scudi con l’immagine di Semira ci hanno permesso di rompere il silenzio.

Le voci da dentro

Due giorni prima del corteo riusciamo con il tesserino di giornalisti ad accompagnare una visita ufficiale dentro il Porto Vecchio, in collegamento con Radio Sherwood riusciamo a far ascoltare le voci di chi è rinchiuso dietro le sbarre. “Siamo curdi vogliano l’asilo”. “Non capiamo cosa facciamo qui”. “Non abbiamo potuto vedere un avvocato”. “Aiutateci “. E’ la prima volta che si riesce a parlare con chi è segregato, le loro voci sono la conferma delle storie, che si vogliono nascondere. Storie di migrazione, di ricerca solo di un futuro diverso.

Dietro gli scudi

Si fa un po’ fatica a tenere fermo ‘sto scudo. Chissà cosa penseranno quelli che ci vedono. Per fortuna che dal camion stanno spiegando: “Gli scudi che portiamo sono una forma di autodifesa, le tute che indossiamo sono il simbolo degli invisibili, di chi come Semira muore perchè va espulsa e di chi oggi è rinchiuso nel Porto Vecchio”.

Dopo

E’ finita ci ricompattiamo per tornare in Stazione, qualcuno ha ancora gli scudi. Saliamo nel treno, siamo sudati. Dalla radio stanno dicendo che anche le agenzie nazionali stanno battendo la notizia “scontri a Trieste davanti al porto Vecchio. I manifestanti volevano entrare all’interno della zona franca. Le forze di polizia sono intervenute. Si registrano feriti tra i rappresentanti delle forze dell’ordine etc .. etc …”. E’ incredibile come riescano a parlare di quel che succede senza parlare dei motivi di quel che è accaduto.


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