Maggio 1998 – Un ponte in volo. Somos todos indios del mundo

Dopo la Prima Commissione Civile di Osservazione dei Diritti Umani le notizie dal Chiapas continuano ad essere di azioni paramilitari contro le comunità indigene.

Cosa fare?

Continuare le manifestazioni di solidarietà oppure provare ad agire direttamente?

Provare ad “interferire” nella politica del governo messicano mettendosi in gioco direttamente ci sembra la strada da percorrere. Dichiarare apertamente da che parte stiamo, trovare chi vuole schierarsi con noi, fare di tutto questo un fatto pubblico, andare dove c’è la situazione di conflitto.

Nasce così l’idea di un Ponte in Volo.

Iniziamo a lanciare una campagna pubblica di raccolta fondi, materiale sanitario da portare in Chiapas. Allarghiamo l’invito ad associazioni, comitati, organi di informazione e amministrazioni locali.

L’idea è costruire una azione internazionale di diplomazia dal basso che non giri gli occhi davanti alle situazioni problematiche o che si accontenti di gemellaggi formali pieni di bei timbri e comodi viaggi pagati.

Dopo aver eseguito tutte le pratiche burocratiche formali per ottenere l’FM3 (visto speciale per osservatori) a partire per il Messico siamo in 124. Fin dall’Italia e poi in Messico non nascondiamo mai le nostre intenzioni.

Il nostro arrivo non passa inosservato: indossiamo tutti una pettorina TODOS SOMOS INDIOS DEL MUNDO.

DIARIO

Arriviamo a Città del Messico il Primo maggio? Che sia un caso? Oppure questa data ha un suo senso. Forse come scopriremo dopo arrivare quel giorno era il miglior modo per dare un senso ad una data che ormai è in gran parte pura occasione di vuota retorica.

Quando usciamo dagli arrivi internazionali siamo circondati da giornalisti, fotografi. Fa notizia l’arrivo della nostra delegazione.  

Le 24 ore che passiamo a Città del Messico ci introducono nella realtà. Alla televisione scorrono le immagini dell’operativo contro il Municipio Autonomo di Tierra y Libertad. Camionette, militari e le parole del commentatore che ripete un copione già scritto, che parla del ripristino della legalità.

Riusciamo ad incontrare il FZLN e a discutere del peso politico che assume l’Accordo tra Ue e Messico, i nostri deputati incontrano l’Ambasciatore e i deputati del PRD. Davanti ai giornalisti nella storica sede del Club de Periodistas presentiamo il plastico del progetto della turbina a La Realidad. Ovunque ribadiamo pubblicamente che vogliamo andare a Taniperla, che vogliamo vedere con i nostri occhi quello che sta succedendo.

18 ore lente tra notte e giorno dura il viaggio in corriera fino al Chiapas, dal finestrino vediamo correre le immagini del Messico, conosciamo solo le aree di sosta con i loro venditori di frutta, tacos, biscotti e i loro ristoranti perennemente aperti con la TV perennemente accesa. Dal freddo al caldo e poi di nuovo l’aria frizzante della montagna ed il sole limpido ci accolgono in Chiapas.

Lo Zocolo di San Cristobal ci accoglie con le sue donne indigene piene di artigianato come se fossimo normali turisti circondandoci di colori e suoni.

Appena il tempo di mangiare e ripartiamo verso la Selva, destinazione La Realidad. Le strade polverose e sterrate corrono fermate solo dai posti di blocco degli agenti dell’Istituto Nazionale di Migrazione che con un perfetto stile messicano ci fermano, ci ritirano i passaporti, compilano la nostra lista di nomi (come se non l’avessero già) e poi ci fanno ripartire.

La strada diventa sempre più stretta schiacciata sul lato della montagna, con dirupi altissimi in fondo ai quali si aprono le valli del Deserto della solitudine, la Selva Lacandona. E come se la Selva tendesse costantemente a chiudere la strada ed ad aprirsi solo quando una comunità ne ha conquistato un pezzo. Molte di queste comunità sono recenti, la gente si è spostata nella Selva aprendosi il terreno per sfuggire ai latifondisti negli anni quaranta ed oggi c’è un’altra invasione non certo pacifica quella dell’esercito.

Passiamo Guadalupe Tepeyac svuotata dalla popolazione per far posto all’Accampamento dell’esercito messicano e poi iniziamo a vederla dall’alto, La Realidad, un pugno di case lungo un ruscello.

All’arrivo veniamo accompagnati nell’Aguascaliente  .. ma la nostra preoccupazione è di riprenderci. C’è chi corre a lavarsi nel fiume, che cerca tra improbabili ricette di preparare un pranzo, chi guarda sconsolato le latrine, chi tenta di capire come si fanno i nodi all’amaca per evitare (come peraltro succederà) di cascare nel pieno della notte.

Le autorità autonome ci ricevono velocemente per informarci che l’indomani si terrà la cerimonia ufficiale. Stanno aspettando che arrivino le Basi d’appoggio del resto della zona. Presentiamo, tentando di dargli una forma di ufficialità ben difficile da salvaguardare, il progetto della turbina. Da allora ci vorranno tre anni perchè la luce si accenda ma quello che è importante in quel momento è l’impegno, la scommessa complice.

Ci dividiamo. Una parte resterà a La Realidad ed un’altra raggiungerà Oventic, dove ci aspettano con i loro tamales cucinati e caldi.

Quando ci ritroviamo siamo tutti a Polho. Arriviamo al cancello chiuso, poi si apre e sulla discesa che porta al centro del paese sono schierati uomini, donne e bambini con i loro vestiti colorati ed il volto coperto dal passamontagna. La banda davanti, noi dietro sul palco le autorità del Municipio Autonomo. Denunciano la realtà dei desplazados, l’impunità seguita al massacro di Acteal, l’insostenibile situazione degli accampati privi di qualsiasi aiuto internazionale. Noi rispondiamo con parole che suonano e sono commosse.  Mentre ci portano a visitare gli accampamenti iniziamo a pensare a cosa fare l’indomani.

Già, domani dobbiamo andare a Taniperla. Il posto dove non ci vogliono far andare.

Cosa possiamo fare? Come possiamo fare?

Decidiamo di armarci, comperiamo dei fiori, molti fiori e vogliamo portare alle donne di Taniperla, per il resto ci penseremo domani.

8 maggio partiamo. Davanti e dietro i giornalisti messicani ed internazionali. Vogliono vedere come va a finire. Due settimane prima una Carovana di Pastori per la pace americani si era visto bloccare il passo dai paramilitari.

Il primo pezzo di strada è normale, fino ad Ocosingo poi inizia ad essere strada battuta. Quando imbocchiamo la strada per raggiungere Taniperla ci troviamo di fronte ad un blocco dell’esercito.

Uomini in divisa della Migracion bloccano i mezzi, scendiamo ed iniziamo a trattare. Niente da fare, per loro non possiamo passare. Con noi ci sono alcune deputate messicane. Niente da fare. Ripetiamo le nostre ragioni, sventoliamo i nostri FM3. Niente da fare.

Dopo tre ore ci fanno la loro controproposta. Possiamo entrare solo in cinque, forse.

Decidiamo di fare la cosa più naturale: forzare il posto di blocco

Perchè se siamo cittadini del mondo dovremmo fermarci alla legalità formale di uomini in divisa che coprono una situazione di illegalità?

“Mettere in gioco i propri corpi”, usare lo spazio d’azione che puoi forzare per rompere le complicità. Chi è ottuso vede in queste scelte una forzatura fastidiosa,  i più in malafede un puro gesto di protagonismo ma in realtà dietro l’idea di andare a Taniperla, come in molte altre occasioni, c’era e c’è solo la voglia di mettere in primo piano quei diritti fondamentali che da enunciazioni su pezzi di carta devono diventare realtà.

Andiamo davanti, le compagne davanti con i fiori, poi tutti gli altri.

Iniziamo a camminare. Fa un certo caldo e dopo un po’ di ore qualcuno inizia a sentirsi male. Ci raggiungono compagni delle comunità, che si organizzano per cercarci dei camion. E’ un po’ surreale il tutto: 200 italiani più un tot di messicani che camminano sotto il sole verso la Selva. All’improvviso riappaiono i nostri autobus. Li hanno liberati, rimontiamo veloci ma si è fatto tardi, è quasi buio. Continuiamo finchè ormai nell’oscurità ci fermano alcuni uomini. Ci mettiamo un attimo a capire chi sono. Sono gli uomini di Taniperla. Scappati dal villaggio dopo l’irruzione dei paramilitari per smantellare il Municipio Autonomo di Flores Magon.

A Taniperla ci raccontano sono rimaste solo le donne, per resistere, per esistere, per non abbandonare la loro vita.

E’ già notte parcheggiamo lungo la strada, con il buio non è consigliabile arrivare a Taniperla. Ci fanno salire il monte, arriviamo in una casa e nel cortile, dove normalmente viene steso a scaldarsi al sole il mais o i chicchi di caffè, ci portano il poco che hanno, il potzol e acqua. Ci stendiamo sotto le stelle, protetti dai nostri amici che continuano per tutta la notte il loro andirivieni affacendato.  L’alba ci accoglie tra le nebbie. Chi ha potuto dormire si risveglia, chi non ce l’ha fatta cerca di rialzarsi intirizzito.

Rimontiamo sui pullman e dopo poco all’orizzonte vediamo le case di Taniperla, ci vengono incontro delle donne, sono loro le donne di Taniperla.

Non servono parole, basta un abbraccio, i nostri fiori, i loro sguardi. Le circondiamo e protette dai nostri cordoni, ci raccontano la loro storia di resistenza. Mentre raccogliamo le loro voci arrivano armati di machetes i paramilitari, i priisti urlano, spingono. Ma il loro fare minaccioso sembra quello dei burattini che se non hanno chi muove i fili, sono incapaci di connettere. Li facciamo parlare, ascoltiamo le loro pseudo-ragioni ma c’è un abisso che appare evidente: da un lato la dignità, gli sguardi fermi dall’altra il balbettio sconnesso.

Grazie alla nostra presenza i giornalisti, per la prima volta, finalmente possono raccogliere la verità, se vogliono.

Tra spintoni e urla, restiamo fermi nel villaggio per diverse ore. Poi iniziamo a muoverci.

Non si può restare, il senso di quello che noi possiamo fare è la rottura di un attimo ma poi come sempre la realtà vive nelle sue radici.

L’interposizione internazionale apre dei varchi, nei muri dei silenzi, rompe l’omertà, segna una discontinuità ma quello che resta è ciò che gia c’è e che è destinato a restare nel suo futuro. Lasciamo le donne di Taniperla con un senso di commozione ma anche di rispetto: quello che abbiamo fatto è niente rispetto a quello che loro hanno fatto e faranno.

Dopo 5 anni torneremo a Taniperla liberata dall’incubo dei paramilitari dei paramilitari e rivedremo quei volti, quegli sguardi. Hanno resistito.

Risaliamo sulle corriere e torniamo a San Cristobal. Sappiamo che il governo messicano non è certo contento  del nostro rifiuto ad obbedire al divieto di andare a Taniperla. In città ci aspetta il delegato dell’Ambasciata italiana. Il nostro visto sta per scadere. Chi di noi ha già il volo per l’Italia ripartirà l’indomani, chi pensava di restare ancora con il visto turistico tra poche ore sarà clandestino. La sua proposta vincente è a dir poco incredibile: andare in Guatemala e rientrare in Messico come turisti e poi imbarcarsi per l’Italia. I pochi che accetteranno il suo consiglio si troveranno in Guatemala con il diniego a rientrare in Messico ed il volo di ritorno da Città del Messico cancellato.

La maggioranza di noi sceglie di raggiungere Città del Messico.

Una parte, quelli con il volo già prenotato il giorno stesso, fanno una Conferenza stampa all’aereoporto con una benda sugli occhi per denunciare come il governo messicano non vorrebbe che vedessimo la realtà e salgono sull’aereo.

Noi arriviamo a Città del Messico e ci precipitiamo nella sede dell’Ambasciata  Italiana. Chiediamo di farci entrare, di entrare sotto la protezione del suolo italiano in attesa di chiarire la nostra posizione. Chiediamo di avere garantito un volo in Europa. Due giorni dopo, infatti a Strasburgo si terrà la discussione sull’Accordo tra Europa e Messico.

Mancano poche ore allo scadere del nostro visto e non abbiamo modo di lasciare il paese. L’ambasciatore dopo essersi preso simbolicamente i nostri biglietti aerei e i nostri passaporti, si vanta di essere in piena trattativa con il governo messicano. Ci consiglia di andare all’aereoporto e noi forse ingenuamente seguiamo il consiglio. Ci sentiamo sotto la protezione del governo italiano e ci sbagliamo. Passano le ore, alcuni di noi riescono a salire su voli per l’Europa. Finiranno ad Amsterdam.

Continuano a passare le ore e la scadenza del nostro visto si avvicina. Ormai è notte, insistiamo con l’addetto per essere portati all’Ambasciata. Abbiamo la netta sensazione che stia per succedere qualcosa.

All’improvviso nell’aereoporto ormai deserto arrivano alcune decine di poliziotti, ci circondano. L’addetto dell’ambasciata si dissolve nel niente. Siamo rimasti soli. Ci spingono in una sala oltre la zona pubblica. Il nostro visto è scaduto. Arriva un comandante aereo che ci mostra un piano di volo per Parigi, chiediamo di far salire sul volo che ci propongono due deputati messicani e i giornalisti. Ci risponde con una perfetta faccia tosta che non ci saranno poliziotti a bordo e che tutto è normale. Quando saliamo la scaletta dell’aereo speciale c’è la sorpresa: una quarantina di poliziotti in borghese si accomodano davanti e dietro di noi.

Decolliamo  rapidamente e dopo poche ore quando siamo nello spazio aereo internazionale il comandante ci modifica la nostra espulsione a vita dal Messico e ci informa che arriveremo a Roma. La rabbia è tanta soprattutto nei confronti del gioco sporco fatto dall’Ambasciata italiana.

Nel corso degli anni futuri ne vedremo molti altri di ambasciatori, consoli, addetti che agiscono nella doppiezza e nell’ambiguità seguendo peraltro le scelte di politica estera del governo italiano.Garantire i nostri diritti avrebbe significato ammettere la violazione dei diritti umani in Messico. E questo non faceva parte delle scelte di politica estera del governo di centrosinistra italiano. Dopo un volo senza tappe e comunicazioni arriviamo a Roma, ad attenderci i nostri compagni.

Si è già deciso. Tutti a Strasburgo. Il parlamento europeo discute l’accordo Ue- Messico. Quale migliore dimostrazione della violazione dei diritti umani che la nostra storia e quella di Taniperla? Davanti al Parlamento europeo insceniamo un sit-in, un’interrogazione urgente alla Camera. Alcuni di noi entrano con cartelli di denuncia. La nostra presenza fa notizia ma alla fine il Parlamento europeo ratifica l’Accordo, ora la parola spetta ai Parlamenti Nazionali.

Torniamo a casa ed iniziamo una campagna di denuncia delle nostre espulsioni, vengono approvate mozioni nei consigli comunali, viene fatta un’interrogazione urgente alla Camera. Il governo messicano resta inamovibile anche perchè il governo italiano si guarda bene dal porre con urgenza il ritiro della nostra espulsione. La politica dall’alto ha una regola fondamentale quella della mutua complicità. Dal Messico e dal resto del mondo ci arrivano messaggi di solidarietà.

Allora non lo sapevamo che quello che dall’alto non si voleva cambiare, sarà imposto dal basso. Quando gli zapatisti nel 2001 faranno la marcia del colore della terra, sull’onda della forza di quella convocazione, anche le nostre espulsioni saranno sospese.

Di Taniperla si continuerà a parlare. Il murales distrutto nell’operativo dell’esercito farà il giro del mondo, sarà riprodotto ovunque per dire che con la repressione non si cancella la resistenza di una comunità.

Materiali originali disponibili presso:

Caminantes – Centro Studi e Documentazione sul Messico e l’America Latina

Napoli – Largo Banchi Nuovi NAPOLI Mail: csdm-caminantes@yabasta.it


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