Rassegna Oblo #2 – Raccontare le guerre – Videoracconto della serata

Sala piena per la prima serata della seconda edizione di Oblò.
La Rassegna nata dalla collaborazione di Associazione Ya Basta- Caminantes, Edizioni BeccoGiallo e GVC, dopo la tappa bolognese al Terra di Tutti Art Festival, ritorna a Padova.

Tre serate con docufilm tratti dal TTAF grazie alla collaborazione con GVC e con particolare attenzione al linguaggio dei fumetti.

Nel primo incontro, svoltosi alla Multisala Astra, tema centrale i conflitti, i nuovi scenari di guerra che attanagliano il presente.
Una riflessione a più voci attraverso le parole degli ospiti, le immagini di Puzzlestan di Ivan Grozny sulle connessioni tra Siria, Iraq e Turchia e Syrian Edge, dedicato alla situazione dei profughi siriani il Libano e alla campagna di sensibilizzazione, promossa dal GVC, #4Syria per raccontare all’opinione pubblica le storie e la vita quotidiana di chi fugge dalla guerra e le tavole a fumettio della Mostra Drawing the future.

PLAY LIST VIDEO

Interventi di Ivan Grozny – freelance, Beppe Giulietti – Articolo21, Domenico Chirico – Un Ponte per …, Barbara Spinelli – Giuristi Democratici.

Presentazione prossimi appuntamenti

RACCONTO

All’inizio della serata sono state presentate le future tappe di Rassegna Oblò.

Prima delle proiezioni la parola è passata a Barbara Spinelli dei Giuristi Democratici, associazione in prima linea nella difesa dei diritti umani, per parlare di quello che sta succedendo in Turchia.

Barbara ha descritto quello che lei stessa ha definito la situazione di guerra in cui vive la città di Cizre. Coprifuoco, assedio, morti e distruzione: uno scenario bellico in piena regola attuato dal governo turco dentro i propri confini.

Se noi accettiamo che la Turchia calpesti le convenzioni fondamentali, ratificate a tutela dei diritti umani, domani altri potrebbe lasciare che vengano calpestati anche i nostri diritti fondamentali. E allora serve solidarietà, un’informazione adeguata ed approfondita e una maggiore opera di pressione e solidarietà. Quello che è successo ad Ankara non è altro che l’ennesimo attacco diretto o indiretto dello stato (attraverso una omessa vigilanza sicuramente, se non adirittura attraverso una compartecipazione) contro quella parte della Turchia che vuole la pace, un paese unificato, rispettoso dei diritti umani di tutti. Un paese rispettoso anche di quella che è la richiesta del popolo curdo di portare avanti il processo di pace, interrotto attraverso la violenza, di portare avanti delle elezioni democratiche.” ha affermato l’avvocatessa bolognese, dicendo in conclusionne “serve essere consapevoli ed uniti nella lotta per l’affermazione dei diritti umani.”

Con la proiezione di Puzzlestan di Ivan Grozny le immagini e le interviste hanno mostrato l’indissolubile legame tra i vari scenari geopolitici, la situazione di migliaia di uomini, donne, bambini profughi in Iraq e Turchia, la resistenza tenace e determinata dei curdi nella Rojava in Siria, le esperienze di solidarietà e vita in questi territori squassati dai conflitti.

Dopo la proiezione è iniziata la discussione aperta dagli organizzatori della Rassegna.
“Quando abbiamo pensato questa serata volevamo dare continuità alla serata che ha aperto la Rassegna Oblo alcuni mesi fa.
Dicevamo allora che la guerra è dovuta ad uno scontro geopolitico tra vecchie e nuove potenze per la supremazia in quest’area enorme che va dall’Asia all’Africa. Una guerra che va letta dentro il tempo presente del capitalismo finanziario del mercato unico globale, alimentato dalla produzione di denaro attraverso il denaro, inteso come spazio agito, condiviso ma anche teatro di scontro tra poteri legali ed illegali, tra vecchie e nuove forme di sovranità.
A sei mesi di distanza ci ritroviamo a dover rifllettere questa sera su uno scenario che si sta sempre più annuvolando.
Ciò che sta succedendo adesso intorno alla Siria è qualcosa che richiama potentemente l’uso delle armi, come metro di misura dei rapporti di forza.
Basta pensare a quello che sta facendo la Russia, ai problemi con gli americani, al tentativo turco di essere egemone così come l’Iran, ai Paesi del Golfo che vogliono anche loro giocare le proprie carte.
L’azione delle armi diventa il modo con cui tutti gli attori, vecchi e nuovi, locali ed internazionali, uniti nel condividere/contendere l’orizzonte del capitalismo finanziario, muovono le pedine dei loro giochi di potere sulla pelle delle popolazioni civili.
Va avviata una riflessione complessa, non schematica e non cadere in facili semplificazioni, per comprendere quanto sta accadendo, anche per agire nei confronti dei grandi flussi migratori che giungono nella nostra Europa, spinti da questa devastante situazione “.

La parola è poi passata a Domenico Chirico di Un Ponte per …, appena tornato dall’Iraq e dalla Siria.
“Per comprendere quel che sta succedendo, osservando l’arrivo di milioni di persone in Europa, è fondamentale capire quel che accade in quelle zone. Per questo è importante un lavoro di informazione, come quello fatto da Ivan Grozny, che racconta la storia di moltissime persone, quelle che noi incrociamo nella nostra presenza in loco, che rischiano la vita per fare un lavoro di solidarietà, di costruzione sociale“.

Domenico ha poi continuato dicendo che il tema che fa focalizzato ed è il tema della fuga.
Moltissimi di quelli che conosciamo in Iraq sono già partiti o vogliono andarsene. In Iraq oggi ci sono 5 milioni di sfollati interni.
L’esodo che abbiamo visto questa estate non è che l’inizio.
Uomini, donne, vecchi, giovani, bambini vogliono andarsene di fronte ad una situazione che non offre speranze. Dopo un anno dall’inizio della nuova recrudescenza della guerra, con l’avanzata di Isis, la ricerca della fuga è un sentimento diffuso. Gli aiuti che erano arrivati all’inizio stanno scemando, la gente è costretta a vivere in situazioni desolate. Le minoranze sono sempre più aggredite. Pensate ai cristiani: in Iraq erano 1.200.000 nel 2003, oggi sono a stento 400.000. Chi vuole fuggire ha la Germania o la Svezia, come destinazione. Da questo punto di vista le polemiche di Salvini sull’invasione del nostro paese, sono risibili. Chi vuole fuggire ha una destinazione precisa, non certo l’Italia.”

La fuga, per costruirsi una speranza di futuro”, ha spiegato riguarda dunque milioni di iracheni perchè dalla Siria chi doveva fuggire è già partito negli anni scorsi. Basta pensare che in Siria, prima della guerra c’erano 22 milioni di abitanti, oggi ce ne sono scarsi 13 milioni. Chi ha potuto è andato nei paesi limitrofi, come in Libano dove ci sono 1 milione e 200.000 siriani, pari al 26% della popolazione”.

Ha poi concluso che quello che mostra Puzzlestan è “come il risultato della guerra sia una terra disseminata di campi profughi, di campi di battaglia, di scarsezza di risorse e servizi, ma comunque pur in questa drammatica situazione c’è gente che cerca di ricostruire una realtà, di farlo con dignità. Gente affronta la quotidianità per resistere a questa guerra che dura da 5 anni in Siria e tra alti e bassi da 10 in Iraq”.

Eè stata poi la volta del contributo di Beppe Giulietti di Articolo 21, associazione impegnata contro ogni forma di bavaglio all’informazione.
“E’ chiaro come sia difficile far arrivare notizie dai paesi in guerra, dove certamente tutto è confuso e contradditorio, per questo un lavoro come quello di Ivan Grozny è importante, per prendere parte senza cadere nel vizio della propaganda.
Puzzlestan racconta come organizzano la loro vita le comunità, le persone che difendono la dignità, il diritto di voto, che si oppongono agli integralismi di Erdogan come dell’Isis, in una terra di integralismi. Ti fa vedere queste realtà, te le fa comprendere. L’informazione normalmente ti dice: devi schierarti tra l’integralismo delle bombe oppure l’integralismo di chi è contro. Se in tutto questo spariscono i diritti dei popoli, dei singoli non importa. Puzzlestan tenta di andare in profondità. Oggi invece c’è una prevalenza della velocità che ti dà testi ma non contesti. Una velocità dell’informazione che serve bucare la notizia ma non per certo a capire.
Come Articolo 21 vogliamo metterci al servizio perchè lavori come questo possano circolare non solo nei nostri canali. Oggi più che mai è importante un’analisi critica di quel che accade.
Questo vale non solo per la Turchia. Lo scambio tra sicurezza e libertà individuali lo stiamo vedendo in Egitto, in Messico, in Spagna con la Ley Mordeza, nelle nuove legislazioni che si vorrebbero varare in numerosi paesi, l’abbiamo visto in America dopo l’11 settembre. Ti vogliono mettere in testa che se c’è un problema di sicurezza vanno fatte alcune cessioni e la libertà d’informazione e di racconto è una di queste.
L’assioma che viene presentato, per dirla in breve è questo: chiunque attenti alla sicurezza nazionale fornendo informazioni utili al nemico mette a repentaglio la sicurezza dello stato. Per questo in Turchia finiscono in galera molti giornalisti curdi. Quando racconti della storia curda automaticamente, secondo il governo, metti a repentaglio la sicurezza dello stato
D’altronde quello che è successo ad Ankara è la spirale che abbiamo conosciuto anche in Italia con la strategia della tensione. Al di là di chi ha messo le bombe, l’effetto è quello della repressione. Ad Ankara mentre ancora c’erano i morti sull’asfalto, ci sono state le manganellate contro i manifestanti e poi immediato il blocco dell’informazione. E’ paradossale: mentre cerchi i terroristi la prima cosa che fai e bloccare l’informazione. Qual’è il nesso?
Come Articolo 21 siamo impegnati a dar voce a chi lotta in loco. I giornalisti turchi, come in molte altre parti del mondo, dal Messico all’Egitto, chiedono di dare voce, far circolare la comunicazione, impedire che cali l’oscurità. Noi ci mettiamo a disposizione per fare questo. Siamo stati davant alle ambasciate ungheresi per protestare contro la costruzione dei muri anti-migranti e saremo anche davanti alle ambasciate turche, se si organizzeranno delle proteste proprio perchè da lì arriva la richiesta che non cada il silenzio.”

Ha poi concluso “come, per capirci, non darei mai la riforma della sanità ai medici, la riforma della comunicazione ai giornalisti, così non consegnerei la comunicazione soltanto ai mezzi di comunicazione. Per questo serate come questa sono importanti perchè le persone organizzano la comunicazione direttamente e si ritrovano a discutere faccia a faccia.”

Ivan Grozny ha iniziato il suo intervento parlando dei suoi prossimi lavori in Turchia ed in Messico.
Una delle idee alla base è quella che “da questi luoghi di guerra si può passare il tempo a mostrare immagini truci e dire che c’è la morte
oppure si può scegliere di capovolgere l’assioma e mostrare la vita. Per me il momento bello è vedere che a Kobane la gente dà spazio a forme artistiche,
che ci sarà un domani, che non si vive per sopravvivere ma per costruire una vita nuova, una società diversa.

Come quando la rappresentante della Rojava spiega come loro stesse abbiamo cambiato immagine femminile, affermando quella di una donna forte, che protegge il suo popolo. Parliamo di donne che hanno dovuto reinventrarsi guerrigliere ma che nella vita facevamo altro.
Ha concluso dicendo: “Stiamo parlando di donne ed uomini che non hanno una impostazione militare della vita. In Rojava, Turchia ed Iraq si passa il tempo anche facendo altro. C’è vita e noi dobbiamo metterlo in luce“.

La discussione si è conclusa dando spazio all’azione in questi contesti.
Domenico di Un Ponte per .. ha parlato di come sia importante in Siria sia il sostegno a livello umanitario, ad esempio garantendo la possibilità d’accesso ai medicinali, sia anche il sostegno alla stessa autorganizzazione politica e sociale dell’esperienza della Rojava.

Per continuare a capire cosa si può fare sul campo, è stato poi presentato il lavoro svolto da GVC in Libano. In particolare #4Syria, campagna di sensibilizzazione per raccontare all’opinione pubblica le storie e la vita quotidiana di chi fugge dalla guerra, dando i riferimenti per chiunque voglia aderire.

La serata si è chiusa con la proiezione di Syrian Edge di J. Martin Baigorria, Lisa Tormena.

Il docufilm racconta la realtà del milione e 200.000 i siriani ufficialmente registrati in Libano come rifugiati anche se quelli che scappano dalla guerra sono molti di più. Con il passare del tempo la speranza di tornare a casa una volta terminata la guerra comincia a vacillare. Intanto i siriani sopravvivono grazie agli aiuti internazionali e agli sforzi delle singole municipalità. Una situazione che pesa nel contesto libanese, rischiando di acuire le tensioni. Il documentario fa parte di una campagna di sensibilizzazione realizzata da GVC nell’ambito degli interventi a sostegno dei rifugiati siriani e della popolazione libanese, finanziati da ECHO – Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione Europea.

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Arrivederci alle prossime serate.


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