Dalla COP 20 a Lima verso la COP21 a Parigi

Iniziata la scorsa settimana la ventesima Conferenza dell’Onu sul Cambio Climatico (COP20) sta entrando nella seconda settimana di attività per concludersi il 12 dicembre.
La COP20 viene annunciata come un momento di passaggio, in cui si dovrebbe elaborare un documento base da discutere alla COP21 a Parigi del prossimo anno. Il presidente del Perú, Ollanta Humala, nel discorso inaugurale ha detto che “c’è l’opportunita di creare l’alleanza più grande della storia contro un nemico comune che è il cambio climatico”. Come se i cambiamenti climatici fossero un dato oggettivo e non il frutto di precise scelte energetiche e produttive!
La retorica, si sa, non si risparmia in questi eventi/spettacolo, mentre all’interno dei sommovimenti geopolitici contemporanei, i flussi e le scelte energetiche si disegnano in altri contesti. “Formali”, come lo scorso vertice dell’APEC con la dichiarazione congiunta Usa-Cina. “Informali”, come quelli nello schiacchiere dei nuovi conflitti geopolitici locali, dall’area mediorientale a quella ucraina, in cui contendono poteri vecchi e nuovi, così come nelle borse in cui anche le quote verdi, le nuove tecnologie green, gli ondeggiamenti del prezzo del barile di petrolio, etc .. fanno parte degli scambi finanziari del mercato unico globale.Inaugurazione della COP20 a Lima

Scenario della COP21 Lima, la capitale del Perù, paese in cui si trova la maggior parte della selva amazonica dopo il Brasile, che sta affrontando il disgelo dei ghiacci nelle montagne delle Ande e l’aumento del livello del mare sulle sue coste.
Un paese in cui il saccheggio del territorio e la distruzione delle risorse, accompagnato da una corruzione imperante, continua anche durante il governo di Humala, che ha disatteso molte delle speranze elettorali. Un dato semplice parla chiaro: da uno studio del gruppo Propuesta Ciudadana, la superficie concessa alle attività estrattive è passata dal 6% del 2002 al 20% attuale.
Un caso emblematico il ”proyecto Minas Conga” ovvero il drenaggio di quattro lagune nella regione di Cajamarca: Perol e Mala che nascondono giacimenti auriferi e Azul e Chica le cui aree verrebbero desinate ad enormi depositi per contenere la terra da riporto. La sparizione di queste lagune comporta danni ambientali irreparabili, trasforma la mappa idrografica dell’intera regione, mettendo a repentaglio, oltre all’ecosistema, la sopravvivenza delle comunità indigene che vivono ancora di agricoltura ed allevamento. Di fronte alle proteste, che continuano nonostante la repressione della polizia, l’intera area è stata sottoposta allo stato d’eccezione.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali con la firma nella primavera del 2012 con Cile, Colombia e Messico dell’accordo che sancisce la nascita dell’ Alleanza del Pacifico, il Perù ha abbandonato il rapporto con altri paesi del continente per avviare nuovi rapporti commerciali, guardando a legami sempre più stretti con la Cina, il tutto con la “benedizione” degli Stati Uniti, impegnati a non perdere nessuna mossa che guardi al Pacifico.

La sede del vertice la dice lunga sull’evento: si tratta di un’area di 90.000 metri quadri, costata 54 milioni di dollari, dentro il Quartiere Generale dell’Esercito, noto come “El Pentagonito”. Un luogo con una storia tetra. Costruito nel 1975 dal dittatore Juan Velasco Alvarado, è stato usato fino ai tempi del presidente Alberto Fujimori dall’esercito per torturare ed interrogare prigionieri politici.

Presenti, come al solito, circa 15.000 delegati di 190 paesi, previsto per giovedì anche l’arrivo del Segretario di Stato John Kerry. Una novità sulla scena delle COP visto che è dal 2009 a Copenhagen con Hillary Clinton, che gli Stati Uniti non partecipano con un delegato tanto importante.

Da lunedì è iniziato anche il Summit dei popoli contro il Cambio Climatico, in un parco ben distante dal vertice ufficiale. Questo non ha impedito agli attivisti per la giustizia ambientale e sociale di compiere anche alcune azioni come la protesta contro uno dei padiglioni dedicato al “futuro energetico” sponsorizzato dalla Shell e dalla Chevron. Ambientalisti nigeriani canadesi ed europei uniti per denunciare il ruolo avuto dalla compagnia petrolifera nella devastazione ambientale del delta del Niger ed in molte altre parti del mondo. “Chi è causa del problema, non può esserne la soluzione”, spiega Godwin Ojo di Environmental Rights Action / Amici della Terra della Nigeria “siamo qui per condannare le attività della Shell alla COP 20. La Shell promuove come futuro energetico ancora l’energia sporca, carbone, petrolio, nucleare. E’ ora di dire basta è andare radicalmente verso energie realmente rinnovabili.

10 dicembre con la Marcha Mundial en defensa de la Madre Tierra #YoMarcho10D.

Marcia 10 dicembre 2014 a Lima – Perù

Al corteo del 10 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti Umani sancita dell’Onu come anniversario della Dichiarazione Universale del 1948, parteciperanno in molti: realtà locali, comunità, associazioni ambientaliste.

Alla corteo parteciperà anche la Marcia dei Popoli, guidata proprio dalle comunità delle comunità “cajamarquinas”. Dalle lagune di Conga sono partiti in 500, attraversando numerose località del Perù, nonostante i tentativi della polizia di fermarli. Quello che li porta a Lima è racchiuso nelle della madre di Joselito Vasquez, assassinato nel giugno 2012, che ha dichiarato. “ non abbiamo paura della morte, se dobbiamo morire per difendere l’acqua e la giustizia. Stiamo andando a Lima perché tutto il mondo sappia cosa sta facendo il governo al nostro popolo”. “Sappiamo che non abbiamo spazio nella COP20 e che la conferenza è fatta di riunioni inutili, ma vogliamo incontrare altri popoli che lottano come noi in Perù, in tutto il mondo”, hanno dichiarato i manifestanti arrivati a Lima martedì.

Verso Lima si è mossa anche la Carovana climatica, partita dall’Ecuador e che è stata provocatoriamente fermata dalla polizia di Correa con motivazioni pretestuose.

Pascoe Sabido, ricercatore, attivista di Corporate Europe Observatory, a Lima per partecipare alle proteste, ha presentato a Democracy Now, il Report di Ceo, Democracy Center e Transnational Institute “ Corporate – Conquistadors – Le differenti forme in cui le multinazionali generano e traggono profitti dalla crisi ambientale” . Il rapporto è dedicato a denunciare attraverso un dettaglio rapporto le attività in Perù e Colombia della Repsol (inglese), Glencore-Xstrata (svizzera) e Enel-Endesa (italiano / inglese), imprese responsabili dei cambiamenti ambientali ma che influenzano le politiche nazionali ed internazionali per speculare e guadagnare anche dalle finte soluzioni ai problemi ecologici. Finte soluzioni, dalle dighe devastanti alle compensazioni, che si accompagnano con un potere che si riflette costantemente in vertici come quello di Lima.
Allontanare queste corporations dai luoghi in cui si dovrebbe discutere delle risposte alla crisi ambientale, sarebbe un primo passo doveroso. Il rapporto come si dice nell’introduzione “è un contributo ai dibattiti attuali, che stanno rafforzando le lotte locali ed internazionali contro la distruzione che provocano le corporations. Mettendo l’attenzione sui legami tra i conflitti ambientali e la usurpazione corporativa degli spazi decisionali sulla politica politica climatica, speriamo di dare ancora più visibilità allo spazio comune nel quale costruire reale solidarietà internazionale nella lotta per la giustizia climatica”.


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