Tra dolore, rabbia e speranza: lo scenario dopo il massacro di Ayotzinapa

Ieri durante una conferenza stampa il procuratore generale, Jesús Murillo Karam, ha annunciato che tre narcotrafficanti del gruppo Guerreros Unidos hanno confessato di aver ucciso i 43 studenti scomparsi a Iguala, in Messico, il 26 settembre.
Secondo le dichiarazioni fatte dai tre narcos gli studenti, arrestati dalla polizia di Iguala su ordine del sindaco, José Luis Abarca perché temeva che avrebbero interrotto un comizio della moglie, sono stati poi caricati su dei camion e portati a Cocula, una località a 22 chilometri da Iguala, vicino a una discarica.
La polizia li ha consegnati ai narcotrafficanti del gruppo Guerreros Unidos. La versione della testimonianza dei tre è che i giovani sono stati interrogati e poi uccisi e bruciati.
I familiari in una conferenza stampa svolta nella Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, hanno detto che se non ci sono prove concrete non perderanno la speranza che i loro figli siano vivi. Hanno sottolineato come accetteranno solo i risultati dei periti argentini e non la versione, per ora appunto senza prove, dei tre arrestati dalla procura.
Il 5 novembre di nuovo erano scesi in piazza in migliaia per chiedere giustizia e denunciare la strage effettuata dal narco-stato.


Di quel che sta succedendo in Messico abbiamo discusso lo scorso 6 novembre in un partecipato incontro a Padova presso Ca’Sana.

Nell’introduzione abbiamo voluto sottolineare come quello che succede in Messico, le migliaia di morti e desaparecidos in questi anni di cosidetta “guerra al narco”, la modificazione che ha subito lo stato messicano fino a diventare un narco-stato, vanno comprese dentro la dimensione globale nella quale viviamo.
Il mercato unico del capitalismo finanziario disegna uno scenario in cui attori legali ed illegali, si muovono fuori dagli schemi che avevamo precedentemente conosciuto.
Il narco-stato messicano, l’intreccio tra apparati istituzionali e carteles, non è una anomalia. Ricopre ed intreccia interessi che non riguardano solo il mercato delle droghe, i cui profitti a livello globali si ingrossano costantemente attraverso l’ipocrisia del proibizionismo, ma anche le nuove frontiere dello sfruttamento nel paese come il saccheggio delle risorse naturali, i flussi migratori.
Il Messico dentro la crisi globale ha visto ridurre alcuni fonti economiche d’ingresso fondamentali. Si sono ridotte le rimesse dei migranti, in particolare dagli Stati Uniti, il sistema delle maquilladores (le fabbriche ad alto sfruttamento al confine nord) si sono spostate verso i mondi asiatici. In questo scenario di crisi economica nuovi orizzonti di accumulazione prevedono nuovi campi di sfruttamento come quelli rappresentati dal saccheggio di risorse ambientali e sociali.
Per fare questo vanno affermate nuove forme, ancora più forti e totali, di controllo dei territori e le voci d’opposizione vanno fatte tacere.
In questo contesto, oltre alla ridefinizione delle alleanze connesse agli enormi guadagni del narcotraffico, la “guerra al narcos”, o meglio tra narco-poteri legali ed illegali in conflitto tra loro, disegna i padroni del territorio. Migliaia di “despalazodos” costretti a lasciare le proprie terre che guarda caso in molte occasioni sono propri territori da sfruttare dal punto di vista delle risorse, delle miniere, delle grandi opere da costruire Il terrore, che ha generato la “guerra al narco”, si estende con una militarizzazione e violenza complessiva nella società. Mentre diventa sempre più difficile avere il coraggio di protestare nella zona grigia delle migliaia di morti e desaparecidos, finiscono anche gli esponenti dei movimenti, dellle realtà di base che si oppongono alla rapina del territorio e dei diritti.

Immagini dal Messico
La complessa situazione delMessico è stata ben evidenziata dall’intervento di Giovanna Gasparello attraverso alcune immagini chiave.
Il massacro di Tlatlaya in cui 22 giovani sono stati giustiziati secondo la versione ufficiale in un “conflitto contro i narcos” dimostra l’agire impunito in termini di giustizia sommaria che si è istaurato in questi ultimi anni.
La devastazione ambientale del Rio Sonora, il più grande disastro ambientale degli ultimi anni, dovuto alla contaminazione fatta dalla Mineria Grupo Mexico: un esempio drammatico di come in nome dei profitti si saccheggia il territorio.
Il transito di migliaia di migranti, che nella corsa verso il confine con gli States vengono rapinati, in molti casi assasinat, trasformato nel business illegale della frontiera, altra voce d’entrata economica dei narco interessi.
Il proliferare di gruppi armati di autodifesa, in alcuni casi, come la Polizia Comunitaria del Guerrero nati dalle comunità per difendersi dai narcos e dallo stato, in altri casi infiltrati dagli stessi narcos, in altri ancora riconosciuti dalle istituzioni crea una complessiva “privatizzazione” della sicurezza che comporta un generale aumento degli attori armati e della violenza.
A questi nuovi scenari, nonostante il terrore della violenza nel paese si oppongono, come raccontato nelle altre immagini proposte da Giovanna storie di resistenza.
Le lotte in difesa del territorio della Tribù Yaqui, i cui portavoce sono in carcere, le mobilitazioni di Salvador Atenco contro al costruzione del nuovo aereoporto, la strenua resistenza di San Francisco Xochicuautla contro la costruzione della nuova autostrada, portata avanti nonostante gli arresti proprio di questi giorni.

Al dolore si contrappone la rabbia e la speranza.

Le mobilitazioni di questi giorni, come raccontato nell’incontro da Daniele Fini in diretta dal Messico, crescono non solo di quantità ma anche di qualità. Sempre più forte è la denuncia che la responsabilità è dello stato. Le proteste di cui sono protagonisti soprattutto i giovani, gli studenti, si sono estese in tutto il paese,
“Fora Peña” (via il Presidente) risuona nelle piazze rieccheggiano “que se vayan todos” . Rompere la paura è già stato il primo obiettivo raggiunto dalle mobilitazioni, dalle proteste. La condizione essenziale per iniziare ad attaccare il sistema del terrore costruito in questi anni di “guerra al narco”.

Gli zapatisti

La presentazione del Festival Mondiale delle ribellioni e delle resistenze contro il capitalismo, lanciato dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale insieme al Congresso Nazionale Indigeno è stato l’ultimo argomento toccato nell’incontro a Ca’Sana.
Gli zapatisti nella loro lunga storia di autonomia ed autogoverno, non priva di difficoltà e contraddizioni non sono un’icona da incensare, rappresentano invece un percorso, un’esperienza in cui all’arroccamento identitario si è preferito il cammino più lungo e complesso della costruzione di un’alternativa sociale indipendente. Per questo possiamo sentirli vicini ancora oggi così come sentiamo vicini le donne e uomini curdi della Rojava impegnati a resistere ad una delle nuove forme delle potenze barbare del presente, l’Isis, attraverso la difesa armata di Kobane per difendere un’alternativa non solo per loro, per la loro organizzazione ma per l’intera società siriana e non solo.
Il Festival di dicembre 2014, proposto dall’Ezln e dal Cni, è un’occasione in Messico e non solo, per connettere lotte e resistenze che vogliono costruire un altro presente diverso ed alternativo dai multipli poteri che si contendono spazi nel mercato unico finanziario del capitalismo globale. Per questo noi ci parteciperemo.

Per informazioni sulle iniziative dell’Associazione Ya Basta Padova e sul Festival di dicembre in Messico scrivi a padova@yabasta.it

Ps: grazie a Ca’sana che ha ospitato l’incontro e grazie a tutti quelli che hanno partecipato.


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