Marcia #Ayotzinapa somos todos a Città del Messico

Sono passati tre mesi dal 26 settembre, il giorno dell’agguato ad Iguala contro gli studenti della Scuola Rural Normal di Ayotzinapa.
Oggi, nonostante fossimo in pieno clima natalizio, a Città del Messico hanno sfilato alcune migliaia di persone dall’Angel fino a Plaza Revolution.
Ad aprire la manifestazione i familiari e i compagni dei 43 studenti desaparecidos.
Il corteo eterogeneo, con spezzoni di vario tipo, da quelli delle organizzazioni storiche, a quelli più artistici, a quelli dei gruppi studenteschi era attraversato anche da molti giovani e messicani di ogni età con i loro cartelli e scritte.
In questi tre mesi il massacro di Iguala, grazie anche alla determinazione dei familiari si è trasformato in un simbolo di molte cose: la rottura della paura, la denuncia della connivenza tra stato e narcos, la mancanza di fiducia nei partiti, la richiesta di un cambiamento,

A sfogliare un quotidiano messicano qualsiasi oggi si capisce quali siano le tante molle che, attorno a quel #ayotzinapasomostodos, fa muovere migliaia di persone.
Oltre alle notizie sulla scomparsa degli studenti con tutte le varie questioni annesse, si legge della denuncia dei gruppi di autodifesa di Ostula in Michoacan delle connivenze tra istituzioni locali e il crimine organizzato.
Michoacan è uno degli stati dove sono ben presenti i vari carteles della droga, la costa della regione serve per il transito della cocaina verso gli States. Nello stato, come in molte altre parti sono nati gruppi armati di ogni tipo, da forme di autodifesa dallo stato e dai narcos, come quelle di Ostula, un territorio in cui le comunità hanno occupato diversi ettari di terra da alcuni anni e li stanno difendendo, a gruppi che con la “scusa” dell’insicurezza generale in realtà sono piccole milizie armate di questo o quel impresario fino ad arrivare a gruppi civili armati che sono o infiltrati o direttamente costituiti dai narcos.,
E poi dal Guerrero viene la conferma della morte di un prete Gregorio Lopez Gorostieta. Lo hanno trovato morto, ucciso da un colpo in testa. Siamo ancora una volta in Guerrero. Lo stato in cui la storia delle resistenze anche armate è lunga e decennale a partire dagli anni sessanta. In cui molte comunità anche qui si autoproteggono e in queste ultime settimane hanno proclamato diversi Municipi autonomi. Siamo anche nella regione dove si produce il 60% del papavero di cui il Messico è il terzo produttore mondiale dopo l’Afghanistan e il Myanmar e dove lo scontro per il controllo dei traffici di droga e di esseri umani si intreccia con il tentativo di controllare un territorio nevralgico per la presenza di importanti miniere di oro ed argento oltre che ricco di biodiversità.
Cambi pagina è dallo stato di Nayarit giunge la notizia che un leader indigeno è stato sequestrato per mezza giornata da “uomini armati” perchè aveva appena finito una conferenza stampa contro la costruzione di una diga nella zona.
E per finire nelle pagine economiche si legge che i salari in Messico sono tra i più bassi dell’intera America Latina.
La vicenda di Ayotzinapa è stato il detonatore per dare visibilità ad un malessere sociale che ha tanti aspetti ma che oggi trova nella denuncia dell’insopportabilità della violenza del narcostato un suo momento di unione.
Ayotzinapa è stata come una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dove porterà tutto questo ovviamente nessuno può dirlo, ma è un momento particolarmente “denso” per il paese.
Nell’incontro che abbiamo fatto con i familiari di Ayotzinapa ci veniva detto che da parte loro c’è la volontà di continuare per ritrovare i loro figli ma anche per cambiare alla radice la situazione. In questi giorni il Festival lanciato dagli zapatisti e dal Congresso Nazionale Indigeno è un’occasione per intrecciare strade di resistenza e lotta. Sono esperienze diverse che si stanno incontrando con sullo sfondo un paese in ebollizione, così come oggi ribolliva anche il vulcano Popocatépetl, lanciando fumi bianche che si vedevano da Paseo de la Reforma dove scorreva il corteo ..


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