“La banalità del male” di Sara Montinaro

La presentazione del libro Viaggio nella banalità del male con l’autrice Sara Montinaro è stata una occasione interessante per riparlare di quello che avviene nella Siria del Nord est e nell’intera regione.

La presentazione è stata curata insieme da Associazione Ya Basta Caminantes -Padova Libratì – Libreria delle donne Padova, Cooperazione Rebelde Napoli, Ya Basta Bologna e Giuristi Democratici di Padova.

Il volume edito dalla Casa editrice Meltemi offre spunti utili per approfondire temi quali il ruolo dell’Islam politico e la situazione delle donne legate a Daesh.

Vilma. Sara è appena tornata dalla Siria del Nord est e con lei possiamo approfondire cosa sta succedendo in una zona del mondo di cui si è parlato tanto alcuni anni fa, ma che adesso è sparita dall’informazione ufficiale. Entriamo subito nel vivo della discussione, vogliamo approfittare di te per capire cosa sta succedendo nella Rojava, cosi chiamata per molto tempo e che oggi tutti chiamiamo più correttamente Siria del nord est, dove sulla base dell’idea del confederalismo democratico si sta cercando di costruire una strutturazione sociale diversa, pur in un contesto che è ancora fortemente di guerra. Quali sono gli aggiornamenti del fronte?

Sara. Intanto ciao a tutti, e grazie mille. Sono contenta di vedere tante persone che conosco. Abbiamo fatto un sacco di delegazioni, carovane nel corso degli anni, soprattutto in questi territori e quindi è un piacere rincontrarci.
In questo momento la situazione è abbastanza complicata e sono contenta di avere la possibilità di parlarne, perché vedo che nei media mainstream italiani questa tematica è` completamente scomparsa.
Iniziamo da quella che è la situazione sanitaria, motivo per il quale ero laggiù e collaboravo con la Mezza Luna Rossa Curda. La situazione sanitaria è alquanto difficile, come potete immaginare. Dopo 10 anni di guerra e di conflitto all’interno del territorio, il sistema sanitario è completamente al collasso. Abbiamo avuto tantissime difficoltà nell’organizzare i punti medici, l’accesso alle cliniche, alle cure mediche, i dati più recenti ci parlano di 21 nuovi casi, aggiornati al 2 marzo, in totale ci sono sugli 8629 casi. Questi numeri però devono essere considerati, all’interno di una complessità che vede il Rojava continuamente sotto embargo, per cui e` difficile anche recuperare l’equipaggiamento medico necessario per implementare i reparti di terapia intensiva. E’ una situazione su cui pesano alcune decisioni internazionali, come l’ultima presa dall’ONU relativa alla chiusura del gate di al-Yarubiyah, tramite il quale accedevano tutti gli aiuti umanitari al Nord est della Siria. Ad ogni modo grazie all’intervento di ONG sul territorio, all’Amministrazione Autonoma del Nord est della Siria e al lavoro costante della Mezza Luna Rossa Curda si è stati in grado di organizzare un minimo di supporto e di aiuto all’intervento umanitario.
Bisogna ancora fare tanto e per questo vi chiedo di continuare a supportare tutti i progetti della Mezza Luna Rossa Curda sul campo. Nonostante le difficoltà, passo dopo passo, si sta creando un sistema capace di far fronte a quelli che sono i problemi maggiori.

Vilma. Per chiudere su questa questione sanitaria, tu ci raccontavi mentre preparavamo questa presentazione, che per popolazioni costrette da tempo a vivere sotto i bombardamenti, in uno scenario denso di drammi e problemi, il Covid viene vissuto come un male tra i tanti. Questo mi ha fatto riflettere sulla relatività delle cose a seconda di dove vivi.

Sara. Sì, infatti quando vivevo lì da un momento all’altro il problema diventava l’acqua per 800-900 mila persone, perché la Turchia chiudeva la diga di Alouk oppure sentivi il governo siriano che iniziava a bombardare sul fronte nella zona di Idlib, oppure che c’erano attacchi da parte delle cellule di Daesh sul territorio. A queste notizie, già di per sé drammatiche, aggiungiamo poi anche la grossa crisi economica. A volte non c’era pane per giorni. E’ normale che, all’interno di questo contesto, il Covid diventa una delle tante emergenze e questo si riflette sulla percezione delle popolazioni locali.
Se devi far attenzione a non andare al bazar perché ci potrebbe essere un attentato oppure come a giugno scorso, a causa del Caesar Act e dalle sanzioni imposte dagli USA, non riesci a poter trovare il pane, è ovvio che il Covid diventa relativo. E’ un problema ma uno dei tanti.

Vilma. Torniamo alla questione sociale. Cosa significa costruire un’altra società, far vivere il concetto di confederalismo, di autonomia, cioè autogovernarsi in maniera diversa durante una situazione di guerra?

Sara. Domanda difficile. Quello che posso dire è che ho visto tantissimi sforzi da parte della Confederazione Autonoma del Nord Est della Siria per cercare di implementare un nuovo sistema. Parliamo di una democrazia diretta, all’interno della quale l’organizzazione della società avviene per “Komine”, ovvero assemblee di rioni, quartieri, strutturati in modo tale da avere due speakers, due rappresentanti un uomo e una donna, che affrontano i vari problemi della società.
Per cui ci troviamo davanti alla creazione e implementazione di un sistema che effettivamente, funziona. Poi certo ci sono delle contraddizioni, non è tutto semplice, anche perché avviene all’interno di pressioni continue e costanti dovute alle contraddizioni che dicevo prima sul versante sociale ed economico. C’è una grossa crisi economica, la sterlina siriana continua a perdere potere d’acquisto rispetto al dollaro e questo diventa un problema reale.
C`è poi una crisi relativa alle emergenze, come quella della mancanza d’acqua. Per non parlare poi del conflitto che non si è mai fermato.
A volte si dimentica di sottolinearlo ma si è sempre stati in uno stato di guerra e questo vuol dire che ci sono attacchi su più fronti. Gli attori all’interno del campo sono diversi. Non parliamo solo di attori regionali ma anche di attori internazionali. Tutto questo crea una serie di tensioni in quella che è la gestione e la ricerca della creazione di stabilita all’interno del territorio. Percorsi di pacificazione, per esempio, con la comunità araba stanno avvenendo, ma con grosse difficoltà. Ci sono molti elementi che vanno presi in considerazione.

Vilma. Tu parli della complessità del conflitto. E’ dato per assodato che in Siria c’è una guerra ma, assolutamente, non si parla di quello che sta realmente succedendo. Quali sono gli attori regionali? Chi bombarda chi? Chi si difende da chi? E soprattutto a questa domanda collegherei anche Daesh, l’Isis di cui non si parla proprio più. Cosa succede sul campo?

Sara. Se parliamo di intervento armato, dobbiamo pensare che all’interno della Siria, nella zona del nord est ci sono l’autonomia e l’Amministrazione Autonoma del Nord est della Siria, con curdi insieme ad alcune tribù arabe che controllano l’area.
Nel nord ovest, nella zona di Idlib, ci sono le brigate contro Assad all’interno delle quali troviamo Al Nusra, e quindi Al Quaeda, che hanno recentemente cambiato nome e una serie di proxy legati alla Turchia.
Nel nord, oltre ad Afrin, c’è una ulteriore piccola fascia di territorio all’interno del quale è entrata la Turchia con l’ultima occupazione avvenuta nel 2019.
Per cui se parliamo solo del nord abbiamo tutti questi attori locali ma anche regionali che intervengono nel territorio.
All’interno di questo contesto dobbiamo pensare che il governo siriano è supportato da Russia e Iran, che all’interno del territorio hanno le rispettive brigate o milizie. Poi c’è la Coalizione internazionale e quindi gli USA insieme alle altre forze.
Questo in maniera molto sommaria è il quadro generale. All’interno di questo ciò che accade ora è che la Turchia, soprattutto da gennaio 2021, ha iniziato una escalation di interventi all’interno della fascia di territorio che aveva occupato al nord. Per cui gli attacchi negli ultimi giorni sono aumentati ad Ayn Issa, punto strategico che si ricollega con la M4, arteria stradale che unisce tutte le più importanti città del nord della Siria, fino ad arrivare in Iraq, poi proseguire per Aleppo e arrivare a Damasco. Si tratta di un punto molto importante che la Turchia vorrebbe cercare di conquistare. La strategia che sta utilizzando è quella di attaccare tutti i villaggi circostanti per poi avanzare nelle città. Nel frattempo la Turchia sta bombardando anche Serecaniye (Ras al-Ayn in arabo) che è l’altro confine. La sua intenzione è quella di andare oltre i 30 km, che sarebbero la no fly zone dichiarata con l’accordo di Soci, firmato dal gruppo di Astana ossia Turchia, Iran e Russia, sottoscritto affermando che si vuole cercare di trovare un percorso di stabilizzazione dell’area.

Vilma. E Daesh in tutto questo, l’Isis è sparito? Agisce ancora?

Sara. Assolutamente sì. Anzi c’è stata una escalation di attacchi. In realtà Daesh non è mai sparito. Ci sono state e ci sono cellule dormienti. La Coalizione internazionale e le Syrian Democratic Force hanno continuato nell’ultimo anno a fare arresti nel territorio. Purtroppo nell’ultimo periodo Daesh non solo ha iniziato a fare una serie di attacchi mirati, esecuzioni di soggetti specifici, persone della società civile, che collaborano per la ricostruzione e la pacificazione, ma ha anche attaccato capi di tribù arabe locali e anche le SDF e quindi i militari.
Nell’ultimo mese si è assistito ad una escalation di violenza e tutti questi attacchi fanno capire che c’e una riorganizzazione dello Stato Islamico non solo in Siria ma anche in Iraq. Molto preoccupante è stata una recente dichiarazione da parte di Macron, che invitava la Coalizione internazionale ad una nuova call per combattere lo Stato Islamico. Questo, in qualche modo, fa capire che il problema non è mai sparito, ma ci si aspetta una riorganizzazione.
Tutti questi attacchi avvengono sia nel territorio di Deir ez-Zor, che anche all’interno dei campi, come ad esempio il Campo al Holl, campo di rifugiati provenienti per la maggior parte dalle campagne di Al-Baghuz ma non solo. Un campo all’interno del quale ci sono attualmente 62.000 persone, una vera e propria città. Qui Daesh è stato capace di ristrutturarsi, dall’ inizio di gennaio 2021 fino ad oggi ci sono state 32 esecuzioni solo al suo interno. Tutti attacchi rivendicati da Daesh.

Vilma.
 Siamo passati dall’autobomba, ovvero creo terrore indiscriminato, all’omicidio mirato nei confronti di chi sta operando per la coesione sociale, contro l’integralismo. Questo dimostra la dimensione tutta politica delle scelte di Daesh.
Entriamo ora nel pieno del libro. Perché hai voluto scriverlo?

Sara. Per diversi motivi. Erano diversi anni che mi occupavo in modo trasversale di queste tematiche e mi sono appassionata al Medio oriente. Tramite il lavoro sulla mia tesi – mi sono laureata in Diritto islamico con tesi proprio sullo Stato Islamico e il Califfato – ho avuto la possibilità di entrare nel merito di molte questioni. Quello che ho poi verificato andando in loco è stato che in occidente si utilizzava una narrazione che a volte non raccontava nello specifico quello che accadeva e usava degli stereotipi.
Per me era importante, invece, contribuire a cercare di entrare nella specificità degli argomenti. L’idea è stata quella di creare dei nuovi strumenti per approfondire una tematica così complessa. Cercare di dare al lettore spunti d’analisi per comprendere questo percorso che può sembrare a sè stante, ma che in realtà, come ho riscontrato sul campo tramite il lavoro di ricerca, è connesso a direttrici che ci portano a parlare dell’Islam politico. Per me era fondamentale spiegare, al di là di quelle che sono le semplificazioni e generalizzazioni, che questa è una tematica molto più profonda.

Vilma. Nel primo capitolo ti occupi della genealogia dell’Isis, della nascita dello Stato Islamico e vai alle radici politiche, che non sono certo casuali. Poi parli della struttura parastatale dell’Isis, come istituisca il suo stato in quanto progetto politico. Nel terzo capitolo affronti le donne e Daesh. Su questo vogliamo soffermarci. Le donne vengono affrontate in maniera ancora più stereotipata degli altri temi. O sono vittime e sono state rapite o sono terroriste e sono andate a combattere.
Tu hai avuto la possibilità con la metodologia usata in tutto il libro, cioè l’intervista diretta sul campo, di entrare in contatto con molte di queste donne. Come hai scelto di raccontarle e che visione complessiva hai tratto ? Sono vittime o sono complici ?

Sara. E’ stato sicuramente difficile, sia fare domande che interviste. Quello che più mi ha colpito è che erano ragazze come me; quello è stato un impatto forte.
Vittime o carnefici? Secondo me non si può generalizzare. Non esiste un approccio binario su questa tematica, ci sono tante sfumature, ogni donna ha una sua storia. A volte c’erano delle similitudini sul percorso però ognuna di loro aveva ragioni diverse.
Quello che ho cercato di fare nel libro è di andare oltre gli stereotipi e una narrazione che spesso si sofferma in modo superficiale, per capire invece quali fossero le loro ragioni, motivazioni e soprattutto quello che stavano facendo. Mi sono ritrovata ad avere a che fare con donne che, nonostante fossero internate in campi, continuavano a supportare Daesh con campagne di crowd-founding, ad esempio. Alcune operavano tramite cellulari nascosti per raccogliere soldi in modo da pagare i contrabbandieri e poter scappare dal campo per raggiungere le milizie nella zona di Idlib.
Parliamo di una situazione complicata. Donne che si sono pentite della scelta che hanno fatto e che vorrebbero tornare in Europa, cosi come altre che invece sono molto convinte e vogliono rimanere li. Questa è stata la mia sensazione. Parlando con amiche di Raqqa mi raccontavano di come le donne straniere fossero le più brutali e sadiche nei confronti delle donne locali. Mi si è aperto un mondo del quale conoscevo poco e che mi ha pietrificato. Una cosa molto contraddittoria sta nel fatto che Daesh ha creato un sistema basato sulla violenza, sul terrore e sul patriarcato all’interno del quale la donna ha una posizione marginale e subordinata all’uomo. La donna veniva raccontata come la moglie che si occupava del marito, la mamma dei nuovi cuccioli del Califfato ma spesso e volentieri le donne hanno avuto anche un ruolo di potere nel momento in cui si sono create queste situazioni all’interno di Daesh. Queste contraddizioni vedono la donna in una posizione subalterna, che quando sale al potere diventava sadica, brutale e violenta verso le altre donne.

Vilma. Da un punto di vista personale parlavi della difficoltà nell’intervistare queste donne, prova a raccontarcela.

Sara. Non è stato semplice accedere ed avere delle interviste con queste donne. Entrare nell’ Annex di al Holl è una cosa che pochi hanno fatto perché è un luogo molto pericoloso, ci sono state 31 esecuzioni da gennaio ad ora. Ero ovviamente con la security per la mia sicurezza oltre al traduttore. Ci sono stati dei momenti particolari, diversi, ne ricordo alcuni. Abituata a lavorare dentro ai campi profughi sia in Italia e in Siria, nel momento in cui arrivi e vedi tutti questi ragazzini figli delle donne internazionali, con i capelli chiari, biondi o rossicci, capisci che stiamo parlando di qualcosa di diverso. Nel momento in cui ti rapporti con queste ragazze ci sono state anche situazioni di difficoltà in termini di sicurezza. C’è stato un momento in cui mentre facevo un intervista ad una di queste ragazze, per sbaglio ho utilizzato il termine Daesh che per loro è una cosa assolutamente negativa, quindi c’è stata immediatamente una reazione da parte della donna con cui dialogavo, per cui mi sono subito riassestata. È stato molto complicato diciamo, anche rispetto a diversi pregiudizi che io avevo inizialmente.

Vilma. Abbiamo citato tante volte la Turchia. Con noi c’è l’avvocata Aurora d’Agostino dei Giuristi Democratici, che hanno voluto con noi promuovere questa presentazione. Voi come Giuristi siete impegnati a monitorare costantemente le violazioni dei diritti umani in Turchia. Come vedi l’inquietante presenza della Turchia nella zona, come emerge dal racconto di Sara?

Aurora d’Agostino In Siria la Turchia c’è sempre e pesantemente. C’entra sia sotto il profilo che riguarda la collusione, la connivenza con Daesh, con le truppe ma anche la vicinanza al loro sistema ideologico.
Penso alla questione che riguarda le donne: non c’e un 8 marzo in cui le donne non vengano caricate in tutte le città della Turchia quando manifestano. A Istanbul è stata firmata la Convenzione contro la violenza sulle donne e in Turchia stanno passando le cose più allucinanti, matrimoni riparatori e molte altre violenze collegate all’Islam. La logica patriarcale è propria dell’Islam politico ed in questo Erdogan non è tanto diverso.
Il regime turco si esprime in termini duri non solo nei confronti delle donne ma anche verso altre forme di opposizione, reprimendo a dei livelli inauditi. Vanno in galera gli avvocati difensori degli oppositori, le donne, i giornalisti e molti altri come se fosse una catena di Sant’Antonio infinita. Sono centinaia gli avvocati e gli oppositori in carcere. La situazione è incredibile, ma in Italia non se ne parla, anche se noi come Giuristi Democratici da anni facciamo campagne di solidarietà con i colleghi turchi a più livelli, nazionali e internazionali. Adesso è in corso una campagna di solidarietà nei confronti dell’avvocato Aytaç Ünsal, condannato a dieci anni e sei mesi, dopo aver fatto lo sciopero della fame insieme alla sua collega che è morta Ebru Timtik. Dopo 213 giorni di digiuno è stato scarcerato due mesi ma reincarcerato a novembre. Non riesce a ottenere le cure minime di cui ha bisogno dopo lo sciopero.
Un ostacolo insormontabile riguarda la questione dell’accordo politico con la Turchia che l’Unione Europea ha stipulato. Il governo, Di Maio, come Ministro degli Esteri in primis, non intende in nessuna misura metterlo in discussione. Il 20 marzo è il triste anniversario della firma dell’accordo.
E’ importante parlare del libro di Sara non soltanto perché è bello e interessante ma anche perché è uno dei modi per fare capire cosa sta succedendo in quell’area di mondo e per continuare a parlare e insistere su questi temi.

La presentazione continua con vari spunti di discussione.
Mauro di Giuristi democratici sottolinea che si parla sempre di diritti umani ma il problema è l’effettività dell’applicazione di quanto si afferma. Si possono avere molte Convenzioni ma se poi non si applicano, rimangono vanificate. A questo punto la Turchia dovrebbe uscire dal Consiglio d’Europa perché non c’è la possibilità di un dialogo con Erdogan.
Sara ricorda come proprio questa questione dell’Accordo chiama in causa la questione migratoria. In particolare racconta alcune operazioni che la Turchia sta facendo in materia di politica estera, in riferimento ai migranti in transito verso l’EU ma non solo. Erdogan nella parte che ha occupato tra Serekaniye e Afrin sta implementando un cambio demografico della zona. Sta utilizzando i migranti, molti dei quali siriani, costringendoli ad andare in questi territori per cambiare la popolazione che vi vive. Senza dimenticare, poi, come vengono utilizzati i migranti sul fronte greco. Una politica disumana e brutale. Un’altra aspetto grave della politica turca è quello relativo alle donne che vivono nella zona occupata di Afrin. Recentemente è stato pubblicato un report delle Nazioni Unite che spiega come agiscono le milizie, proxy della Turchia, cioè che combattono con la Turchia che le protegge. Nel report si spiega come ci sono uccisioni extragiudiziali sistematiche e come le donne vengano rapite, come è stato documentato in un video particolarmente violento in cui si vedono 8 donne di diverse etnie, rapite e nascoste in una cantina e poi abusate. Anche i ragazzini vengono arruolati per combattere in guerra. Si tratta a tutti gli effetti di violazioni del diritto internazionale. Agire contro le donne si riflette sull’intero tessuto sociale, in quanto lo stupro è utilizzato come arma di guerra. Queste tematiche sono molto problematiche e difficili.
Per tornare al tema dell’Unione Europea, sottolinea come quest’ultima sia silente poiché spesso gli affari economici risultano essere l’unica priorità. Tutto questo va denunciato. Al di là delle parole ci dovrebbero essere dei fatti concreti ma molto spesso l’Italia si dimostra reticente, così come l’Unione Europea. Conclude dicendo che ci vorrebbe più coraggio da parte dei politici che si trovano in certi ruoli e che dovrebbero iniziare ad applicare l’etica nella politica.
Vilma porta l’attenzione sul fatto che in questo quadro va aggiunta anche la situazione in Iraq, visto che la recrudescenza e le basi dell’Isis sì trovano anche in questa zona. In Iraq ci saranno formalmente le elezioni ad ottobre, il che dimostrerebbe che nel paese c’è la democrazia, ma non si può dimenticare il fatto che nell’ultimo anno sono stati uccisi centinaia di giovani durante le proteste contro la corruzione politica e per il cambio di sistema, come denunciano le organizzazioni della società civile.L’intero Iraq è una scacchiera di tutte le milizie. A questo va aggiunto che nel Kurdistan iracheno stanno crescendo le proteste sociali dovute alla grave crisi economica, al fatto che gli stipendi degli impiegati pubblici non sono pagati da febbraio, e che a tutto questo si aggiunge la pandemia.

Nella parte finale della discussione ci sono vari interventi. Il primo richiama la questione della pulizia etnica fatta da Milosevic e le guerre nei Balcani, domandando se anche per Erdogan si possa parlare di pulizia etnica.
Aurora risponde, ricordando la lunga storia del genocidio dei curdi ma sottolineando che non si può banalizzare il ruolo dei vari attori in campo. La situazione è più complicata e complessa di quanto sembri. Si tratta di approfondire con continuità la discussione su quello che avviene. Certo il genocidio dei curdi è un dato innegabile, ma Erdogan non è il solo burattinaio, poiché quest’area è difficile da descrivere solo in questi termini.
Sara si sofferma su quanto sia lunga la storia di persecuzione dei curdi. Sin dalla nascita della Repubblica turca ci sono state sempre operazioni politiche nei confronti delle minoranze (armeni e curdi) e anche intolleranza nei confronti delle diverse religioni. E’ una materia complicata che necessiterebbe di nuovi strumenti giuridici per poter essere affrontata. Tornando alla Turchia è chiaro che le singole mosse di Erdogan vanno viste in maniera unitaria, come un’azione sistematica che punta alla conquista e all’occupazione. Mire imperialiste di Erdogan dal punto di vista religioso, sociale, politico e culturale che sottendono alla volontà di creare un nuovo impero ottomano o meglio un suo revival. In questo scenario si inseriscono gli attacchi sistematici alle minoranze etniche e religiose, come curdi ed Ezidi. Senza dimenticare poi che al tempo stesso Erdogan ha varato accordi con Barzani, leader curdo iracheno. Per tutta questa complessità diventa limitato utilizzare gli strumenti usati fino ad ora, per questo ci vorrebbe un aggiornamento anche sul piano giuridico. Emblematica la difficoltà ad affrontare il tema delle violazioni commesse dall’Isis, come Stato islamico. Giuridicamente chi se ne deve occupare? O al rovescio pensiamo a sentenze come quella inglese sul caso di una sposa di Daesh, che aveva richiesto di tornare in Inghilterra e che la Corte Suprema di Londra nella sentenza finale afferma che è apolide, revocandole la cittadinanza inglese. I nodi giuridici vengono al pettine e dovrebbero essere trattati e aggiornati attraverso la creazione di figure capaci di entrare nel merito delle nuove dinamiche ed eventi.

Con un ultima domanda nella presentazione si affronta il tema di Maria Marcucci, attivista italiana romana che ha combattuto con lo YPJ e ha ricevuto la sorveglianza speciale dal Tribunale di Torino una volta tornata in Italia. Un esempio, dice Sara, di come si strumentalizza il termine terrorismo per poter criminalizzare dei percorsi politici, riutilizzando la formula della sorveglianza speciale, misura che risale al Codice penale fascista e quindi intollerabile nel 2021 all’interno di uno stato democratico. Parlare di pericolosità sociale nei confronti di questo caso è assurdo ed è un elemento che ci fa capire che ci sono delle contraddizioni nel nostro sistema che si ritiene democratico. E’ un motivo che ci dovrebbe portare a vedere con più senso critico quello che accade nella nostra quotidianità.

La presentazione si conclude con alcune brevi riflessioni degli organizzatori.
Ilaria di Lìbrati, Libreria delle donne, ringrazia l’autrice per il libro, visto che non è facile trovare uno testo in cui con chiarezza si parli di quel che accade realmente soprattutto in riferimento alle donne. Sono poche le case editrici che si spendono per volumi di questo tipo, Meltemi è una di questa. La libreria è a disposizione per l’acquisto del volume con spedizione a casa per chi è interessato. C’è una grande generosità a fare questo lavoro.

Vittorio di Cooperazione Rebelde interviene dicendo che a partire dalla complessità del quadro delineato, emergono le responsabilità della Turchia, che copre la riorganizzazione dell’Isis. Dagli ultimi report è evidente che la disfatta avvenuta nel 2014 ha lasciato sul campo una marea di uomini e donne armate (35 mila persone), lasciati allo sbando, che continuano ad agire in maniera militare, usando le strumentalizzazioni e modalità che erano proprie di quanto appartenevano all’Isis.
Per quanto riguarda la solidarietà internazionale e italiana, la Staffetta sanitaria si sta adoperando affinché il processo di confederalismo democratico abbia gambe su cui camminare, attraverso molte iniziative di sostegno. Proprio la Stafetta ha pubblicato un report in cui descrive il paragone fra gli obiettivi dell’Isis e gli obiettivi attuali dell’Esercito nazionale siriano. Alcuni organismi internazionali tra cui l’ Onu dichiara che i crimini commessi da queste milizie sotto il controllo della Turchia potrebbero essere attribuiti in termini di responsabilità ai generali turchi. Per tutto questo è importante rimanere costantemente informati .

Ya Basta Bologna ritiene che sia importante continuare a discutere dell’Islam politico, troppe volte messo in secondo piano. Visitare quei luoghi aiuta a capire. Così come il continuare a parlare di quel che succede, visto che quando i curdi combattevano contro l’Isis se ne parlava mentre ora tutti tacciono. La speranza non si basa sull’appoggio degli Stati, che usano molte volte strumentalmente i curdi, ma piuttosto sulla società civile e i movimenti di base. Per questo è importante l’attenzione su queste vicende e cercare di sostenere in tutti i modi, attraverso la Staffetta sanitaria o la Mezza Luna Rossa Curda. Curda, il percorso del confederalismo democratico.

La trascrizione della presentazione è stata curata da Alice Foti e Giulia Marchesi, Università di Padova


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