Diritti umani ai confini dell’umanità

Affollato l’incontro promosso da molte associazioni per discutere attorno alla Relazione Annuale di Amnesty International il 19 maggio presso Hub in Piazza Gasparotto a Padova.
La lunga serie di violazioni dei diritti umani costella il nostro presente, come se invece di alzare l’asticella e migliorare nel pianeta si tornasse indietro. Ma la storia non cammina a ritroso e dunque è importante comprendere perché oggi i diritti umani sembrano un lusso per pochi.
Per comprendere tutto questo la discussione condotta da Ivan Grozny insieme a Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International, ha permesso di spaziare da luoghi lontani fino ad arrivare in Veneto con il caso di Mauro Guerra ucciso da un carabiniere a Carmignano di Sant’Urbano in Veneto nel luglio 2015.

Viviamo in un momento in cui il moderno terrore fatto di guerre più o meno dichiarate, di poteri vecchi e nuovi, legali ed illegali che non esitano a controllare interi territori con una violenza estrema, plasma l’intero globo e le nostre vite.
Di fronte al terrore non si esita a delegare a chiunque, non importa che mezzi usa, la propria sicurezza e a chiudere gli occhi di fronte alle nuove barbarie.

E così che a livello sociale si baratta un’effimera sensazione di protezione in cambio del silenzio che si trasforma in impunità.

D’altronde le organizzazioni che formalmente dovrebbero garantire i diritti umani non esitano a fare scelte scellerate. Basta pensare all’assurdità che un paese come l’Arabia Saudita, dove si finisce in carcere e frustati per scrivere parole di libertà, come succede a Raif Badawi, presieda il comitato consultivo del Consiglio Onu dei diritti umani.
Oppure che l’Europa in cambio del controllo dei flussi migratori, chiuda gli occhi sulla repressione di Erdogan in Turchia.
E di esempi se ne potrebbero fare all’infinito. C’è un ipocrisia generalizzata, un vuoto parlare di diritti umani che lascia sempre più vulnerabili gli attivisti, i giornalisti, gli uomini e le donne che nella vita reale denunciano e si oppongono.

Nel tempo presente del capitalismo finanziario del mercato unico globale i diritti umani sono un optional. Violarli non comporta nessuna estromissione dai flussi finanziari.

E’ dunque da un’altra angolazione che la difesa dei diritti umani va affrontata.
Libertà di vivere, di esprimersi, di avere una vita degna, di essere quel che si vuole sono parte integrate della costruzione di un’alternativa sociale complessiva.

Per cambiare le cose c’è bisogno di tutti noi ed in particolare c’è bisogno che tutti noi sosteniamo in ogni modo chi alle periferie dell’umanità lotta per i diritti.

La libertà di questi uomini e donne è la nostra libertà.

Raccolta interventi Video

Report Serata

Raccontiamo storie dal mondo di diritti umani negati, ma anche storie locali, perché i diritti umani sono universali, e in quanto tali devono essere difesi e rispettati a qualsiasi latitudine.”

A condurre la serata è Ivan Grozny insieme a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Si entra subito nel vivo con la fotografia delle violazioni dei diritti umani, registrate nell’ultimo Rapporto internazionale di Amnesty international.

In sintesi estrema, nel 2016 si è continuato a non evitare morti e a non prendersi cura dei vivi, né del prodotto umano dei conflitti attuali nel mondo, dalla Siria, allo Yemen, fino alle tante guerre dell’Africa Subsahariana che non conosciamo.
Tutto questo accade perché i leader più importanti sono interessati ad altro, a portare avanti campagne elettorali basate sulla retorica, sulla divisione, sulla xenofobia.
Il 2016 è l’anno in cui nelle Filippine è salito al potere Rodrigo Duterte, vincendo la campagna elettorale dicendo che avrebbe ripulito le strade dalla droga, quando in realtà le ha riempite di migliaia di cadaveri.
Poi ci sono altri come Horban in Ungheria e dopo di lui Trump ovvero il massimo e più visibile esempio di quella retorica velenosa, xenofoba, misogina, che divide il mondo in buoni e cattivi, amici e nemici, che afferma “gli americani prima degli altri’ e costruisce capri espiatori usando il “noi contro loro” e il “prima noi poi loro”.
E’ un mondo brutto, nel quale si soffre, e si soffre dimenticati. La sofferenza è tanta e l’ignoranza della sofferenza la rende ancora più insopportabile.


DIFENDERE I DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI

Proprio da queste riflessioni si parte per per approfondire il tema della criminalizzazione dell’operato dei difensori dei diritti umani nel mondo, che viene raccontata in un messaggio video di Francesco Martone di Un ponte Per…

Sono circa 280 gli attivisti e difensori dei diritti umani che sono stati uccisi lo scorso anno e oltre un migliaio sottoposti a qualsiasi forma di vessazione e persecuzione, dagli arresti, alla tortura, alle intimidazioni.

Sono i cosiddetti “difensori dei diritti umani”, attivisti che si muovono in vari campi, da quello della difesa della libertà di espressione e di stampa a chi si mobilita per le condizioni dell’ambiente, dei territori minacciati dalle imprese multinazionali, a chi si batte per i diritti della diversità sessuale, per i diritti delle donne, i diritti umani e civili, i diritti dei migranti e dei rifugiati, i diritti dei popoli indigeni e dei Rom.
Sono uomini e donne che rappresentano sia a titolo personale che insieme a movimenti e le realtà organizzate con le quali operano, una delle principali sfide oggi per chi vuole praticare forme di solidarietà internazionale.

CRIMINALIZZARE L’ATTIVISMO

Ivan Grozny riporta la riflessione sul fatto che negli ultimi tempi si è parlato molto male di coloro che si occupano di diritti umani, addirittura si è criminalizzata una parte di coloro che si occupano di salvare le vite in mare e domanda a Riccardo Noury se ci voleva questa situazione complicata per mettere insieme tutte le realtà che operano per i diritti umani oppure se esisteva un percorso precedente di relazione.

Il percorso è precedente, basta pensare che già nel 2016, 280 difensori dei diritti umani sono stati uccisi, un numero doppio rispetto al 2015, che a sua volta è stato il doppio rispetto al 2014.
In altre parole c’è una tendenza che ormai è evidente da anni: definire i difensori dei diritti umani per quello che non sono, come spie, agenti stranieri, terroristi, fiancheggiatori di terroristi, persone che vanno contro i valori nazionali, la morale, che danneggiano la sicurezza internazionale. Così si è arrivati ad avere 300 persone uccise, per non parlare di coloro che vanno in galera, che subiscono minacce di morte ogni giorno.

Questa tendenza la vediamo purtroppo anche in Italia, certo non con la tragicità di quei numeri.
Il disegno è evidente quando si prendono di mira quelli che si mettono di traverso. Quando si attacca chi ci ricorda che c’è un diritto che è più importante di tutti gli altri, e cioè il diritto alla vita. Perché quando si è di fronte alle notizie di tutte le morti che avvengono nel Mediterraneo è umano che venga la voglia di fare qualcosa per aiutare e cercare di dare una mano.

Questa criminalizzazione della solidarietà, individuale e collettiva, con i processi a Ventimiglia, con le accuse, con questa campagna denigratoria che va avanti ormai da un mese, che mette insieme ONG che fanno soccorsi in mare con ONG che si occupano di accoglienza, fa diventare la sigla ONG sinonimo di qualcosa di brutto, di marcio, di sporco, collusa con il crimine organizzato.
Credo stiamo assistendo ad un pericoloso mutamento che è quasi antropologico in questo paese, cioè l’incapacità di vedere il bene, il bello, che è proprio ciò che anima questi attivisti, questi difensori dei diritti umani.
Questo è una paese dove c’è l’attitudine a vedere il marcio anche dove non c’è, forse perché ce n’è molto. Ma noi marci non siamo, mi dispiace.

UNA STORIA SCONOSCIUTA: GLI YAZIDI

Tante sono le vicende di violazioni che pochi conoscono. Un esempio è quanto accade agli Yazidi. Ivan Grozny ne parla a partire dal lavoro che ha svolto con Amy L Beam, che da quattro anni ha dedicato la sua vita a raccontare la storia dei genocidi degli Yazidi. Questi ultimi vivono tra l’Iraq e la Siria e nell’agosto del 2014 sono stati aggrediti dall’Isis.
Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case e a fuggire, molte sono rimaste uccise, e le donne soprattutto hanno subito le peggiori atrocità.
Amy ne ha trovate moltissime salve in Germania, sopravvissute a mesi e mesi di torture, violenze e stupri. Ha passato mesi con loro e ha raccolto le loro storie, creando un piccolo documentario ’The Last Yazidi Genocide’.

La storia degli Yazidi, dice Riccardo Noury appartiene a “ …quella parte di mondo dimenticato. E’ un mondo di periferia che va illuminato, che illuminano giornalisti e giornaliste coraggiosi.
In quanti sanno delle persecuzioni della minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania? Quanti sanno che una persona per cui noi ci siamo appesi i poster a casa come Aung San Suu Kyi tace su questo sterminio che sta andando avanti nel suo paese?
O gli albini in Malawi, persone a cui viene data la caccia. Bambini e bambine mutilati perché si ritiene che i loro corpi dissezionati portino fortuna?
O i bambini intersessuati in Germania e Danimarca, su cui le cui famiglie e i servizi sanitari fanno la “normalizzazione del sesso”, con interventi chimici spaventosi?

Uno si domanda “perché devi occuparti di queste cose quando ci sono altri problemi, come la Siria?”. Io non ci sto alla logica del “c’è ben altro di cui occuparsi”.

Ritengo che invece è necessario occuparsi dei milioni di rifugiati siriani, ma anche di quei bambini, anche se sono dieci, che non sanno nemmeno in che bagno andare quando sono a scuola.

LA TURCHIA DI ERDOGAN: I DIRITTI VIOLATI

Per tornare a guardare in faccia le violazioni dei diritti umani e il silenzio che le copre, Ivan Grozny dà la parola a Dora Rizzardi dei Giuristi Democratici, che illustra la pesante situazione in Turchia.

La Turchia è uno di quei paesi dove si è passati da una, per lo meno apparente, situazione di democrazia, in riferimento alle grandi linee sui diritti umani, al processo di pacificazione in corso con i curdi con la presa in considerazione di alcune loro istanze, ad un improvviso e verticale crollo di ogni speranza di democrazia e devastazione delle situazioni democratiche.

Io sono un avvocato e faccio parte dell’associazione Giuristi Democratici e vi darò qualche informazione per quanto riguarda i diritti umani dal punto di vista giuridico e dell’azione degli avvocati in Turchia.
Sul piano giuridico, dal 20 luglio 2016 la Turchia è in regime di stato di emergenza, proclamato a seguito del tentato golpe. Sono ormai dieci mesi che lo stato di emergenza è in vigore e lo sarà almeno fino al 20 luglio del 2017 dato che è stato recentemente prorogato per ulteriori tre mesi.
Tutto questo ha una devastante conseguenza sui diritti umani, perché la Turchia ha sospeso la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, non secondo il modo previsto dalla stessa ovvero per singoli articoli o per singole previsioni all’interno dell’articolo, ma l’ha sospesa interamente.

L’altro elemento giuridico/politico da sottolineare è il referendum costituzionale che c’è stato in aprile, con il quale il popolo turco ha approvato la riforma costituzionale, una riforma in senso gravemente autoritario.
Si dice che sia stata approvata per dare maggiore stabilità al paese, anche se bisogna tenere presente che Erdogan, prima come Primo Ministro e dal 2014 come Presidente della Repubblica è al potere da tredici anni, quindi di quale stabilità ha bisogno la Turchia ce lo chiediamo tutti.
La riforma approvata unisce nella stessa persona la figura del Presidente del Consiglio e quella del Presidente della Repubblica, dando a Erdogan il potere di revocare i ministri a piacimento e di indire le elezioni nonostante la contrarietà del Parlamento, con la possibilità per lui stesso di ricandidarsi.
La riforma pone sotto il suo diretto controllo l’organo del Consiglio Superiore della Magistratura, cioè la Corte Costituzionale, all’interno della quale il Presidente nomina 12 giudici su 15.

In questa cornice per collegarmi al tema della serata, i difensori dei diritti umani, vorrei parlarvi dell’attività degli avvocati in Turchia, come difensori dei diritti umani del popolo curdo o difensori della libertà di stampa.
L’attività di difesa dei difensori viene criminalizzata in quanto tale. Sempre più spesso assistiamo allo schema per cui difendere un imputato è una correità nel reato di cui è accusato.
Abbiamo assistito recentemente ad alcune udienze in cui erano imputati colleghi curdi. Noi assieme ad altre associazioni organizziamo dei viaggi per andare nelle aule, assistendo alle udienze che ci vengono tradotte grazie alla buona volontà di colleghi che ci traducono in inglese. Questo per testimoniare la nostra vicinanza e anche per far presente ai giudici e alla corte che l’Occidente non ha voltato le spalle, che guardiamo, che sappiamo quello che sta accadendo e che c’è qualcuno che controlla che tutto questo abbia una qualche attinenza con i diritti basilari.
Sempre più spesso l’avvocato turco che difende qualcuno imputato di un reato, ad esempio legato al terrorismo o di attentato all’integrità dello stato, dopo un minimo di attività difensiva, si ritrova anche lui imputato. Questo è successo ad un’associazione di avvocati curdi, associazione OHG. L’accusa per loro è partecipazione ad associazione terroristica e si fonda sul fatto che queste persone avevano partecipato ad una festa tradizionale molto sentita in Kurdistan, il Newortz che i turchi non festeggiano: aver partecipato a questa festa automaticamente ti rende colpevole.
Si imputa il fatto stesso di praticare la loro professione di avvocati. Persino aver avuto un colloquio con gli stessi assistiti, una parte basilare, direi ovvia del mandato difensivo, li rende colpevoli.

Penso che questo anche a noi in Italia lancia un messaggio: l’importanza di difendere le persone che sono imputate di un reato che possa avere qualcosa a che fare con l’esercizio delle libertà democratiche ti può mettere in difficoltà e questo significa che è un ruolo fondamentale, inviso al potere.
La situazione in Turchia è talmente precipitata che non è più possibile l’esercizio delle fondamentali libertà democratiche, quale la difesa nel processo penale.

IL GOVERNO DELLA PAURA CON IL TERRORE

Nella discussione della serata Ivan introduce il tema del governo della paura in un regime di terrore come quello attuale, affermando che si usa sempre di più la formula del terrorizzare le persone: lo fa l’Isis, ma lo fa anche Erdogan minacciando ritorsioni e arresti. La pratica del governare con la paura è diventata sempre più comune.

E’ un disegno abbastanza evidente e semplice. Si creano le condizioni per una domanda di sicurezza e quando vi sono queste condizioni basta proporre la sicurezza e ottieni consenso, è elementare.
Il tema dei governi che usano poteri illegali, arbitrali, è attuale, come la Turchia nello stato di emergenza. Non che nel 2015 il paese fosse tranquillo: ben prima dello stato di emergenza il sud-est del paese era al centro di un’offensiva spaventosamente violenta col centro storico di Dyabakir, patrimonio dell’umanità Unesco praticamente raso al suolo.
Ci sono governi che applicano, in un contesto di apparente mantenimento dello stato di diritto, misure che sono in realtà totalmente contrarie allo stato di diritto: qui siamo nell’ossimoro dell’emergenza permanente.
In Turchia c’è lo stato di emergenza, ma ricordiamoci anche la Francia, ricordiamoci le leggi speciali di sorveglianza che vengono adottate (a nostra insaputa) per controllare, sfidando un principio elementare: più persone controlli, meno riesci ad avere quello che ti serve.

Oggi noi siamo costretti ad occuparci di una nuova frontiera, quella della cyber sicurezza e il suo rapporto coi diritti umani.
Il traffico di armi è turbe, spaventoso, per questo anche stasera Amnesty International Padova sta raccogliendo firme per provare a impedire che l’Italia continui a mandare bombe all’Arabia Saudita, ma accanto alle armi possono essere usati sistemi di controllo e sorveglianza riducendo completamente al silenzio l’intero paese senza sparare un colpo. Il sistema della cyber sicurezza significa che tu hai difensori dei diritti umani che vengono hackerati, significa che hai il telefono sotto controllo, che quando stai chattando ti viene inserito un software che riprende con la fotocamera tutto quello che stai facendo…
Questa è la nuova frontiera e il denominatore è: terrore e sicurezza. È abbastanza strano pensare che con vecchie politiche e vecchi errori si ottengano risultati diversi. Hanno già provato a spiegarlo nel 2001 sia Bush in maniera abbastanza rozza che Blair dicendo che “i tempi stanno cambiando”, ma si voleva dire soltanto che i diritti umani sono il nemico numero uno della sicurezza. Il re si è rivelato nudo, in questo caso nudissimo, perché quando diminuisci lo stato di diritto e i diritti umani, ti metti sullo stesso livello di chi vuoi combattere. Quando incominci a valutare meno i diritti umani ti viene anche in mente di attuare misure di sicurezza per cui vai a pagare uno stato come la Turchia, che non è sicuro per i suoi cittadini, figuriamoci per i migranti siriani e afghani, oppure vai a dare 200 milioni di euro al governo libico per controllare la frontiera marittima. Il disegno di quest’opera securitaria è quello di spostare le frontiere il più possibile a est e a sud per stare tranquilli.

A parlare del terrore continua Vilma Mazza dell’Associazione Ya Basta – Caminantes

Per contribuire alla discussione parto da degli esempi.
In Messico, dove non c’è guerra, ci sono stati negli ultimi sei anni 200 mila morti, vengono calcolati circa 20 mila desaparecidos.
In tutta l’America Latina ci sono morti che crescono a dismisura.
L’Honduras, pochi lo sanno, è il paese del mondo per tasso di morti civili più alto della Siria e dell’Iraq.
Sono tutti paesi dove non c’è la guerra, formalmente.

Quando oggi riflettiamo sui diritti umani dobbiamo farlo a partire dal concetto del terrore e dobbiamo riflettere sul fatto che non stiamo più parlando del terrorismo di stato. Noi veniamo da un’epoca in Italia in cui dei poteri costituiti usavano delle forme di terrorismo per manipolare e controllare.
In questo momento siamo in una dimensione diversa, c’è un terrore persuasivo e generale che alimenta il mondo.
Un terrore agito sia da vecchi poteri, i classici poteri da stato/nazione che usano armi che non dovrebbero usare e fanno violenze che non dovrebbero fare, sia da nuovi poteri legali e illegali che ovviamente usano a grandi mani la violenza.
Parlando dell’America Latina mi riferisco al narcotraffico, ma possiamo riferirci anche ai gruppi jihadisti nella zona del Medio Oriente.
Tanti attori, statali e non, che usano il terrore e la violenza per i propri interessi sia di controllo territoriale, di ricchezze, di flussi finanziari.
Abbiamo tanti attori che portano avanti questo tipo di ruolo violento. Ci sono i contractor usati perché ormai le guerre non si fanno più con gli eserciti, perché mandare i propri uomini a morire significa perdere consenso. Ci sono le bande locali, come in Libia in cui è difficile dire chi governa perché ci sono tanti gruppi armati locali. In Siria, la situazione non si risolve perché nessuno ha capito cosa ci dovrebbe essere nel post Assad e ci sono tanti interessi geopolitici di paesi diversi che appoggiano fazioni diverse che alimentano ancora di più le fazioni armate.

In questo contesto tutti noi percepiamo la paura, anche se non vogliamo.
Da quando gli attentati hanno iniziato a manifestarsi con camion o auto che salgono sui marciapiedi e uccidono decine di persone, neanche noi che non viviamo in guerra ci sentiamo sicuri.
Questo provoca che chiunque di noi, in tutto il mondo, non ha più problemi a delegare a non importa chi la propria sicurezza. Questo “non importa chi” può essere il politico di turno che urla più di altri e su questo prende consenso, o può essere il gruppo armato locale laddove girano più armi.

Il delegare ad altri la propria sicurezza si accompagna al fatto di non voler più mettere naso in quello che quella persona, struttura o potere fa per difenderti. Questo secondo me è un discorso molto grave perché porta tutti ad avere un calo di sensibilità ed attenzione nei confronti della questione dei diritti umani.
Se io per proteggermi delego a qualcuno la mia sicurezza, e non importa quel che farà, non vado neanche più a criticare il modo in cui mi protegge perché mi sento di non potercela fare a difendermi da solo.
Questo è quello che sta succedendo alla questione dei diritti umani in tutto il mondo: c’è meno attenzione, c’è meno reattività perché viviamo in un’epoca di terrore. Non un terrore che ha un unico colpevole, ma molteplici colpevoli.

Cosa possiamo fare? Sicuramente è fondamentale appoggiare le persone che in tutto il mondo, noi compresi, lottano per questi valori minimi, i diritti umani.
È una vergogna che l’Arabia Saudita non sia in testa ai paesi che vengono sanzionati dall’Unione Europea. L’Arabia saudita è un paese dove uno come Raif Badawiè in carcere, condannato a mille frustate per aver scritto due frasi sulla libertà. Ciononostante è il paese il cui esponente è presidente della Commissione dei Diritti Umani dell’ONU. Certo, l’Arabia Saudita è un alleato a cui vengono vendute le armi ed è anche uno dei paesi che più finanzia il terrorismo islamico, ma tutti tacciono perché è un paese che ha i soldi e dentro questo mondo del capitalismo finanziario i suoi soldi valgono come quelli di un qualsiasi altro imprenditore.

Il capitalismo finanziario non guarda in faccia nessuno e il terrore che ti porta a delegare la sicurezza è il contesto nel quale viviamo.

Per ribellarsi bisogna non aver paura di dire le cose che avvengono anche a casa nostra, ma soprattutto dare grandissimo appoggio alle persone che in altri paesi più difficili del nostro provano ad alzare la voce. Solo se loro insieme a noi ce la faranno a cambiare lì forse potremmo cambiare tutti.

GIUSTIZIA PER MAURO GUERRA

L’attenzione della serata si è spostata dal mondo all’Italia in particolare sul caso ancora troppo poco conosciuto di Mauro Guerra, ucciso da un carabiniere il 29 luglio a Camignano di Sant’Urbano in Veneto.

A introdurre il tema un breve video di Ilaria Cucchi intervistata da Ivan Grozny sul ruolo importante ed essenziale che i familiari delle vittime, si trovano a dover affrontare per fare giustizia. Una sorte di seconda violenza, dopo la morte di un proprio caro, che le famiglie si trovano ad affrontare per rompere il silenzio su quanto è accaduto. Per cercare da soli quelle risposte che nessuno ci darà mai autonomamnte.

Per questo è fondamentale appoggiare le famiglie che denunciano.
Sulla vicenda di Mauro Guerra, ucciso da un carabiniere due anni fa, Riccardo Noury racconta: “come tra tutte le vicende e sono tante di persone che vengono uccise mentre sono in custodia di forze di polizia o mentre sono bloccati da agenti delle forze di polizia, inteso in senso ampio, o sono in un momento private della libertà, la storia di Mauro è quella che io non riesco veramente a capire da un punto di vista logico e che mi lascia impietrito.
Perchè sembra come se un pezzo di America rurale, di quella America da cui ci arrivano delle storie a cui quasi non si crede. Vi prego di credere che non sto banalizzando, le strisce di Internazionale che si chiamano “Storie vere” se ci fate caso arrivano tutte da lì. E sono storie drammatiche ma che hanno un che di inverosimigliante. E allora quelle cose inverosimiglianti che accadono in America sono accadute anche qui due anni fa il 29 luglio a Carmignano di Sant’Urbano un paesino, una strada lungo la quale come in tanti paesini, ci sono quelle costruzioni, c’è la chiesa, c’è il bar, c’è la stazione dei carabinieri dove tutti si conoscono ed improvvisamente nessuno conosce nessuno ed una persona che tutti conoscono diventa la preda da braccare e viene uccisa da un carabiniere in una situazione che è inverosimile ma tragicamente vera. Su cui si aprirà un processo perché la famiglia Guerra includendo il papà ma in particolare le donne Guerra hanno congelato il dolore per dedicarsi alla ricerca della giustizia.

A parlare di questa storia drammatica, dopo una intervista video che riicostruisce i fatti è Elena, la sorella di Mauro Guerra .

Capirete l’emozione che posso provare nel parlare di fronte a voi perché non è una cosa che faccio d’abitudine.
La morte di mio fratello ha prodotto delle indagini fatte dalla Procura di Rovigo. Alla chiusura delle indagini preliminari, il magistrato aveva proposto un’imputazione provvisoria per omicidio volontario, cosa che a noi sembrava l’unica imputazione possibile nei confronti di questa persona.
I motivi per fare quello che ha fatto non c’erano. Vorrei sottolineare innanzitutto l’illegittimità dell’intervento che è stata appurata: non c’erano gli estremi per cui Mauro dovesse essere ricoverato in psichiatria perché non aveva pregressi di malattie psichiatriche e perché la procedura nei confronti del trattamento sanitario obbligatorio non è stata assolutamente rispettata dai carabinieri del mio paese.

Poi vi è da considerare la distanza: un metro e mezzo di distanza è pochissimo, non si può pensare ad una fatalità quando uno spara con una pistola a questa distanza diretto all’addome.
Quest’indagine ha prodotto un’ipotesi di reato di omicidio volontario. La legge prevede che l’indagato possa, nei venti giorni dopo il ricevimento di avviso di conclusione indagine, produrre delle memorie, delle testimonianze, delle prove a sua discolpa.
Lui ha chiesto solo di essere sentito in Procura. Dopo questo, il magistrato ha fatto un’inversione di marcia e ha derubricato l’accusa in eccesso colposo di legittima difesa. Per noi è una cosa assolutamente inaccettabile. Perché come è possibile che un solo colloquio può smontare un’indagine durata 19 mesi con un fascicolo di 1800 pagine? Fascicolo che ha prodotto “omicidio volontario” e che poi semplicemente dopo un colloquio si riduce ad eccesso colposo in legittima difesa.

A mio avviso è una cosa vergognosa, ed è brutto da parte mia e da parte nostra riconoscere che ci sono persone processate di serie A e di serie B e che lo Stato non riesce mai a processare se stesso, o meglio a processare una persona appartenente al suo sistema. Questa persona può sbagliare, e se sbaglia deve essere punita.
Da parte nostra, in maniera abbastanza soft e senza grossi clamori, continueremo sempre fino a quando non troveremo qualcuno che abbia il coraggio di fare in modo che mio fratello abbia giustizia. I diritti umani di Mauro sono stati violati da vivo, con la coercizione, la minaccia e l’omicidio, e da morto nel cercare di non punire chi lo ha ucciso.
Noi non vogliamo credere che in questo Paese la parola democrazia sia usata solo con retorica; vogliamo credere che la democrazia vissuta in uno stato di diritto sia una parola che ha un certo valore. Non molleremo mai.

Una famiglia che va sostenuta e per questo l’invito è a tutti per essere a Carmignano di Sant’Urbano il 29 luglio 2017.

LIBERTA’ D’INFORMAZIONE SOTTO ATTACCO

L’incontro si chiude con l’intervento di Nicola Chiarini di Articolo 21.

Dal dibattito di stasera capiamo che ci sono delle questioni che meritano di essere chiarite, rebus che devono essere risolti. Per questo il ruolo della stampa e degli operatori professionali dell’informazione diventa cruciale.
Ci sono spesso delle condizioni ostative nell’esercizio di questo che per noi è un dovere che permette a tutti i cittadini nel loro complesso di esercitare un diritto che è quello di comprendere il mondo complesso che ci circonda e di conseguenza di orientare le scelte con consapevolezza, uno degli elementi cardinali della democrazia.
I numeri aiutano nella loro fredda essenzialità a definire un fenomeno.
Secondo il rapporto di Reporter senza Frontiere nel 2016 sono 74 le persone che sono state uccise durante il loro lavoro.
In Messico soltanto nei giorni scorsi Javier Valdez, un giornalista di 50 anni specializzato nelle inchieste sul narcotraffico, è stato trovato esanime sul selciato. Prima di lui nelle scorse settimane altre tre vittime. Un giornale, Il Norte di Ciudad Juarez, ha deciso di chiudere la propria testata.
Ci sono morti registrati in paesi dove la guerra è dispiegata: 19 in Siria, 10 in Afghanistan. Ma 9 ce ne sono stati anche in Messico dove non ci sono condizioni di guerra dichiarata, ma c’è una forte infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle articolazioni del paese. Altri 7 morti sono state registrate in Iraq e 5 nello Yemen. In Italia la situazione ha le sue complessità. Pensate che nel nostro paese in questo momento ci sono 6 giornalisti che vivono sotto scorta per il loro lavoro e questo dà l’idea di quanto vi sia la necessità di far sì che la comunità civile e democratica tutta mostri attenzione a queste questioni.

Articolo 21, come associazione, cerca di promuovere la cultura dei diritti, di condividerla con i lettori e con i diversi spezzoni della società.
Per questo il 24 maggio Articolo 21 sarà insieme alla Federazione Nazionale della Stampa italiana, che è il sindacato unitario dei giornalisti, sotto Montecitorio, per chiedere alle Camere un’azione legislativa efficace, per esempio, per contrastare il tema delle querele temerarie, ovvero quelle querele che in realtà sono un’intimidazione indebita. Altra parola d’ordine cruciale per questa mobilitazione è un’azione efficace per il contrasto del precariato: anche non mettere nelle condizioni di diritti e di sostentamento materiale un giornalista, significa privarlo degli strumenti per poter adempiere al dovere che la costituzione sancisce attraverso l’articolo 21 e nel complesso attribuisce ai giornalisti.
Sono grato ai promotori di questa serata perché dal confronto c’è sempre un arricchimento e c’è l’opportunità di costruire delle reti per difendere chi difende i diritti, uno sforzo che se lo dividiamo in tanti sarà più facile condurre a buon esito.

Tutti noi siamo liberi se abbiamo la possibilità di esercitare materialmente insieme queste libertà, questi doveri, questi diritti.

CON I PRIGIONIERI PALESTINESI

La serata si chiude con un piccolo gesto in solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame. Ivan e Riccardo bevono un bicchiere di acqua e sale come fanno i detenuti palestinesi per dire che “non sono soli”.


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