Focus Turchia e Diritti Umani

Il 10 dicembre 2020 il Nodo padovano della Rete in Difesa di ha deciso di proporre un incontro dedicato alla situazione della sistematica violazione dei diritti umani in Turchia.

E’ stata anche l’occasione per lanciare l’iniziativa di sostegno a distanza dei Difensori dei diritti umani. Se il Covid impedisce di ospitare fisicamente a Padova i Difensori l’impegno dell’Amministrazione comunale insieme ad altri Comuni del territorio, all’Università, al Consiglio dell’Ordine degli avvocati e allae associazioni non si ferma.

L’interessante discussione con il contributo dell’avvocata turca Serife Ceren Uysal e del giornalista turco Murat Cinar ha permesso di comprendere come in Turchia le violazioni siano diventate il sistema e quando sia importante rompere il silenzio.
Nella prima parte dell’incontro gli interventi di Francesca Benciolini, Assessora Comune di Padova e Michela Tasinato, consigliera del Comune di Rubato, degli avvocati Leonardo Arnau e Aurora d’Agostino e del professor Marco Mascia hanno approfondito il percorso intrapreso assieme e che ha portato alla nascita e allo sviluppo del Nodo padovano della Rete In Difesa Di.

Particolare attenzione è stata data alla notizia, della sera prima, dell’arresto di Aytac Unsal, avvocato conosciuto per il lungo sciopero della fame che ha fatto nei mesi scorsi insieme a Ebru Timtik, avvocata morta proprio durante questa iniziativa di protesta.

Da Padova verranno inviate cartoline a Aytac Unsal nel carcere dove è detenuto per esprimergli la vicinanza di un’intera comunità.

Francesca Benciolini
Assessora alla Pace, Diritti Umani e Cooperazione Comune Padova

Benvenuti a questo momento importante in questo settantaduesimo anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti Umani. Un momento in cui la città di Padova vuole fermare la propria attenzione sul tema dei Difensori dei Diritti umani e lo fa con un focus in particolare sulla situazione turca. Perchè Padova? Perchè Padova esattamente due anni fa, il 10 dicembre del 2018 approvava una mozione con cui si proclamava in consiglio comunale Città Rifugio per i Difensori dei Diritti Umani aderendo a un progetto che la vedeva coinvolta non solo come amministrazione comunale ma anche come rete di realtà tra cui altre amministrazioni della cintura urbana della nostra città, come rete che comprende anche l’Università con il Centro d’Ateneo per i Diritti Umani, l’Ordine degli avvocati, Giuristi democratici e molte altre associazioni del territorio, ong associazioni impegnate nella lotta per i diritti umani per tutte e tutti ovunque nel mondo. Una rete che ha aderito a sua volta ad una rete più ampia La Rete In difesa di a livello nazionale, che si collega ad altre reti a livello internazionale. Ci tengo a questa cosa della rete perchè credo che sia proprio il paradigma di questo lavoro che si sta facendo per i Difensori dei diritti umani . L’idea di dire se siamo in tanti, se riusciamo a lavorare insieme, possiamo portare le istanze e le lotte dei difensori dei diritti umani a dei livelli di conoscenza, di consapevolezza più alta a tutti i livelli della società e delle istituzioni. In questo senso assolvere al compito che ci ha data, che ha dato a ciascuno di noi, la Dichiarazione stessa che oggi ricordiamo cioè quella di essere attori attivi all’interno dei diritti umani. Questa rete di Padova, questo nodo padovano della Rete In difesa di ha avuto tra l’altro, sabato scorso, un importante riconoscimento all’interno del Premio FOCSIV per il volontariato internazionale. E’ stata conferita una menzione proprio per questo lavoro che stiamo facendo e speriamo presto ci porti ad ospitare direttamente nel nostro territorio un Difensore dei Diritti umani. Nel frattempo la Rete lavora perchè alla città, nella città, attraverso la città di Padova il tema dei Difensori dei Diritti umani venga tenuto in considerazione e diventi centrale per ciascuno e ciascuna di noi.
Benvenuti a questo appuntamento e grazie.

Leonardo Arnau
Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Padova

Grazie Assessora, grazie a tutti per questo momento di confronto e celebrazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Come ben ricordava l’Assessora Benciolini il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Padova fa parte fin dall’inizio del percorso che assieme al Centro d’Ateneo, al Comune ed ad altre realtà associative quali Giuristi democratici mette al centro del proprio operare la difesa dei Difensori dei Diritti umani. Lo stato di diritto vive sempre in un precario equilibrio, ed il nostro non fa eccezione. Per questo motivo io credo che dobbiamo tutti seguire con attenzione quello che succede nel mondo perchè le spinte autoritarie, come oggi il coronavirus, non si fermano alle frontiera e d’altro canto il modo in cui vengono rappresentati e trattati gli avvocati, i Difensori dei diritti umani, è una spia della circolazione del virus autoritario. I Difensori dei diritti umani e gli avvocati tra questi difendono la libertà e i diritti delle persone e chi calpesta i diritti umani in primo luogo aggredisce l’avvocatura ma non solo tutte quelle istituzioni libere che hanno il compito di tutelarli. In ogni angolo del mondo assistiamo ormai ad arresti e condanne di avvocati, che sono strumentali alla negazione dei diritti civili dei cittadini. La difesa dei Difensori dei diritti umani ci riguarda, i casi di Ebru Timtik e di Nasrine Soutaudeh sono dei paradigmi che si ripetono nella storia e che ci riguardano da vicino così come ci riguarda la barbara uccisione di Hanan-al- Barassi
avvocata libica uccisa a Bengasi, pochi giorni fa, proprio perchè impegnata nella tutela dei diritti umani. Ecco il nostro senso di stare assieme sta qui. Sta nella volontà di tutelare i diritti umani e i loro Difensori quale elemento determinante per la democrazia. Grazie davvero a tutti e ci sarà ovviamente, come c’è, il sostegno del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Padova che ha istituito, ormai quasi quattro anni fa anche la Commissione Diritti Umani.

Michela Tasinato
Consigliera Comune di Rubano

Sono consigliera del Comune di Rubano. Sono onorata di presenziare e rappresentare il Comune di Rubano oggi in questa ricorrenza così importante quale è l’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti umani. E’ stato un anno questo che passerà alla storia, un anno nel quale le relazioni, il contatto e lo scambio di sguardi sono venuti assolutamente meno. Proprio per questo noi amministratori ci siamo per non lasciare sole le persone più bisognose sia di un conforto, sia di un aiuto sia fisico che emotivo. E’ stato stimolante perchè questo impegno ci ha aiutati ad attivare maggiori servizi verso quelle categorie che rischiano di passare inosservate. Questa giornata internazionale per i diritti umani non poteva trovare anno più azzeccato per continuare ad evidenziare quanto è fondamentale dare voce a tutti coloro ai quali i diritti vengono spesso annullati. Siamo quindi orgogliosi di far parte di questa iniziativa e di portare contributi affinchè questo progetto diventi sempre più grande. Grazie.

Marco Mascia
Centro d’Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”

Buonasera a tutte e a tutti. Abbiamo iniziato questa mattina alle 9.30 con un’assemblea grande a celebrazione della Giornata internazionale dei Diritti Umani in questo 72esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani con la partecipazione di 120 scuole, con centinaia di studenti e studentesse, con l’idea di investire nel campo dell’educazione e della formazione nel campo dei diritti umani, quale via maestra per prevenire la violazione dei diritti.
L’incontro di questa sera si inserisce all’interno di una dichiarazione che ha origine dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e che è la Dichiarazione sui Difensori dei Diritti Umani. Si tratta della Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di proteggere e promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti, questo è il titolo corretto della Dichiarazione sugli Human Right Defenders adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre del 19998, cinquant’anni dopo l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
In Italia nasce un paio di anni fa una rete, la rete In difesa di per i diritti umani e per chi li difende, per dare attuazione concreta a questa dichiarazione delle Nazioni Unite con l’idea di accogliere i difensori dei diritti umani a rischio nelle varie parti del mondo.
La pandemia di Covid-19 ha impedito alla nostra città, come ricordava anche l’assessora Benciolini, di avviare una prima temporary location, ma abbiamo deciso in una recente riunione del Nodo padovano della Rete in Difesa di di iniziare a mettere delle attenzioni su specifiche situazione di violazione dei diritti dei difensori dei diritti umani a partire dalla Turchia. E quindi questa sera siamo qui riunite per ascoltare le testimonianze di alcuni avvocati, avvocate e giornalisti turchi sulla violazione dei diritti umani proprio in quel paese. Grazie

Aurora d’Agostino
Avvocata Giuristi Democratici

Buonasera e grazie a tutti anche per l’autogestione di questa presentazione e di questi saluti.
Io vorrei innanzitutto ringraziare tutti i presenti.
Mi presento: sono Aurora D’Agostino e sono un’avvocata, faccio parte dei Giuristi democratici e della Rete in difesa di a Padova.
Ormai da due anni lavoriamo per creare una rete di supporto ai Difensori dei diritti umani, anche consentendo a loro, come è nostra intenzione, la rilocation sul nostro territorio ovvero che possano trascorrere nella nostra città dei periodi transitori di pausa, di ripresa, di riposo, di informazione, di rafforzamento anche sul piano psicologico (fare i difensori dei diritti umani in paesi a rischio è faticoso), sotto il profilo conoscitivo con una serie di corsi, di scambio di informazione su alcuni temi, come la sicurezza.
Il Covid ci ha reso difficile questo compito, ma i Difensori dei diritti umani in epoca Covid sono ancora più a rischio come dimostrano i fatti di questi giorni, di cui ha già parlato l’avvocato Arnau. Alcuni ad esempio sono stati oggetto di re-incarcerazione. E’ stato riarrestato Aytac Unsal, avvocato turco che ha già fatto più di 200 giorni di sciopero della fame e che era stato scarcerato in settembre dopo la morte di Ebru Timtik.
Vi mostro la foto di Aytac, di come è stato arrestato e degli effetti del suo arresto. Questo credo che dica molto su qual è la situazione dei Difensori dei diritti umani in Turchia.
Questo evento era stato pensato per lanciare la nostra proposta di azione di sostegno a distanza. Abbiamo scelto come prima tappa geografica, come primo paese dove i Difensori sono in pericolo, la Turchia con eventi informativi e raccolte di fondi.
L’idea è anche quella di lanciare una Call for artists per rendere più visibile e condivisibile sul territorio e sul web la nostra battaglia e la battaglia dei Difensori dei diritti umani di questo paese.
Oggi la nostra prima azione si deve spostare su Aytac che è stato portato in carcere, rimesso in galera in condizioni di debilitazione fisica.
La prima proposta che faccio è quella di lavorare subito su quello che sta succedendo in Turchia. Partecipiamo al tweet- bombing che è in atto adesso per la libertà di Aytac. Un’altra idea che mi è venuta in mente è quella di mandare tante cartoline da Padova a Aytac nel carcere in cui si trova per supportarlo, per dargli solidarietà, per dirgli che non è da solo a lottare per i diritti umani in Turchia e per il suo e collettivo diritto di tanti avvocati turchi sotto processo ad un processo equo, giusto, che rispetti le regole.
Ora diamo la parola a Serife Ceren Uysal, un’avvocata turca che non si trova più in Turchia, ma che coordina tutte le azioni di supporto. Serife sarà il nostro supporto per sapere meglio cosa avviene in quel paese, che sarebbe bellissimo e che invece è oggetto di una violazione sistematica tremenda e inumana dei diritti umani.

Serife Ceren Uysal
Avvocata turca

Prima di tutto grazie mille per avermi invitato e avermi dato l’opportunità di spiegare cosa sta accadendo in Turchia.
So che molti di voi stanno lavorando per supportare le persone che stanno soffrendo a causa del potere giudiziario in Turchia.
Proverò a spiegare la situazione giudiziaria e vi fornirò maggiori dettagli riguardo a come il problema è più grave di quello che sembra e magari vi darò l’opportunità di discutere la possibilità di supportare le persone che stanno provando a cambiare la situazione svolgendo le loro attività professionali, come avvocati, giornalisti, accademici o semplicemente gente ordinaria che sta provando a sentirsi sicura in questo Paese, in questa situazione indefinita. Questo è quello di cui vi parlerò oggi.
Nelle conferenze cerchiamo sempre di spiegare lo stato d’emergenza in Turchia che prosegue da due anni. In questo tipo di presentazioni cerchiamo sempre di sottolineare questo: la Turchia non è mai stata un Paese privo di problemi quando parliamo dell’ambito giudiziale, ma lo stato d’emergenza ha reso le cose peggiori e ora siamo arrivati ad un punto in cui non vi è la possibilità di parlare di giustizia e della situazione del potere giudiziario.
Penso che questo debba essere il punto iniziale: non vi è giustizia in Turchia oggi.
Dobbiamo guardare la situazione degli avvocati. So che in Italia organizzate tante campagne di sensibilizzazione, ma è opportuno ricordare il gran numero di avvocati in prigione: al momento 600 avvocati sono in prigione e quasi ogni settimana c’è una nuova operazione di polizia o una nuova inchiesta contro gli avvocati.
L’ultima di cui siamo stati informati è cominciata circa dieci giorni fa e gli avvocati che hanno partecipato alla cerimonia di fronte all’associazione degli avvocati di Istambul per celebrare il rilascio di Aytac Unsal ora sono tutti accusati di essere membri di un’organizzazione terroristica.
La situazione degli avvocati sta pesando su tutti i processi, perché quando noi non siamo al sicuro, non siamo protetti, ciò vuol dire che il diritto di difendersi non è tutelato, vuol dire che uno dei più importanti principi del giusto processo è violato sistematicamente e questo compromette tutto.
Anche la situazione dei giudici e dei procuratori è problematica: soprattutto con lo stato d’emergenza sappiamo che i giudici e i procuratori licenziati sono stati circa 4000 e questo vuol dire che quelli che ora sono in servizio stanno esercitando la loro professione sotto la minaccia di essere licenziati o addirittura arrestati.
Quindi ora le decisioni non sono prese da giudici o procuratori indipendenti, ma da persone preoccupate delle loro stesse funzioni.
Ovviamente ci sono altri procuratori e giudici che preferiscono eseguire gli ordini ricevuti dal governo o dal partito di maggioranza o dagli attori al potere.
In queste circostanze non abbiamo la possibilità di discutere dell’indipendenza o dell’imparzialità degli attori giudiziari.
Proverò a fare degli esempi concreti di queste situazioni, ma è importante comprendere che tutti i problemi iniziano con la fase processuale.
L’accusa è uno dei principali documenti della procedura penale e sfortunatamente in Turchia abbiamo alcune condanne basate solo sulla manipolazione dei procuratori.
Per esempio, c’è stato in Turchia nell’ultimo anno un importante processo in cui gli imputati erano solo giornalisti, accusati per i loro report.
Il procuratore ha sostenuto che hanno pubblicato comunicazioni e notizie riguardanti alcuni segreti di Stato e il principale argomento d’accusa si basava su una sentenza della Corte costituzionale.
Il procuratore ha affermato che tale sentenza sancisce che, anche se un’informazione è nota pubblicamente, se tale informazione è categorizzata come segreto di Stato, allora non se ne può parlare.
Quando abbiamo cercato la sentenza della Corte costituzionale abbiamo realizzato che non esiste alcuna sentenza, ma nella condanna il procuratore ha manipolato la sentenza, ha cambiato la sua struttura grammaticale e ha cambiato totalmente il contesto. I giornalisti sono stati condannati poco dopo l’inizio del processo.
Quindi abbiamo a che fare non solo con decisioni sbagliate o con illeciti, ma gli stessi procuratori creano i reati e tutto inizia in questa fase.
Se analizziamo i fascicoli riguardanti i processi contro gli avvocati osserviamo che per esempio uno di loro è stato arrestato perché il giudice ha ritenuto che c’era il rischio che scappasse, ma la faccenda era un po’ differente. Infatti si è presentato di sua spontanea volontà davanti alla Corte per testimoniare, quindi non c’era un reale rischio che egli scappasse, ma questa è stata un’interpretazione del procuratore accettata dal giudice.
Se un procuratore vuole accusare una persona non ha bisogno di avere una prova evidente.
Sfortunatamente basandoci sull’attuale applicazione delle norme di diritto penale, se il procuratore riesce a trovare una sorta di testimonianza, una testimonianza anonima, questa può essere accettata come sufficiente e ci sarà sicuramente un processo. I tribunali possono condannare l’imputato solamente ascoltando una testimonianza senza conoscere il nome di chi l’ha rilasciata, senza neanche la possibilità di controinterrogare il testimone.
Ogni principio del diritto penale internazionale e del giusto processo è violato.
Noi parliamo sempre dei politici o degli avvocati o dei giudici o dei giornalisti perché noi siamo più fortunati delle altre persone, abbiamo i nostri agganci e abbiamo la possibilità di spiegare cosa ci sta accadendo grazie al vostro aiuto, ma questa situazione riguarda anche tutti i cittadini.
La scorsa settimana un pensionato è stato arrestato solo per un commento fatto per strada, ovvero ha contestato il salario di un ministro e un inviato televisivo gli ha chiesto la sua opinione. L’hanno arrestato perché ha fatto un commento pubblicamente, anche se è un pensionato e non ha altri contesti in cui parlare pubblicamente.
A causa della paura ogni giorno molta gente si autocensura. Tante persone sono indagate per i contenuti pubblicati sui social network.
Riguardo al caso di Aytac Unsal, è stato torturato quando è stato arrestato. Abbiamo visto le foto, sappiamo che è stato trasferito in prigione e ora non abbiamo idea di chi si sta prendendo cura di lui perché non è in grado di camminare bene, di prendersi cura di sé stesso da solo e non sappiamo nemmeno le condizioni della prigione durante questa epidemia di Corona virus.
Vi sto fornendo diversi esempi perché vi è una chiara connessione tra tutti questi casi ed è importante capire tutte queste dinamiche perché operano tutte insieme.
Attualmente come ho detto non abbiamo giustizia e ciò vuol dire che non abbiamo l’indipendenza dagli attori giudiziari, non abbiamo la protezione degli avvocati e i Difensori dei diritti umani non hanno la libertà di espressione, non abbiamo alcuna garanzia dei principi del giusto processo, non ci possiamo appellare a nessun diritto fondamentale che sia valido in Turchia.
La situazione è drammatica, ma dall’altra parte in Turchia abbiamo ancora forti posizioni di opposizione: abbiamo migliaia di donne che stanno organizzando manifestazioni, centinaia di avvocati che stanno continuando ad esercitare la loro professione in queste circostanze.
Le proteste di Gezy Park sono state organizzate solo sette anni fa e queste persone ancora vivono in Turchia e questo vuol dire da una parte che abbiamo ancora tanta speranza per il futuro, dall’altra che abbiamo anche una grande responsabilità di supportare le persone che stanno lottando e che stanno provando a sopravvivere e a cambiare la situazione.
Penso che questo debba essere il tema principale su cui dobbiamo concentrarci e che dobbiamo provare a sostenere.
In questa situazione sono importanti due cose: abbiamo bisogno della solidarietà della comunità internazionale, ma dobbiamo anche forzare le istituzioni turche a comportarsi correttamente.
Sfortunatamente le decisioni della Corte Europea dei diritti umani non aiutano la situazione in Turchia, ma anzi il governo in molti casi utilizza tali decisioni a proprio favore.
Io credo che insieme possiamo fare entrambe le cose perché ora tanta gente ha bisogno di sentire che è ascoltata da noi. Non si tratta solo di trovare una soluzione, ma in tali circostanze sapere che qualcuno ti ascolta, si preoccupa per te, che altre società stanno parlando di te, è molto significativo, è un aspetto importante della solidarietà.
So che loro hanno bisogno del nostro supporto e della nostra solidarietà.
Grazie ancora per avermi dato questa opportunità.

Murat Cinar
Giornalista turco

Buona sera a tutti. Vi faccio i complimenti per quello che avete organizzato in questa giornata che ha un valore importante nella storia dell’umanità.
E’ un discorso molto importante quello dei diritti umani, soprattutto tenendo in considerazione che ancora oggi in diverse parti del mondo è un tema che non ha degli standard, che non viene rispettato e praticato alla stessa maniera. Solo qualche giorno fa abbiamo sentito le dichiarazioni molto tristi di un leader europeo che, stringendo le mani ad un dittatore nordafricano, ha ufficialmente comunicato che non gli importa la condizione dei diritti umani in quel paese, ma è più importante fare affari e vendere armi.
Questa cultura da show must go on è una delle cose che ha contribuito a creare il quadro che abbiamo di fronte. Le irresponsabilità, gli egoismi, i menefreghismi e le arroganze di una cultura coloniale sempre più diffusa sono gli elementi che causano la situazione attuale. La Turchia spesso negli ultimi quindici/vent’anni è stata trattata come un partner economico e non come un paese composto da cittadini che hanno il diritto di esprimere i loro pareri. Quindi è stato più curato l’aspetto legato all’investimento economico e militare che quello legato alle libertà individuali.
Oggi sull’International Press Institute vediamo i numeri che parlano chiaramente. Dal 2016 a oggi in Turchia sono stati chiusi 170 media cioè agenzie di stampa, agenzie di notizie, giornali, canali radiofonici, riviste e sono 1252 gli anni che costituiscono la condanna dei giornalisti processati in questi ultimi quattro anni. Soltanto nei primi cinque mesi del 2020 i giornalisti processati sono stati condannati a 316 giorni di carcere. Esattamente come ha specificato la persona che mi ha preceduto, la libertà di espressione è un problema per chiunque, da un semplice cittadino intervistato da un canale televisivo per strada fino a un giornalista, da un avvocato fino ad un giudice, da un alto ufficiale dell’esercito fino ad un semplice insegnante e, addirittura, ai gruppi di musicisti. Ed abbiamo visto a che punto si è arrivati in Turchia quando sono arrivate le proteste manifestate sotto forma di sciopero della fame.
Purtroppo, la Turchia a costo di reprimere la libertà di espressione ha perso i suoi migliori figli e le sue migliori figlie. Io ho avuto l’occasione in questi ultimi anni di intervistare diversi giornalisti.
Da circa sette anni mi occupo della libertà di espressione e di stampa in Turchia e quello che ho osservato è questo: sono sempre di più le persone che lasciano la Turchia e vanno a vivere all’estero.
Inizio con un esempio legato a questo fenomeno ovvero quello della nuova diaspora in Europa e anche negli Stati Uniti d’America. Il primo esempio riguarda un giornalista di cittadinanza turca e di origini armene Hayko Bagdat che dal 2016 vive a Berlino. E’ della classe ’76 e ha lavorato per canali televisivi e radio e radiofonici e per vari giornali.
È un giornalista armeno nato e cresciuto a Istanbul nella città più grande della Turchia, ha scritto sempre degli articoli di approfondimento, ha fatto dei programmi radiofonici, ha fatto delle interviste, ha tenuto delle conferenze su come si vive da armeno in Turchia.
I suoi lavori rappresentano uno dei dolori più importanti della storia della Turchia, ovvero il genocidio armeno. Infatti, parla molto liberamente del genocidio armeno, dei parlamentari e dei giornalisti armeni assassinati negli ultimi quasi cento anni, da quando è stata fondata la Repubblica turca. Poi ha parlato molto dell’assenza dei cittadini armeni nella magistratura, nell’esercito e in diversi apparati del sistema burocratico e di come vengono sistematicamente violati i loro diritti a svolgere un lavoro pubblico.
Nel 2016 viene denunciato per una serie di reati che gli sono stati attribuiti e durante i processi ha ricevuto numerose minacce di morte e ha dovuto lasciare il paese nel 2016 ed è andato a vivere a Berlino.
Nonostante ciò non è completamente al sicuro: tutt’ora vive con la scorta e per più di un anno ha svolto uno spettacolo da solo, un one man show, con un giubbotto antiproiettile perché anche in Germania ha ricevuto delle minacce, probabilmente da soggetti turchi ultranazionalisti e lui sostiene anche che si tratti in parte dei servizi segreti turchi.
La presenza dei servizi segreti turchi all’estero è una questione molto conosciuta ormai: in Kosovo, in Messico, nei Balcani hanno sequestrato degli oppositori e in Germania un ex calciatore politicamente esposto, che si è rifugiato nel paese, è stato quasi ammazzato durante un attentato che successivamente la magistratura tedesca ha scoperto che è stato pianificato da alcuni agenti dei servizi segreti turchi presenti in Germania. Quindi anche per coloro che escono dalla Turchia, la vita in diaspora non è semplice perché le opposizioni vengono perseguitate anche al di fuori dei confini nazionali.
Al di fuori dei confini nazionali la Turchia è attiva in tutte le forme, soprattutto nei mesi precedenti abbiamo visto quanto era presente in Libia. Infatti, nella guerra libica la Turchia insieme all’Italia sostiene il presidente al-Sarraj riconosciuto dalle Nazioni Unite che è in guerra con il suo oppositore, il generale Haftar. In Libia possiamo dire che c’è una guerra civile. La Turchia sostiene appunto al-Sarraj e manda i suoi soldati, le sue armi e i suoi soldi e con lo stato del Quatar ha anche iniziato ad addestrare i soldati libici.
Questo è un fenomeno importante e i giornalisti che si occupano di politica internazionale devono scrivere su questo tema, soprattutto quando la presenza della Turchia in Libia non è stata mai così chiara e trasparente e comunicata in una maniera così aperta. I cittadini in Turchia non sanno quanti carri e soldati vanno in Libia, quanti soldi si spendono per questa missione oppure quanti soldati turchi muoiono. Un giornalista di nome Aydin Keser ha voluto pubblicare la notizia sul giornale dei funerali di un agente dei servizi segreti turco in Libia. L’agente è morto il 3 marzo di quest’anno, ma la notizia non è stata diffusa. Pochi giorni dopo un sito web ha diffuso le foto e le riprese del suo funerale chiedendo al governo centrale il conto che dovrebbe chiedere ogni cittadino. I nostri cari, i nostri figli, i nostri conoscenti, i nostri concittadini vanno in Libia per combattere per diversi motivi, muoiono, tornano i cadaveri in Turchia, si svolgono i funerali. Perché non se ne parla? Allora al cittadino viene il dubbio che non sia morto solo uno, ma che siano in tanti, che qualcuno stia nascondendo qualcosa. A questo punto subentra il lavoro sensato e importante del giornalista ossia quello di pretendere informazioni, fare domande e divulgare quelle informazioni raccolte. Aydin Keser ha riprodotto la notizia pubblicata da un altro sito qualche giorno prima, arricchendola di altre osservazioni e altri materiali. Pochi giorni dopo è stato arrestato e sbattuto in isolamento in piena pandemia e vi è rimasto per sei mesi. Il procuratore ha preparato le carte, è iniziato il processo e il giudice ha chiesto due anni di carcere. In piena pandemia ovviamente la sua famiglia non ha avuto l’occasione di parlare con lui, di incontrarlo di persona e, di conseguenza, nemmeno sapere in che stato si trovasse da un punto di vista di salute. Quando ho intervistato sua moglie il giornalista era ancora in carcere. Poche settimane dopo è stato scarcerato, non assolto, ma solo scarcerato. Nei mesi successivi fino a qualche settimana fa ho mantenuto il contatto con la famiglia e ho scoperto che anche questa famiglia insieme al loro bambino piccolo ha dovuto lasciare la Turchia. Adesso si trovano all’estero e cercano un rifugio e di raggiungere i loro parenti arrivati precedentemente in Europa. Ancora un’altra volta per via della limitazione della libertà di stampa una persona insieme alla sua famiglia ha dovuto lasciare la Turchia.
Un’altra voce dell’opposizione, un’altra persona che cercava di parlare della verità, della realtà, che cercava di diffondere una notizia non può più lavorare.
Pariamo ora del caso di Nedim Turfent che lavorava per una agenzia di notizie internazionale.
Il 12 maggio 2016 durante lo stato di emergenza l’azienda è stata chiusa interamente, tutti i suoi dipendenti sono stati denunciati, alcuni arrestati, alcuni presi in detenzione cautelare, alcuni hanno dovuto lasciate il paese e, infatti, in Svizzera, in Germania, in Svezia ci sono numerosi giornalisti che facevano parte di questa agenzia. Nedim era molto attivo in questa agenzia, soprattutto, nel sud est ed Paese e da anni denunciava le sistematiche violazioni dei diritti umani. E’ stato arrestato pochi giorni dopo aver diffuso sul suo profilo Twitter, su Facebook, ma anche sul sito della sua agenzia le riprese fatte dalla action cam montata sul casco di un soldato turco. Questo soldato insieme ai suoi colleghi aveva fatto un’irruzione in un cantiere di una città nel sud est della Turchia e aveva buttato a terra gli operai, li sgridava, li prendeva a calci e pronunciava queste parole: “Ora vedrete la forza del turco. Cosa vi ha fatto di male questo Stato? Il conto lo pagherete caro.”
Nedim Turfent in qualche modo ha ottenuto queste riprese, molto probabilmente si tratta di riprese diffuse su internet dallo stesso soldato oppure i colleghi del soldato le hanno mandate al giornalista.
Non ha fatto altro che diffonderle. Dal punto di vista deontologico questo materiale rappresenta un fatto, ha un elemento importante per diventare notizia, ma tuttavia tale elemento è stato definito dal procuratore come prova per sostenere che Nedim Turfent faceva parte di un’organizzazione terroristica armata. Per tredici mesi, quindi per più di un anno, Nedim è rimasto in isolamento, in attesa della sua prima udienza. Il 14 giugno del 2017 è stato condannato ad otto anni di carcere e l’unica prova concreta che ha il giudice per la condanna è quella ripresa. In realtà vi è un altro elemento di cui si è parlato anche prima, elemento che nel caso di Nedim diventa molto evidente: la testimonianza di venti testimoni anonimi.
Il discorso dei testimoni anonimi è molto lungo, profondo e doloroso in Turchia. Viene fatto uso di testimoni anonimi in diversi processi, anche maxiprocessi per condannare le persone. Abbiamo visto che nel maxiprocesso del Grup Yorum, uno dei musicisti è stato condannato soltanto grazie alle testimonianze di un testimone anonimo che successivamente aveva chiesto di non prendere più in considerazione quelle precedenti dichiarazioni perché non si riteneva tranquillo da un punto di vista psicologico.
Nel caso del nostro collega giornalista Nedim sono venti i testimoni anonimi e diciannove di questi nel corso del processo hanno scritto al giudice che le dichiarazioni le hanno lasciate sotto tortura. Nonostante ciò il giudice ha preso in considerazione queste testimonianze, condannando Nedim a otto anni di carcere perché ha lavorato come giornalista correttamente. Ora sono quasi 1600 giorni che Nedim si trova in carcere. Ogni tanto scrive delle lettere e riceve dei riconoscimenti.
L’associazione internazionale Pen e, in particolare la sua sede in Inghilterra, qualche settimana fa ha dato la membership d’onore a Nedim, che quindi è diventato membro onorario del Pen in Inghilterra.
Nel comunicare questo il Pen International inglese ha scritto una lettera. Vi è un passaggio di questa lettera molto interessante che dice che in Turchia numerosi giornalisti vengono condannati quasi esclusivamente a causa degli articoli che scrivono. Più del 60% dei giornalisti viene arrestato, preso in detenzione cautelare, denunciato oppure condannato per via dei Twitter pubblicati, mentre più del 98% dei giornalisti invece è condannato per via degli articoli scritti. Quindi scrivere qualcosa che va contro il governo centrale e è un problema.
In Turchia insieme alla magistratura che ormai è totalmente al servizio del potere politico, ci troviamo davanti un macchinario, un motore che distrugge le voci dell’opposizione.
L’ultima notizia di oggi è che il tribunale locale di Istambul ha deciso di impedire l’accesso a livello nazionale delle notizie che riguardano la denuncia che ha fatto il sindaco di Istambul, ovvero la denuncia di 23 persone grazie ai bandi taroccati all’epoca dell’ex amministrazione del comune di Istambul. Tra queste 23 persone denunciate vi è anche l’attuale Ministro delle infrastrutture e del trasporto.
E di questo oggi in Turchia non si può parlare.
Grazie

Conclusioni a cura dell’Avvocata Aurora d’Agostino

Concludo salutando e ringraziando tutti. Avremmo voluto concludere questo evento con un concerto per la pace, ma ovviamente non c’è stato possibile per motivi tecnici legati alla situazione pandemica, ma faremo una chiamata agli artisti perché ci diano una mano a diffondere le informazioni in un modo diverso da quello che facciamo noi avvocati di solito seduti ad un tavolo.
Cercheremo di diffondere le modalità per dimostrare solidarietà a Aytac Unsal che è stato arrestato nuovamente questa notte. Mi è stato detto che purtroppo non è possibile mandare cartoline scrivendo in italiano o in inglese perché non vengono consegnate, vengono bloccate in carcere in Turchia e quindi troveremo un breve testo turco per mandare i nostri saluti e manifestare la nostra solidarietà con gli auguri che esca al più presto dal carcere.
Grazie a tutti i presenti e a tutti quelli che hanno reso possibile l’evento, in particolare al Centro diritti umani per quanto riguarda anche la base logistica di questo webinar e all’Ordine degli avvocati. Buona serata e ci rivediamo presto per aggiornamenti sulla vicenda turca.

Testo a cura di Giulia Ciancio Paratore, studentessa di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e Diritti umani – Università di Padova


Pubblicato

in

da