Associazione YaBasta
CHI SIAMO
NEWS
APPROFONDIMENTI
AGENDA
PROGETTI
CAMPAGNE
CAROVANE
CAMINANTES

Home / Mondo

Un conflitto oltre le frontiere di Etienne Balibar

Per riflettere sull’Europa, le frontiere, le migrazioni

Associazione Ya Basta Padova

In questo articolo si parla di:

  • 3/700 Europa
  • 17/700 Migrazioni

Continua incessante l’arrivo attraverso la rotta balcanica, insieme alla rotta mediterranea, di migliaia di uomini e donne che vogliono entrare in Europa, spinti da conflitti, distruzioni e feroce immiserimento. Un esodo, un flusso destinato a interagire in profondità con il vecchio continente.
Analizzare la vastità e profondità di quel che sta accadendo, i legami con i conflitti geopolitici, sulle sponde dell’euromediterraneo fino all’Asia e all’Africa subsahariana, è quanto mai necessario per costruire nel cuore dell’Europa un’azione politica all’altezza della realtà.
Come contributo abbiamo pensato di dedicare le prime tre serate della Rassegna Oblò a fornire spunti e riflessioni non scontate su tre temi che rappresentano cause ed effetti di quello che stiamo vivendo: conflitti, cambio climatico, costuzione della paura sociale. Con lo stesso spirito di strumentarci per agire, vi proponiamo integralmente uno scritto di Etienne Balibar, che ci pare particolarmente stimolante, apparso in parte nel Manifesto di alcuni giorni fa.
La cronaca e le notizie ci consegnano un continuo mutamento degli scenari parziali, ma i temi posti nell’approfondimento di Balibar ci pare possano tracciare spunti d’analisi utili in profondità.
Buona lettura e siete tutt@ invitati alla prima serata di Oblò a Padova il 12 ottobre.

JPEG - 42 Kb
Rotte balcaniche

Un conflitto oltre le frontiere di Etienne Balibar
15 settembre

Men­tre i mini­stri dei ven­totto paesi Ue non sono riu­sciti a met­tersi d’accordo sull’attuazione del piano di ripar­ti­zione pro­po­sto dalla Com­mis­sione euro­pea (piano del tutto insufficente visto il ritmo al quale stanno arrivando ormai i rifugiati, che arrivano in particolare dalla Siria) , è senza dub­bio arri­vato il momento di ren­dersi conto dell’entità dell’avvenimento sto­rico a cui deve far fronte la "comu­nità" delle nazioni euro­pee, e delle con­trad­di­zioni che que­sto avve­ni­mento ha messo in luce. Esten­dendo a tutta l’Europa il pro­no­stico che la Can­cel­liera Angela Mer­kel ha for­mu­lato — "que­sti avve­ni­menti cam­bie­ranno il nostro paese" — biso­gna dire: cam­bie­ranno l’Europa. Ma in che senso? La risposta non è ancora scritta, anche se potrà esserlo rapidamente. Stiamo entrando in una zona di flut­tua­zioni bru­tali, dove dovremo dar prova di luci­dità e determinazione.

Quello che sta avve­nendo è un allar­ga­mento dell’Unione e della stessa costru­zione euro­pea. Ma, a dif­fe­renza dei pre­ce­denti allar­ga­menti, voluti o accettati dagli stati, preparati da negoziazioni e sanzionati da trattati, que­sto è impo­sto dagli avve­ni­menti nel qua­dro di uno "stato d’emergenza" e non c’è una­ni­mità. Più che per gli allar­ga­menti del pas­sato, quindi, andrà incon­tro a dif­fi­coltà e pro­vo­cherà scon­tri poli­tici, di cui il risultato non è garantito. Soprat­tutto, que­sto allar­ga­mento è para­dos­sale, per­ché non è ter­ri­to­riale (anche se porta con sè implicazioni territoriali) ma demo­gra­fico: ciò che "entra in Europa" (e che, per una parte importante, dovrà esservi "integrata") in que­sto momento non sono nuovi stati, ma uomini, donne e bam­bini. Sono dei cit­ta­dini euro­pei vir­tuali. Que­sto allar­ga­mento, essen­zia­le­mente umano, è anche morale: è un allar­ga­mento della "defi­ni­zione" di Europa, dell’idea che ha di se stessa fino agli inte­ressi che difende e agli obiet­tivi che si pone.

La congiunzione di tutte queste dimensioni ci condurrà alla nozione di un allar­ga­mento poli­tico, desti­nato a "rivo­lu­zio­nare" i diritti e gli obbli­ghi dei paesi mem­bri. Può fal­lire, ma allora la costru­zione euro­pea stessa avrà poche pos­si­bi­lità di resi­stere (e di certo certi precedenti allargamenti saranno sconfitti). Per que­sto motivo molti oggi in Europa (compresa la sua classe politica) par­lano di momento di verità.

JPEG - 449.7 Kb
Rotte mediterranee

È evi­dente che la situa­zione mate­riale e morale creata dall’afflusso dei rifu­giati dalla Turchia, dalla Grecia, dalla Macedonia, dall’Italia verso i paesi del centro e nord dell’Europa (in particolare Germania e Svezia, le nazioni oggi più accoglienti) attraverso l’Ungheria, l’Austria, la Francia, sia "ecce­zio­nale". Ma per­ché par­lare di stato d’eccezione, di emer­genza, nozione carica di ter­ri­bili signi­fi­cati giuridici e politici, che evoca momenti in cui il qua­dro isti­tu­zio­nale della vita sociale vacilla e l’identità col­let­tiva dei popoli trema? Evo­cherò almeno tre ragioni.

La prima è che, de facto, un pezzo impor­tante della "costi­tu­zione" euro­pea (uno dei suoi pilastri) ha smesso di fun­zio­nare: gli accordi di Schen­gen com­ple­tati dai rego­la­menti di Dublino. Que­sta sospen­sione era già chiara da quando il governo tede­sco ha dichia­rato che non avrebbe appli­cato ai rifu­giati siriani la regola dell’immatricolazione nel paese di arrivo in seno alla zona Schen­gen. La deci­sione del 13 set­tem­bre di chiu­dere la fron­tiera con l’Austria, a causa del supe­ra­mento delle capa­cità di acco­glienza della Ger­ma­nia e della cat­tiva volontà degli altri paesi euro­pei (che rifiutano di prendere la loro parte di fardello o l’accettano solo verbalmente e a lungo termine, come la Francia) , non cam­bia nulla, al con­tra­rio. Mostra che l’apertura e la chiu­sura delle fron­tiere interne dell’Europa è oggetto di deci­sioni arbi­tra­rie degli stati e che la libertà di cir­co­la­zione è sospesa.

La seconda ragione è che il "pro­blema migra­to­rio" dell’Europa è com­ple­ta­mente intrec­ciato allo stato di guerra del Medio­riente, che si estende dall’Afghanistan all’Africa del Nord (con epicentro in Siria ed Iraq) , che costi­tui­sce la fonte prin­ci­pale dell’afflusso dei rifu­giati. Si tratta di una guerra civile gene­ra­liz­zata, in parte creata e costantemente aggravata da interventi esterni, di una cru­deltà e capa­cità di distru­zione senza equi­va­lenti dopo la seconda guerra mon­diale nella nostra regione del mondo, che ha acqui­sito una dina­mica pro­pria. Non potremo fer­marla nell’immediato, (soprat­tutto non con inter­venti mili­tari come quelli praticati da Stati Uniti, e più modestamente da Francia ed Inghilterra). Il numero delle vit­time e dei rifu­giati che causa aumen­terà. L’esodo, momen­ta­nea­mente con­cen­trato negli stati "tam­pone" (Tur­chia, Gior­da­nia, Libano, Tuni­sia), sta comin­ciando a tra­vol­gerli e minac­cia di farli esplo­dere. Lo spa­zio inve­stito da que­sto con­ta­gio ingloba tutta l’Europa (ivi com­preso benin­teso attra­verso i rischi di dif­fu­sione del terrorismo, che non possono interferire con la "polizia" dell’immigrazione, nell’immaginazione e nella realtà).

Infine, pos­siamo par­lare di stato d’emergenza poi­ché, più di altri fattori di acuto conflitto ideologico e politico in Europa (come le politiche d’austerità), la crisi migra­to­ria sta spez­zando il con­senso sui "valori" con­sti­tu­tivi dello stato demo­cra­tico, che porta a una messa a con­fronto dell’Europa con se stessa, suscet­ti­bile di assu­mere forme vio­lente. Tutti que­sti aspetti sono evi­den­te­mente legati tra loro.

Vogliamo aggiungere qualche nota sull’azione della Cancelliera federale tedesca, Angela Merkel, dopo l’esplosione della crisi a fine d’agosto. Ha svolto un ruolo deter­mi­nante nella defi­ni­zione del carat­tere poli­tico degli avve­ni­menti. È lei, in effetti, cercando di conservarne il controllo (che può scapparle), che ha dichia­rato lo stato di emer­genza pren­dendo misure "uni­la­te­rali". Soprattutto lei - attraverso l’accoglienza di una immensa parte di vittime di guerre e persecuzioni - ha posto la que­stione di una rifon­da­zione dei nostri stati di diritto, esclu­dendo qual­siasi "tol­le­ranza" nei con­fronti delle cor­renti xeno­fobe e raz­zi­ste. Coloro che, come me, deplo­rano asso­lu­ta­mente il modo in cui la Can­cel­liera Mer­kel ha pilo­tato l’imposizione a tutta l’Europa delle poli­ti­che di auste­rità, in par­ti­co­lare l’umiliazione e l’espropriazione della Gre­cia, devono oggi saper rico­no­scere il valore della sua azione e dirlo. Questo prova la complessità della realtà politica, che non si lascia leggere attraverso gli occhiali dell’ideologia. Natu­ral­mente, Mer­kel non ha agito da sola: ha inter­pre­tato lo slan­cio di soli­da­rietà di una parte signi­fi­ca­tiva della società tede­sca (affrontando il rischio di scontrarsi con un’altra parte che, ora, comincia a farsi sentire). Alcuni sup­pon­gono che, così facendo, abbia difeso gli inte­ressi dell’economia tede­sca, che ha bisogno di rinforzo demografico e di forza lavoro qualificata (abbondante tra i rifugiati), andando contro i pregiudizi xenofobi e ricor­dan­dosi dei bene­fici avuti dal suo paese dall’apporto di altri rifu­giati. Pos­siamo imma­gi­nare che «Mer­kia­velli» (come l’ha chia­mata Ulrich Beck) abbia visto un’occasione per ribal­tare l’immagine di inu­ma­nità che le era stata affi­biata dopo la "solu­zione" della crisi greca. Ma que­ste spie­ga­zioni non bastano e sono soprat­tutto inca­paci di cogliere l’effetto ogget­tivo della deci­sione di Mer­kel, che tra­sforma i dati del pro­blema "costi­tu­zio­nale" in Europa e inten­si­fica il con­flitto latente sull’"identità" euro­pea, sia dal punto di vista dell’assetto sociale che della vita culturale. Forse la Mer­ke (io ne dubito), agendo "in coscienza", non ha com­preso subito fino a dove la sua deci­sione l’avrebbe por­tata (e noi con lei): ma l’importante è che sia arri­vata a un punto di non ritorno di cui deve adesso assu­mere le con­se­guenze e difen­derne il significato.

Hic Rhodus, hic salta
.
Si tratta di quat­tro ordini di con­se­guenze di primo piano.
Le prime riguar­dano la gestione delle fron­tiere dell’Europa, ma anche il loro tracciato e il loro rap­porto con la sovra­nità nazio­nale. L’accordo di Schen­gen si basava sul pre­sup­po­sto ambi­guo che è pos­si­bile "met­tere in comune" la fun­zione di sor­ve­glianza delle entrate e delle uscite dallo spa­zio comu­ni­ta­rio, con­ti­nuando però al tempo stesso a con­si­de­rare sovrani gli stati, respon­sa­bili degli indi­vi­dui che si tro­vano sul "pro­prio" ter­ri­to­rio, dal punto di vista della sicu­rezza o della pro­te­zione.

Dall’altro canto, l’Unione euro­pea – attra­verso gli allar­ga­menti selet­tivi – aveva cer­cato di man­te­nere con­tem­po­ra­nea­mente sia l’idea che ha voca­zione a incor­po­rare tutte le nazioni euro­pee (almeno all’Ovest di una certa linea di "civilizzazione", di cui si vede tutta la fragilità con la guerra ucraina) che l’idea che que­sta mem­ber­ship com­porta delle "con­di­zioni di ade­sione" da rispet­tare (più o meno rigo­ro­sa­mente). Di qui la situa­zione di enclave ana­cro­ni­stica nella quale si tro­vano oggi alcuni paesi dell’ex Jugo­sla­via (come la Serbia e la Macedonia) che subiscono con forza la pressione dei movimenti dei rifugiati e costi­tui­scono le "porte di accesso" al cuore dell’Europa. Que­sta situa­zione non è teni­bile dal punto di vista sia secu­ri­ta­rio che uma­ni­ta­rio: o i paesi bal­ca­nici ver­ranno incor­po­rati all’Europa come mem­bri a pieno titolo, beneficiando del suo aiuto, oppure l’Europa dovrà abo­lire tutte le pro­ce­dure di sicu­rezza comunitarie, nel momento in cui diventano un problema centrale del suo "governo" .

Ma più in gene­rale (come ho avuto occasione di dire altrove) appa­rirà che l’Europa "non ha" delle fron­tiere nel senso clas­sico: né fron­tiere "fede­rali" né fron­tiere delle nazioni costi­tuenti. Piut­to­sto, è essa stessa una "fron­tiera" di nuovo tipo, pro­prio alla glo­ba­liz­za­zione, un Bor­der­land o un com­plesso di isti­tu­zioni e di dispo­si­tivi di sicu­rezza estesi su tutto il ter­ri­to­rio, per "rego­lare" i movi­menti di popo­la­zioni (in particolare quelli che avvengono tra il "Nord" e il "Sud"), in modo che può essere più o meno discriminatorio, vio­lento, più o meno deciso e con­trol­lato demo­cra­ti­ca­mente. (1)

Di qui la seconda serie di con­se­guenze: quelle che riguardano i regimi migratori che l’Europa cerca di limitare, ma soprattutto di definire, giuridicamente e politicamente, evitando di apparire come un "continente/immigrazione", che è anche una maniera (negativa) di definire se stessa. Lascerò da parte, malgrado il suo interesse, la controversia sollevata dal canale Al Jazeera, quando ha deciso di proibire l’uso del termine "migrante" (2).

JPEG - 318 Kb
Rotte africane

Nella pole­mica in corso sull’instaurazione delle quote per la ripar­ti­zione dei rifu­giati in Europa, la Ger­ma­nia e la Com­mis­sione euro­pea si aggrap­pano con tutte le forze alla distin­zione tra "rifu­giati" e "migranti eco­no­mici". È facile capirlo: lo fanno per con­ci­liarsi l’opinione pub­blica (favorevole ai primi e contraria ai secondi) e per man­te­nere una dif­fe­renza di trat­ta­mento ammi­ni­stra­tivo per chi arriva, senza la quale, appa­re­nen­te­mente, l’unica solu­zione sarebbe di deci­dere l’abolizione delle fron­tiere ("Tur and Tor Offnen", scritto dalla Frankfurt Allgemeine Zeitung) (3).
Non dirò che que­sta distin­zione non ha senso, la prima cate­go­ria defi­ni­sce uno sta­tuto di diritto inter­na­zio­nale, che non riguarda la seconda. (4)
Non c’è difatti uno "sta­tuto del migrante" nel mondo attuale, solamente un trattamento "biopolitico", come direbbe Foucault. Ma è chiaro che la dif­fe­renza è social­mente arbi­tra­ria, poi­ché la mon­dia­liz­za­zione "sel­vag­gia" tende a tra­sfor­mare le zone di pau­pe­riz­za­zione in zone di guerra e reci­pro­ca­mente. Gli abi­tanti fug­gono in massa zone di morte, cor­rendo il rischio di per­dere tutto. Soprat­tutto, biso­gna chie­dersi con quali mezzi, che non siano vio­lenze su grande scala, l’Unione euro­pea potrà attuare una poli­tica di "rin­vio" degli inde­si­de­ra­bili, esclusi dall’"acco­glienza". Que­sto non ha fun­zio­nato a livello indi­vi­duale, da decenni, e non ha nes­suna pos­si­bi­lità di fun­zio­nare a livello di massa. Dove quelli che saranno mandati via come migranti "economici" finiranno tra le reti dei campi di concentramento, trasformandosi in "rifugiati". Un altro dei meccanismi perversi dello stato d’eccezione.

All’opposto delle con­di­zioni di rifu­giato o di migrante "inde­si­de­ra­bile", sballottati tra frontiera e frontiera o da campo a campo. quali pro­spet­tive si aprono per coloro che guerre o mise­ria cac­ciano verso l’Europa e che arri­vano a peri­colo della vita (lasciando molti di loro nel cammino?

Che prospettiva deve offrire loro l’Europa?
Non può essere che l’accesso alla cit­ta­di­nanza euro­pea. Biso­gna quindi che que­sta nozione prenda corpo o esca final­mente dal limbo nel quale è rele­gata dal rifiuto degli stati di aprire la strada alla "sovra­na­zio­na­lità". Dicendo che stiamo assi­stendo a un allar­ga­mento demo­gra­fico della Ue, volevo appunto indi­care que­sta pro­spet­tiva.
Deve essere una pro­spet­tiva rego­lata, nor­ma­liz­zata, ma è ine­lut­ta­bile.
Tutti sanno che i rifu­giati che arri­vano adesso non se ne andranno: non tutti, di sicuro, e non subito. Se non vogliamo creare una nuova popo­la­zione di declassati, esposti a tutte le persecuzioni e alle devianze della marginalità (pensiamo ai Rom, ai "clandestini") o una popolazione di stra­nieri rele­gati in un esi­lio interno per varie gene­ra­zioni (pensiamo ai campi palestinesi in MedioOriente), biso­gna aprire ampia­mente la pos­si­bi­lità di inte­gra­zione, cioè lavoro, diritti sociali e diritti cul­tu­rali eguali. Ma la chiave di tutti que­sti diritti e del loro "legit­timo" pos­sesso, con­tro tutte le stig­ma­tiz­za­zioni raz­zi­ste, è la cit­ta­di­nanza ( o come ho detto anche in altre occasioni la concittadinanza). (5)
Visto che il pro­blema è nuovo su que­sta scala e in questo genere di circostanze (non identificabile a quello degli sfollati della Seconda Guerra Mondiale nè a quella dei rifugiati ungheresi dopo il ’56, ne a quella dei "pieds noirs" franco-algerini dopo il ’62 ..), biso­gna inven­tare nuove moda­lità e nuove pro­spet­tive di accesso alla cittadinanza, spe­ci­fi­ca­mente euro­pee, che per que­sto stesso fatto ne modi­fi­cano la defi­ni­zione.

JPEG - 50.5 Kb
Cittadinanza

Ideal­mente, ne indi­vi­duo due: la prima sarebbe di isti­tuire, accanto all’accesso alla cit­ta­di­nanza euro­pea attra­verso la strada della cit­ta­di­nanza nazio­nale, come esiste oggi (uno è "cittadino europeo" perchè è cittadino francese, tedesco, polacco, greco ...), un accesso diretto a una "nazio­na­lità fede­rale".
Era quello che esisteva (ma per scelta personale) in uno Stato federale come l’ex-Jugoslavia.
Se que­sta pro­po­sta appare troppo sov­ver­siva o rischiosa (perchè contribuirebbe anche a singolarizare i rifugiati e i loro discendenti, mentre nel tempo stesso la nazionalità resta la "carta d’entrata" nella cittadinanza europea per la maggioranza di noi), resta un’altra posi­bi­lità, senza dub­bio migliore : con­si­ste, attraverso una direttiva da imporre agli Stati membri, nel gene­ra­liz­zare lo "jus soli" in tutta l’Ue (prendendo esempio da quello che hanno appena decretato i Greci). (6)
In que­sto modo, l’avvenire dei figli dei rifu­giati sarà garan­tito dall’Europa, e sap­piamo che que­sta pro­spet­tiva è uno dei fat­tori più potenti di inte­gra­zione per gli stessi genitori.
Questo fa parte della "dignità" e della "sicurezza".
Bisognerà evidentemente combinare tutto questo con il riconoscimento generalizzato della doppia nazionalità, perchè la proposta ai rifugiati di integrarsi non implica - salvo per le ossessioni degli xenofobi militanti - che si domandi loro di rompere con la loro storia e i loro paesi d’origine, anche se ne sono stati strappati in maniera traumatica.

In ultimo, la deci­sione "uni­la­te­rale" della Ger­ma­nia di acco­gliere dei rifu­giati, creando lo stato d’emergenza che ci porta all’allargamento "demo­gra­fico", per l’Europa intera com­porta un quarto ordine di "conseguenze" : delle con­se­guenze eco­no­mi­che strut­tu­rali. Si insi­ste sulle pro­spet­tive di tra­sfor­ma­zione del mer­cato del lavoro, che è vero sono importanti, ma si comin­cia anche a par­lare del costo dell’accoglienza e dell’integrazione dei rifu­giati, degli aiuti comu­ni­tari neces­sari per­ché alcuni paesi euro­pei pos­sano far fronte ai com­piti di sal­va­tag­gio, regi­stra­zione e tra­sfe­ri­mento (prima di tutto la Grecia, l’Italia, ed in generale i paesi del Sud del Mediterraneo, che non sono i più ricchi, o che sono stati le principali vittime delle politiche d’austerità) , e delle sov­ven­zioni che costi­tui­scono la logica con­tro­par­tita dell’imposizione delle "quote di accoglienza" (è per questo, logicamente, che l’Ungheria che rifiuta energicamente le quote non vuole neanche le sovvenzioni, ma accetta i fondi di soccorso).

Biso­gna dire che, in realtà, l’apertura dell’Europa ai rifu­giati implica a breve ter­mine un cam­bia­mento di dot­trina e di poli­tica economica che con­trad­dice il suo "regime" attuale. In cifre asso­lute, i rifu­giati rap­pre­sen­tano sol­tanto una pro­por­zione minima della popo­la­zione euro­pea (l’equivalente di una piccola nazione in sè). Ma non hanno niente e saranno ancora a lungo a carico di alcuni comuni, regioni, paesi che non sono pre­pa­rati o fanno fronte essi stessi a reali dif­fi­coltà eco­no­mi­che e finan­zia­rie.
Si vuole suddividere egualmente (o equitativamente) un carico comune tra dei paesi che le politiche d’austerità e di concorrenza hanno spinto verso l’ineguaglianza.
Biso­gna quindi rove­sciare la ten­denza neo­li­be­ri­sta, aumen­tare il bud­get della Ue in modo signi­fi­ca­tivo (a carico comune, budget comune) , avviare un "piano" di inter­gra­zione su scala euro­pea (alloggi, educazione, lavoro), pro­muo­vere la soli­da­rietà tra stati e costruire in comune una nuova società, vegliando in par­ti­co­lare a che l’integrazione dei rifu­giati sul mer­cato del lavoro non avvenga a detri­mento dei "vec­chi euro­pei", o inver­sa­mente - ricetta sicura per disordini sociali e la xenofobia. Ma que­sta pia­ni­fi­ca­zione deve esi­gere (o accellerare) a sua volta dei cam­bia­menti di poli­tica mone­ta­ria, dei pro­gressi nella costru­zione "fede­rale", che pos­sono essere decisi e appli­cati demo­cra­ti­ca­mente, oppure impo­sti tec­nocratica­mente. In quest’ultimo caso fal­li­ranno, nell’altro hanno una spe­ranza di riu­scire. Comin­ce­remo a capire che ci vuole un’altra Europa, per­ché l’Europa possa far fronte ai com­piti che, improv­vi­sa­mente, incom­bono, un’Europa che si "tra­sformi", o che cambi forma politica.

Nulla di tutto ciò, cer­ta­mente, potrà farsi in modo spon­ta­neo, né all’unanimità. Lo stato di emer­genza migra­to­rio ha fatto esplo­dere, sotto i nostri occhi, le con­trad­di­zioni intra-europee masche­rate, bene o male, dall’ideologia dell’"interesse comune" e delle "norme comuni". La pro­spet­tiva di un nuovo allar­ga­mento suscita vio­lente resi­stenze, che ora dopo ora si stanno tra­sfor­mando in un "fronte del rifuto" poli­ti­ca­mente orga­niz­zato. La que­stione mag­gior­mente discussa - a causa del blocco che provoca nei meccanismi "misti" della governance europea, divisa tra una forma pseudo-federale che dona poteri estesi alla Commissione (al meno in apparenza) e una forma confederale in cui l’istanza decisionale è il Consiglio dei governi, dove anche i piccoli stati hanno un diritto di veto - è il fos­sato che si è scavato (o rive­lato) tra la "vec­chia Europa»" (all’Ovest) e la "nuova" (all’Est): sono state pro­po­ste ogni sorta di spie­ga­zioni eco­no­mi­che, cul­tu­rali, sto­ri­che, poli­ti­che, che hanno tutte qual­che per­ti­nenza. (7)
Ma nei fatti, il rifiuto arriva anche dall’Olanda o dalla Dani­marca, non solo dalla Polo­nia o dalla Slo­vac­chia, per non par­lare della Gran Bre­ta­gna o per­sino della Fran­cia, che ha accet­tato solo tar­di­va­mente l’idea di quote vin­co­lanti, sem­pre cer­cando di mini­miz­zarne gli obbli­ghi. In realtà, la divi­sione mag­gior­mente rive­la­trice, quella che separa dav­vero due "Europa", o le due politiche per l’Europa, attra­versa tutti i paesi, anche se con pro­por­zioni e rap­porti di forza diversi.

È certo da sottolineare ("mira­co­loso" (8), dicono alcuni giornali) che gran parte della popo­la­zione tede­sca sia accorsa in soc­corso dei rifu­giati siriani, in una convergenza significativa con la decisione della Cancelliera. Ma è altret­tanto signi­fi­ca­tivo che i capi della Csu, pilastro della sua coalizione di governo e "partito-fratello" della CDU che lei dirige, si siano aper­ta­mente deso­li­da­riz­zati dalla sua poli­tica, arri­vando fino a con­clu­dere una alleanza con Vik­tor Orban, il capo di governo ungherese che erige una barriera ai suoi confini Sud, e che la Frank­fur­ter All­ge­meine Zei­tung abbia pub­bli­cato un edi­to­riale per dichia­rare che "i paesi dell’Est hanno ragione" (9). Dopo la chiu­sura "prov­vi­so­ria" della fron­tiera con l’Austria, gli stessi si ral­le­grano aper­ta­mente per il "passo indie­tro senza pre­ce­denti" della cancelliera, anche se non arrivano fino a chiederne le dimissioni .

JPEG - 47.1 Kb
Frontiere

In realtà, ciò che è in via di costi­tu­zione in Europa è un fronte trans­na­zio­nale del rifiuto dei rifu­giati, di cui i gruppi aper­ta­mente raz­zi­sti e vio­lenti sono sol­tanto la punta estrema e dove l’argomentazione oscilla tra l’utilitarismo ("non abbiamo il posto") e l’idelogia identitaria (un afflusso di mussulmani minaccia di snaturare l’Europa cristiana, o laica, a seconda dei paesi) e securitaria (nacondono tra loro degli jihadisti). Senza dub­bio assi­ste­remo per la prima volta a ciò che finora era sem­pre fal­lito a causa di riva­lità e nazio­na­li­smi: l’emergenza di un "par­tito" xeno­fobo, anti-immigrati e antirifugiati, uni­fi­cato in Europa.
In rea­zione a ciò, l’Europa della soli­da­rietà non potrà evi­tare una lotta poli­tica deter­mi­nata, fondata su nuove alleanze, una lotta che comin­cia con la con­danna intran­si­gente delle vio­lenze con­tro i migranti, e pro­se­gue con la riven­di­ca­zione delle con­di­zioni di acco­glienza, che ho evo­cato prima. È que­sta lotta, se verrà vera­mente fatta, che "tra­sfor­merà" più pro­fon­da­mente l’Unione euro­pea. Ma la vit­to­ria non sarà facile, è il meno che si possa dire.
Da una pro­spet­tiva fran­cese, dove il Fronte nazio­nale ha con­ta­mi­nato tutta la vita poli­tica, pos­siamo dire che sarà molto dif­fi­cile. Ma è ine­lut­ta­bile, poi­ché la "causa dei rifu­giati", se non fa passi avanti nell’opinione pub­blica e nelle isti­tu­zioni, rischia di indie­treg­giare molto in fretta e brutalmente.

Que­sta lotta ha quindi biso­gno di una forte legit­ti­mità: in ogni paese e in tutta l’Unione. Ma la sola legit­ti­mità che, in ultima ana­lisi, sia in misura di inva­li­dare e di neu­tra­liz­zare le resi­stenze, è la legit­ti­mità demo­cra­tica diretta.
Bisogna essere stupefatti, da questo punto di vista, che il Parlamento europeo non abbia ancora deciso di occuparsi della questione dei "rifugiati" e della "sfida migratoria europea" o che non ne sia stato costretto dal capi di Stato dei governi, o dalla Commissione. A tal punto che bisogna chiedersi se queste istanze vogliano veramente attuare con le forme della politica che indicano.
Perchè senza dubbio si può essere sicuri che un dibattito al Parlamento europeo darebbe alle forze xenofobe, che vi sono rappresentate, l’occasione di esprimersi , di unirsi, di misurare la loro influenza al di là dell’estrema destra.
Ma si può essere ugualmente sicuri che si comincerebbe con una cacofonia, se non addirittura con un regolamento di conti tra partiti e paesi ...
Ma sarebbe anche l’occasione per l’Europa della solidarietà e i suoi dirigenti di portare al livello politico i sostegni di cui beneficerebbero nell’opinione pubblica, di tracciare delle linee di demarcazione necessarie, e di proclamare l’unità delle volontà dei popoli europei nella costruzione del futuro.

Aggiungiamo, per tornare un’ultima volta all’aspetto "tedesco" (o piuttosto euro-tedesco) della questione attuale che que­sta legit­ti­ma­zione demo­cra­tica è il solo modo per per­met­tere alla Ger­ma­nia di pas­sare dall’iniziativa uni­la­te­rale, imposta dalle coircostanze e favorita dalla sua "moralità" (10), alla soli­da­rietà comu­ni­ta­ria, senza la quale, mal­grado la sua ric­chezza e deter­mi­na­zione, non potrà riu­scire.
È sto­ri­ca­mente deci­sivo che, per la prima volta dopo la riu­ni­fi­ca­zione degli anni Novanta, la Ger­ma­nia abbia di nuovo biso­gno della soli­da­rietà di altri paesi euro­pei, a cui non può "dettare" niente: que­sta volta, però, non ne ha biso­gno solo per se stessa, ma nell’interesse di tutti. È una carat­te­ri­stica del "momento euro­peo" ecce­zio­nale che stiamo vivendo.

Tratto da blogs.mediapart.fr

Foto di copertina di Carlos Latuff che sarà a Bologna il 7 ottobre e a Padova il 12 ottobre con Oblò

[1] Etienne Balibar : L’Europe-frontière et le « défi migratoire », Vacarme, octobre 2015 (version anglaise : « Borderland Europe and the Challenge of Migration » https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/etienne-balibar/borderland-europe-and-challenge-of-migration)

[2] http://www.aljazeera.com/blogs/editors-blog/2015/08/al-jazeera-mediterranean-migrants-150820082226309.html

[3] 11-09-2015.

[4] Danièle Lochak : http://bondyblog.liberation.fr/201506100001/daniele-lochak-il-faut-supprimer-le-dispositif-dublin-mais-il-faut-surtout-supprimer-frontex/#.Vfbt8pcYF2A[5] E. Balibar : « Sujets ou Citoyens ? Pour l’égalité » (1984), réédité dans Les frontières de la démocratie, La Découverte, Paris 1992.

[6] 19 Etats européens sur 33 ont aujourd’hui adopté le ius soli : http://eudo-citizenship.eu/docs/ius-soli-policy-brief.pdf

[7] Voir par exemple Jacques Rupnik : « Migrants : L’autre Europe face à ses contradictions », Le Monde 02.09.2015.

[8] « Das deutsche Wunder », par Josef Joffe, Die Zeit, n° 37, 12 septembre 2015.

[9] « EU-Flûchtlingspolitike : Osteuropa hat recht », par Karl-Peter Schwartz, FAZ, 11-09-2015.

[10] Giannis Varoufakis : “On German Moral Leadership” – English version of op-ed in Sunday’s FAZ, http://yanisvaroufakis.eu/2015/09/14/on-german-moral-leadership-english-version-of-op-ed-in-sundays-frankfurter-allgemeine-zeitung/

CSV di Padova

Sito realizzato grazie al
finanziamento del CSV
di Padova

Credits

Sito creato con SPIP da Ipse Digit s.c.