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Ruta Inka è un’organizzazione che quest’anno ha compiuto i suoi 15 anni. Si tratta di una spedizione tre le terre del sud America con vocazione di università itinerante per preservare la saggezza ancestrale dei popoli del sud america. Tanti i giovani provenienti da vari paesi del mondo che quest’anno ne hanno fatto parte: tra questi, Mariem Mejiri, 25 anni, di Tunisi, da sempre vicina ai movimenti e le organizzazioni della sinistra radicale in Tunisia, ha partecipato alla Ruta Inka tenutasi questa estate ed è stata nominata responsabile per le relazioni pubbliche di questa organizzazione. Di seguito ha risposto ad alcune domande.
Cosa è la Ruta Inka e quando è nata? Quali sono i suoi obiettivi?
Ruta Inka è una organizzazione senza scopo di lucro riconosciuta da molte autorità comunali e regionali indigene in Bolivia, Perù ed Ecuador come loro Ambasciata culturale nel mondo. Nasce nel 2000 e, da allora, ha organizzato 11 spedizioni, o come le chiamiamo noi, avventure accademiche, con la partecipazione di 900 studenti provenienti dai cinque continenti del mondo intero. Questi studenti hanno viaggiato presso l’ Abya Yala (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, El Salvador, Guatemala e Messico) visitando le riserve indigene ed i santuari archeologici , apprendendo la cultura ancestrale e la saggezza. L’obiettivo principale della Ruta Inka è quello di sostenere la causa indigena in tutti i suoi aspetti socialmente, culturalmente ed a favore dell’ambiente. Dalla difesa della foglia di coca come una pianta sacra di uso rituale e medicinale fino alla sensibilizzazione circa la Pachamama (Madre Terra) e la necessità di vivere in armonia con essa, Ruta Inka è a sostegno delle popolazioni indigene al fine di sostenere la loro battaglia.
Qual è stato il percorso e le attività che hanno caratterizzato la Ruta Inka del 2015? Chi ha partecipato? Quali i prerequisiti per prenderne parte?
La spedizione del 2015 è stata organizzata in onore del Qhapaq Ñan. Infatti dal 2000, abbiamo fatto una grande campagna per l’Inca Road che, il 21 giugno del 2014, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, in riconoscimento di una richiesta presentata da parte dei governi di Bolivia, Argentina, Colombia, Cile , Ecuador e Perù. Questa spedizione è stata una celebrazione di questa vittoria e segue vari percorsi della rete stradale Inca Qhapaq Ñan. L’inaugurazione ha avuto luogo il 21 giugno a Copacabana, dove abbiamo partecipato alla celebrazione del nuovo anno Aymara nella Horca del Inca. Abbiamo visitato i dipartimenti boliviani di La Paz, Potosí e Chuquisaca, incontrando le persone indigene e partecipando ai loro riti e feste, visitando i più importanti siti archeologici e le miniere, nonché la regione peruviana di Puno, Arequipa, Cusco e il comune di Machu Picchu, dove un cantante ed ex partecipante di Ruta Inka, Ariel Benitez, ha partecipato con la sua band la Cruz del Sur (Croce del Sud) all’inaugurazione del festival della Pachamama che si tiene ogni 1 agosto, giorno della Pachamama. I partecipanti sono studenti selezionati in riconoscimento della loro eccellenza accademica, la loro leadership, la tolleranza, la capacità di affrontare le sfide e partecipare alle attività intense, ma soprattutto, la loro identificazione con le culture indigene e la loro disponibilità a servire i popoli indigeni. Per la Ruta Inka 2016, che sarà composta da 4 spedizioni sotto la guida del Presidente Evo Morales e il sostegno del suo governo e delle forze armate della Bolivia, i partecipanti devono presentare un manoscritto elaborato su uno di questi due argomenti: "Madre Terra: il bisogno della sua protezione per la conservazione della vita ’e "Popoli indigeni e la difesa dei loro diritti da parte delle Nazioni Unite".
Partendo dall’esperienza della Ruta Inka e spingendosi su considerazioni più generali, come vedi la situazione degli indigeni oggi in Sud America? Come può un’iniziativa come la Ruta Inka aiutare a capire e preservare la cultura indigena?
Dal momento che ho visitato solo Bolivia e Perù, io non sono nella posizione migliore per parlare della situazione in tutto il Sud America. Infatti, le circostanze di ciascun popolo sono uniche. Bolivia e Perù, per esempio, pur avendo entrambi i presidenti indigeni, presentano casi distinti. Nello stato plurinazionale della Bolivia, e grazie alle leggi anti-razzismo, i popoli indigeni stanno partecipando alla vita politica ed economica a tutti i livelli. La nuova costituzione riconosce l’autonomia indigena garantendo forme comuni ancestrali di organizzazione e il diritto di gestire la loro terra e le risorse naturali. Riconosce il Wiphala (ancestrale bandiera andina ed emblema della resistenza) come simbolo dello stato, a fianco della vecchia bandiera nazionale, così come 36 lingue autoctone come lingue ufficiali. La crescita economica sotto il governo di Morales ha permesso che milioni di boliviani e soprattutto indigeni emergessero dalla povertà. Il paese è libero dall’analfabetismo e la cura sanitaria è totalmente gratuita. In Perù tuttavia, Humala non ha fatto alcuna modifica strutturale che colpisce l’oligarchia. Molte promesse elettorali, come l’istituzione di una legge generale del lavoro, una tassa sui profitti delle società minerarie, una zonizzazione ecologica del paese e una legge di consultazione delle comunità (indigena in generale) che risentono dell’impatto dei progetti minerari, non sono state mantenute. Inoltre, quasi la metà della popolazione indigena non ha alcun tipo di assicurazione sanitaria e l’analfabetismo è ancora elevato tra le popolazioni indigene e delle donne (in particolare quelle indigene). Questo porta a credere che il cambiamento in Bolivia non è stato possibile a causa della semplice appartenenza del presidente ad una certa etnia, ma piuttosto per il modello politico adottato e che taglia i legami con le vecchie politiche coloniali e liberali, combinando un interessante socialismo indigenismo. Anche se credo fortemente che un cambiamento possa essere raggiunto solo da una volontà politica, credo che un’organizzazione come Ruta Inka possa aiutare convocando giovani ambasciatori dei popoli indigeni, che possono costruire rapporti proficui di amicizia, cooperazione e scambio culturale con il paese di origine. Come parere personale, penso anche che Ruta Inka stia partecipando al processo di decolonizzazione. Durante le molte conversazioni che ho avuto con i boliviani, ho incontrato un uomo che ha espresso la sua opposizione alla politica di Evo Morales e quando gli ho chiesto il motivo, egli ha risposto che Morales stava riconoscendo "troppi diritti" ai popoli indigeni. Quell’uomo era un indigeno, dall’aspetto realmente indigeno. Io non voglio dire che le popolazioni indigene non hanno stima per la loro cultura millenaria, tutto il contrario, visto che indossano i loro costumi folkloristici e parlano la propria lingua madre mostrando con orgoglio la loro cultura; dico solamente che ci sono ancora alcuni resti di epoca coloniale che colpiscono alcune persone. Tuttavia, osservando decine di giovani stranieri che prendono interesse per la loro cultura, il loro modo di vivere, non partecipando come semplici turisti, ma come studenti desiderosi, la Ruta Inka può contribuire a sradicare le mentalità ereditate che tendono a immaginare le culture “primitive” come più deboli di quelli moderne.