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Per raccontare la Tunisia di oggi, stretta tra autoritarismo ed integralismi, non si può far a meno di inserire un altro pezzo nel puzzle. La Tunisia è terra di emigrazione ma oggi è anche luogo in cui arrivano, sospinti da conflitti, diseguaglianze economiche e devastazioni ambientali, migliaia di uomini e donne.
La vicenda che ci narrano gli articoli di Martina Tazzioli e Sana Sbouai ci fanno capire quel che succede nel Paese dei gelsomini e ci portano ad ampliare lo sguardo per comprendere i drammi e le ipocrisie ufficiali che stritolano le vite di migliaia di uomini e donne.
In Tunisia rifugiati tra carcere e deportazione
di Martina Tazzioli
Ore cinque del mattino, 1 settembre, Tunisi. A dare la notizia al telefono è uno dei rifugiati del campo di Choucha, al confine con la Libia: «Ci stanno portando al confine con l’Algeria, ci mollerano nel deserto, siamo…». Poi la chiamata si interrompe, uno dei poliziotti, probabilmente strappa di mano il telefono a O.; da quel momento per tutta la mattina si perdono le tracce dei dieci ragazzi, nigeriani e sudanesi, da una settimana detenuti nella prigione di Wardia a Tunisi per aver protestato di fronte alla delegazione dell’Unione europea chiedendo di essere trasferiti in Europa, e che i funzionari UE hanno lasciato arrestare dalla polizia tunisina. Poi un sms dopo qualche ora: «La polizia ci ha lasciato alla frontiera algerina, vicino Kasserine».
Mentre l’Unione europea si appresta a passare alla fase due della missione militare Eunavfor e firma accordi bilaterali con i paesi africani per bloccare le partenze dalla Libia, la Tunisia, una pre-frontiera d’Europa particolarmente cruciale in questo momento vista la prossimità geografica con la Libia, arresta e deporta verso l’Algeria rifugiati e richiedenti asilo. La costruzione delle pre-frontiere europee comincia anche lasciando che i cosiddetti «paesi terzi» «gestiscano» a loro modo migranti e rifugiati, non importa se bloccandoli nel deserto di Choucha per quattro anni o deportandoli nel deserto algerino.
Questo è quanto accade in Tunisia, Paese che pur avendo firmato la Convenzione di Ginevra a oggi non ha ancora una legge sull’asilo; e questo fa sì che anche coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale dall’Alto Commissariato per i Rifugiati possano essere arrestati e detenuti, rischiando di essere poi deportati nel deserto algerino. Rifugiati illegalizzati dalle autorità tunisine per i quali sono semplicemente migranti irregolari sul territorio. O richiedenti asilo che, come le dieci persone deportate ieri mattina nel deserto algerino, erano stati illegalizzati (la non concessione del diritto d’asilo li ha trasformati in migranti irregolari sul territorio tunisino) nel 2012 dall’Unhcr, che come a molti altri in fuga dalla Libia e arrivati al campo di Choucha, sono stati diniegati della protezione internazionale.
L’Unione europea ormai verso l’esternalizzazione della crisi a «paesi terzi»
Se da un lato la Tunisia ha finora sempre resistito alla pressione dell’Ue rivolta a costruire campi e strutture detentive finanziati dall’Europa, dall’altro la «gestione» dei migranti provenienti dalla Libia realizza in parte quello che i paesi europei si aspettano, ovvero fare in modo che questi, in un modo o nell’altro, non arrivino sull’altra sponda del Mediterraneo. La prigione di Wardia, situata in quartiere periferico di Tunisi con lo stesso nome, è uno dei luoghi, inaccessibile alla maggior parte degli avvocati, che il governo tunisino utilizza per far sparire i richiedenti asilo dal territorio. A Wardia però sia l’Alto Commissariato per i rifugiati che l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) possono accedere, ma non risulta che le due organizzazioni abbiano riportato cosa accade all’interno, e soprattutto non vengono seguite le tracce di chi da Wardia improvvisamente scompare. Una volta arrestati e portati a Wardia, i rifugiati vengono minacciati dalla Garde Nationale tunisina di essere deportati in Algeria nel caso in cui ad acquistare con i propri mezzi economici un biglietto aereo per fare ritorno nel proprio Paese di origine.
Tra loro vi sono anche famiglie di siriani, a cui la Tunisia non ha concesso un permesso di soggiorno né una protezione umanitaria. A Wardia finiscono anche coloro che arrivano dal mare: di fatti, in questo momento con l’inasprimento dei controlli alla frontiera libica e la costruzione in corso del muro pianificata dal governo tunisino, in Tunisia arriva solo chi viene soccorso dalla Guardia Costiera tunisina nel tentativo di arrivare in Europa dalla Libia. «Sulla nostra imbarcazione, partita dalla città di Zwhara, eravamo 97 eritrei, e molti come me avevano già ottenuto l’asilo politico. Al largo della Tunisia siamo stati salvati dalle autorità tunisine», racconta R., rifugiato eritreo «ma poi giunti nel porto di Zarzis 60 di noi sono stati portati a Wardia, dove siamo rimasti un mese». Senza alcuna giurisdizione che ne regolamenti il funzionamento, Wardia resta un luogo rispetto a cui non è possibile avere numeri su chi entra e chi esce. E alla totale opacità di questa prigione va ad aggiungersi anche l’invisibilità di altri centri detentivi per migranti, il cui numero sembra oscillare tra dieci e tredici, sparsi nel Paese. Centri di cui ha dato nota il dossier redatto nel 2013 dall’Alto commissario per i Diritti Umani dell’Onu François Crepeau e di cui parlano molti migranti in Tunisia.
Dal 2011 lo spazio-frontiera tunisino è diventato paese di transito ma anche, sempre piú, paese di «immigrazione involontaria»: in effetti, molte delle persone in fuga dalla Libia restano intrappolate in Tunisia in un limbo giuridico che impedisce loro di procedere in qualunque direzione. Con le molte domande di asilo diniegate dall’Unhcr, che trasforma dunque richiedenti asilo in migranti irregolari sul territorio tunisino, e a fronte dell’impossibilità per chi ottiene la protezione di essere regolarizzato dalle autorità tunisine, per molte e molti migranti arrivati in Tunisia, i muri della prigione di Wardia non sono gli unici: il rifiuto dei paesi europei di garantire il resettlement ai pochi rimasti al campo di Choucha, l’assenza di una legge sull’asilo e la tassa di 80 euro mensili per ogni mese trascorso da irregolare da pagare per rientrare nel proprio Paese di origine sono solo alcuni degli ostacoli che bloccano i rifugiati in Tunisia.
E il governo tunisino cerca d’altro canto di risolvere il problema delle presenze non volute disperdendo i migranti sul territorio ed effettuando deportazioni nel deserto algerino, sempre piú frequenti nell’ultimo anno, senza che peraltro vi sia un accordo tra i due Paesi.
Con l’invisibilizzazione politica dello spazio-frontiera tunisino, certamente defilato rispetto ai riflettori puntati in questo momento sulla sponda nord e sui numeri di sommersi e salvati nel mare Mediterraneo che scandiscono i picchi di attenzione mediatica, diventa difficile parlare dei «piccoli numeri» che attualmente caratterizzano il contesto migratorio della Tunisia. Non solo, guardando alle prigioni segrete tunisine esclusivamente attraverso il metro del rispetto dei diritti umani si rischierebbe di corroborare la narrazione dell’Unione europea, pronta a firmare accordi con dittature africane come quella eritrea e insieme a condannare l’inottemperanza dei paesi terzi nei confronti degli standard internazionali umanitari. Tanto piú che in questo momento gli stati europei stanno dando prova di mettere in atto ovunque vere e proprie cacce ai migranti.
Il dossier pubblicato dal sito Storiemigranti, Rifugiati in Tunisia: tra detenzione deportazione, frutto di un lavoro di ricerca possibile attraverso le testimonianze raccolte in diretta telefonica con rifugiati detenuti a Wardia. E questo dossier guarda alla Tunisia per mostrare e contestare gli effetti delle politiche di esternalizzazione dell’Unione europea che, direttamente stringendo accordi con i paesi terzi, o indirettamente lasciando che siano questi a gestire a loro modo il «problema», cerca di moltiplicare le proprie pre-frontiere.
Tratto da Il Manifesto 2 settembre 2015
Sullo stesso tema vedi il contributo del 1 agosto di Martina Tazzioli in Tutmonda
Tunisia: espulsione di migranti alla frontiera algerina
Sana Sbouai
Detenuti al Cento di accoglienza e orientamento di Ouardhya per 9 giorni, un gruppo di migranti si ritrova espulso e abbandonato alla frontiera algerina dalle autorità tunisine
“Ci hanno portato alla frontiera algerina. Ci hanno portato di forza verso l’Algeria."
Bright Samson, che è scappato dalla guerra in Libia nel 2011 e che da quel momento vive nel campo di Choucha, chiama alle 11h di mattina e conferma che con altri 12 migranti, tutti detenuti al centro di accoglienza e orientamento di Ouardhya, si trovano in strada verso la frontiera algerina per l’espulsione. Al momento della chiamata, Bright sostiene che si trovino in una foresta, nel governatorato di Kasserine, vicino Feriana.
Per ascoltare la telefonata di Bright: https://inkyfada.com/2015/09/expulse-frontiere-migrant-algerie-ouardiya-tunisie/
Pronto?
Sì, qualcuno ha provato a chiamato a chiamarmi da questo numero.
Bright?
Si.
Sono Sanaa.
Ci hanno portato alla frontiera algerina. Ci hanno portato di forza verso l’Algeria.
Dove sei?
Alla frontiera algerina.
Sei alla frontiera algerina? In quale città?
Non lo so.
Ti richiamo.
Qualche ora prima, alle 6.30, ha avvertito Martina Tazzioli, ricercatrice italiana presente a Tunisi, informando che dalle 5.30 h del mattino, lui e altri 12 migranti sarebbero stati caricati a bordo di due furgoni della polizia, in cammino verso una destinazione sconosciuta e che non riconoscono la solita strada che conduce a Choucha.
Detenuti da fine agosto
Bright Samson era detenuto al centro di accoglienza e orientamento di Ouardhya dal 24 agosto. Era arrivato in Tunisia nel 2011, dopo essere scappato dalla guerra in Libia. “Diniegato” dallo statuto di rifugiato, si è ritrovato in Tunisia senza riconoscimento legale, come numerosi altri migranti in fuga dallo stesso conflitto e abbandonati alle loro sorti in una terra di nessuno: l’UNHCR ha dichiarato chiuso il campo nel giugno del 2013 e le autorità tunisine non hanno mai rilasciato i permessi di soggiorno che avevano promesso.
Lunedì 24 agosto 10 migranti si sono riuniti davanti la sede dell’Unione Europea a Tunisi. Rivendicano di essere reinstallati in Europa. “La polizia ci ha detto di venire al commissariato di polizia perché qualcuno dell’UE avrebbe voluto parlarci. Non appena arrivati, ci hanno arrestati” testimonia Bright.
I 10 manifestanti sono stati condotti al Centro di accoglienza e orientamento di Ouardhya. Li abbiamo contattati durante la detenzione e confermano di non aver potuto beneficiare dell’assistenza giuridica.
Nessun contatto con il loro avvocato
“Tunisie Terre d’Asile”, organizzazione di assistenza agli stranieri in Tunisia e specializzata nell’offrire un accompagnamento giuridico ai migranti detenuti, spesso in applicazione di una decisione di espulsione, tenta di inviare un avvocato per rappresentare il gruppo.
Citiamo:
“Le persone ci hanno contattato da Wardhya e con il loro accordo abbiamo mobilitato una avvocatessa per avere maggiori informazioni sulla procedura, sulle ragioni della detenzione e per verificare l’esistenza di una decisione di stato di arresto e una procedura di espulsione in corso”, spiega Anais El Bassil, responsabile della sezione tunisina.
L’avvocatessa Samia Djellassi, non riuscirà ad avere accesso ai documenti e si vedrà rifiutare il diritto di accesso al centro. Avrà conferma dal commissariato dell’arresto dei migranti per la situazione irregolare sul territorio, ma non potrà garantire loro l’assistenza. “Esiste una convenzione con il Ministero della Giustizia, gli avvocati possono visitare carceri e commissariati. Ma nessun accordo per i centri di detenzione, che dipendono dal Ministero degli Interni. Ho cercato di visitare i migranti come membro del team nazionale dei monitori dei luoghi di detenzione, ma non ho avuto risposte”, testimonia Semia Djelassi.
Dopo la detenzione, l’espulsione
A Ouardhya i migranti temono di essere riportati a Choucha, nonostante il campo si trovi in zona militare, considerata pericolosa perché frontaliera con la Libia o di essere espulsi alla frontiera algerina.
E’ quello che è successo alla fine martedì 01 settembre, 9 dei 10 manifestanti e 4 altri migranti detenuti a Ouardhya sono stati espulsi alla frontiera.
Poco tempo dopo lo scambio telefonico di stamattina, il gruppo di migranti è stato obbligato ad attraversare la frontiera algerina:
“Le forze dell’ordine tunisine ci hanno picchiato con dei bastoni e ci hanno minacciato: ‘se tornate indietro vi spariamo”. E’ incredibile! Perché questo trattamento? Perché tanta violenza?” Chiede Bright.
Spiega che quindi sono passati dal lato algerino e che si sono ritrovati vicino ad un posto di frontiera dove hanno richiesto alle forze dell’ordine algerine in loco la loro localizzazione: posto di frontiera di Bouchebka, al limite del governatorato di Kasserine.
Il gruppo di nove di Chouha decide di rimanere vicino al posto di frontiera, dopo aver spiegato la loro situazione alle forze dell’ordine algerine:
“Noi vogliamo che le autorità tunisine prendano le loro responsabilità.”
Il gruppo composto dagli altri quattro migranti decide invece di restare sul territorio algerino.
Le autorità tunisine silenziose
Interrogato qualche giorno fa sulle possibili espulsioni alle frontiere algerine o libiche, il portavoce del Ministero dell’Interno, Walid Lougini, si accontenta di abbozzare una smorfia incredula.
Alla caserma della guardia nazionale di Al Aouina, il portaparola, colonnello Tarek Amraoui prende più seriamente la questione, ma si stupisce allo stesso modo della possibilità di espulsioni di migranti alle frontiere. Risponde che l’unico a potersi esprimere sulla questione è il direttore del centro diOuardhya, al momento in “missione di lavoro”. Rimanda quindi verso la Direzione della sicurezza pubblica che tenta di contattare a più riprese ma senza successo.
Se la possibilità delle espulsioni alle frontiere, in zone desertiche (del sud), pericolose o zone militari (Kasserine) desta scetticismo, le testimonianze di Bright e Othman e degli altri migranti, le varie chiamate e conversazioni lungo il tragitto oggi non lasciano più spazio a dubbi.
La Tunisie expulse des migrants à ses frontières
Queste testimonianze non sono le prime. In aprile scorso, tre ricercatrici italiane hanno pubblicato “Rifugiati in Tunisia: tra detenzione e deportazione”, un dossier preparato da Glenda Garelli, Federica Sossi, Martina Tazzioli.
Martina Tazzioli spiega: “In autunno 2014 un migrante ci ha chiamato un migrante per chiederci aiuto per un amico detenuto a Ouardhya. Abbiamo contattato questo migrante per telefono e abbiamo regolarmente discusso con lui durante la sua detenzione, oltre che con altri migranti.”
Il rapporto mette in luce le condizioni di detenzione, l’assenza di accompagnamento giuridico, la diversità della popolazione detenuta, ma soprattutto delle procedure per poter uscire dal centro: pagando il proprio biglietto aereo o rischiando un’espulsione.
Inkyfada ha tentato dal mese di aprile di avere delle risposte da parte del Ministero degli Interni su questa tematica. L’evento di oggi ci ha obbligato a pubblicare anche in mancanza di risposte chiare da parte delle autorità.
In quale quadro avvengono le espulsioni?
Se la legge tunisina parla di espulsione relativamente alla sanzione per un soggiorno o per una entrata irregolare sul territorio, perché dei migranti di nazionalità altre da algerina e libica e provenienti da paesi terzi vengono poi espulsi verso l’Algeria o la Libia?
Al Ministero degli Interni ci rimandano verso il Ministero degli Affari Esteri per verificare l’esistenza di una eventuale convenzione. Il responsabile della comunicazione è assente e nessun altro sa rispondere a questa domanda.
Sembra che i migranti autorizzati a entrare sul territorio algerino senza visto, secondo gli accordi bilaterali, vengono inviati alle frontiere. Una maniera di fargli abbandonare il territorio tunisino, nel quale si troverebbero in situazione illegale, e di farli entrare in territorio algerino, nel quale non hanno bisogno di visto.
“Nessuno vi ha detto chiaramente che i migranti sono inviati alle frontiere. E’ imbarazzante dirlo. Non sono stata informata direttamente del fatto che erano stati deportati e peraltro nessuno ve lo dice, gli crea dei problemi, da un punto di vista legato ai diritti umani ammettere che fanno questo significherebbe dire: “Vogliamo sbarazzarcene”. Che possono fare i migranti se li abbandoni alle frontiere?”, s’interroga Djellassi.
Bright, Otham e gli altri si pongono la questione. Oltre ad essere stati deportati si ritrovano attualmente senza risorse, vicino ad una zona militare, dove l’esercito è presente e limita i movimenti per ragioni di sicurezza.
Tratto da www.tunisiainred.org
Articolo originale è apparso il 1 settembre 2015 :https://inkyfada.com/2015/09/expulse-frontiere-migrant-algerie-ouardiya-tunisie/ -
Traduzione dal francese a cura di Debora del Pistoia