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Storicamente rilegata ai geopolitici margini del mondo arabo-islamico, negli ultimi quattro anni la Tunisia si è affacciata da protagonista sul panorama mediorientale per aver ospitato la prima tra le sollevazioni popolari arabe del 2011.
Con la fuga dal paese del dittatore Zine el-Abidine Ben Ali (gennaio 2011), l’elezione di un’Assemblea Costituente (ottobre 2011), l’approvazione di una nuova Costituzione (gennaio 2014) ed il regolare svolgimento delle elezioni politiche e presidenziali (ottobre-dicembre 2014), il piccolo paese nordafricano ha inoltre intrapreso il (difficile) cammino verso la democrazia.
L’aria che si respira tra le strade di Tunisi, tuttavia, ha un odore diverso da quello che ci si aspetterebbe. Un crescente malcontento ha progressivamente fatto scemare l’entusiasmo dei tunisini per la propria rivoluzione: il peggioramento della sicurezza, il calo del turismo e l’aumento del tasso di disoccupazione hanno infatti portato ad un abbassamento del loro tenore di vita.
Nei mesi successivi alla capitolazione del regime di Ben Ali, buona parte della popolazione si è trovata così a domandarsi se i traguardi raggiunti fino ad oggi siano proporzionati al prezzo che stanno pagando per la libertà.
A contribuire al generale scetticismo, i governi che si sono alternati sino ad oggi hanno risposto in più occasioni alle pretese di volta in volta avanzate dalla popolazione con provvedimenti ambigui e talvolta contraddittori.
Una premessa necessaria per comprendere la rabbia e lo sgomento con cui la popolazione ha accolto, lo scorso 29 aprile, la notizia dell’uccisione di Sofiene Chourabi e Nadhir Guetari.
Giornalisti del canale privato First TV, i due erano noti per la propria attività di dissidenti politici portata avanti nel corso del regime di Ben Ali (in particolare Chourabi, autore del blog di denuncia alla dittatura Tunis Akhra Mumkin, era stato uno degli organizzatori delle prime manifestazioni ascrivibili alla rivoluzione).
I due giornalisti si erano recati in Libia nel settembre 2014 per realizzare un reportage per conto del programma Doussiyat; rapiti il 3 settembre nella città di Ajdabiya, sono stati liberati il 7 settembre e, come riportato dall’account di Facebook del ministero degli Affari Esteri tunisino, nuovamente sequestrati il giorno successivo.
Stando al sito di informazione Bawabat al-Wasat – che ha reso nota la notizia ancor prima del governo di Tripoli –, le autorità libiche sarebbero entrate in possesso dell’informazione della morte di Chourabi e Nadhir durante un interrogatorio ad alcuni membri di una cellula terroristica; questi ultimi avrebbero confessato di aver ucciso nella città di Derna i due, ed altri sei giornalisti di un canale libico.
Dopo un’iniziale smentita della notizia (il 29 aprile il ministro degli Interni tunisino Gharsalli aveva telefonato ai genitori dei due ragazzi per rassicurarli sul loro stato di salute), le autorità tunisine hanno mantenuto il più totale silenzio sulla vicenda, incaricando il proprio Console in Libia di guidare una missione diplomatica per fare chiarezza sull’accaduto.
Nel pomeriggio del 1 maggio, gli amici e i parenti delle vittime ed un centinaio di attivisti si sono allora incontrati presso Avenue Bourguiba, organizzando un presidio e successivamente spostandosi dinnanzi al ministero dell’Interno.
La principale richiesta avanzata dai manifestanti al governo, come ci ha spiegato il portavoce del Syndicat National des Journalistes Tunisiens Mehdi Glafy, è stata quella di fare chiarezza sull’accaduto.
“Il fatto che il governo ad oggi non abbia ancora confermato o smentito ufficialmente la morte dei due giornalisti è vergognoso. Pretendiamo che le autorità spieghino cosa è successo e che prendano le dovute misure per identificare i rapitori di Sofiene e Nadhir [..]. Quello che sta accadendo in questi giorni conferma quanto da noi affermato da settembre ad oggi, e cioè che la nostra diplomazia si sia interessata solo superficialmente al rapimento dei due giornalisti [..]. In passato altri cittadini tunisini sono stati rapiti in Libia, e le autorità si sono mosse immediatamente e con più efficacia per ottenerne la liberazione”, ci ha spiegato.
Dopo aver lanciato in rete una petizione (qui la traduzione in italiano curata dal sito Tunisia in Red), alcuni attivisti hanno inoltre organizzato un nuovo presidio il 5 maggio avanti al museo del Bardo: il presidente del Parlamento Mohamed Ennaceur ha ricevuto una delegazione di una decina di persone. Tra loro anche l’attivista e giornalista del blog Nawaat Henda Chennaoui.
“Il presidente del Parlamento” ci ha detto Chennaoui al termine dell’incontro “ha deciso che l’Assemblea incaricherà una commissione di investigare sul rapimento dei due giornalisti. Dobbiamo aspettare dunque ancora una settimana per vedere cosa decideranno di fare”.
Sebbene il rapimento e l’uccisione di Chourabi e Guetari non siano direttamente imputabili al governo tunisino (soprattutto considerando il caos di cui è teatro la Libia dal 2011), non c’è dubbio che la gestione della vicenda non sia stata delle migliori.
Basti pensare che, ad oggi, le autorità di Tunisi non sono ancora state in grado di indicare quale sia stato il gruppo terroristico ad aver sequestrato ed assassinato i due giornalisti; nessuna critica è stata mossa inoltre al governo di Tripoli, che ha informato degli eventi un sito di informazione locale prima ancora delle autorità tunisine.
Discutibile appare anche la decisione del governo di non commentare la vicenda. Tale strategia era stata bersaglio di forti critiche già nel gennaio 2014, quando nessun commento era stato dato dalle autorità tunisine sulla rivendicazione – poi rivelatasi falsa – dell’uccisione di Chourabi e Guetari che un gruppo armato libico aveva pubblicato su Internet il precedente 8 gennaio.
Dopo aver fissato al 7 maggio la data per la prima conferenza ufficiale sull’accaduto, il governo – che avrebbe dovuto illustrare i risultati della missione diplomatica – ha rinviato dapprima al giorno successivo e poi a data da destinarsi l’incontro con la stampa.
10 Maggio 2015
Luigi Giorgi da Tunisi