In questo articolo si parla di:
E’ arrivato al quarto giorno il seminario prmosso dall’EZLN ed in corso a San Cristobal in Chiapas, al CIDECI- Unitierra.
Prima giornata
Seconda giornata
Terza giornata
Raccolta articoli
La mattina, con gli interventi di Gilberto López y Rivas, Immanuel Wallerstein, Pablo González Casanova, Salvador Castañeda, Michele Lowy si è chiusa con un appassionato discorso del Subcomandante Moises dedicato alla resistenza autonoma contro le provocazioni del governo e la guerra tra indigeni in cui si vorrebbe far cadere gli zapatisti.
INTERVENTO DEL COMANDANTE MOISES DA ENLACE ZAPATISTA
Il pomeriggio l’intervento di apertura di Havin Güneser, Kurdish Freedom Movement, ha portato al seminario l’esperienza di lotta curda in particolare delle donne in prima fila nella resistenza. Hanno poi parlato Karla Quiñonez, Mariana Favela, Silvia Federici (intervento scritto), Márgara Millán e Sylvia Marcos. La parola è passata a tre generazioi di zapatiste: la Comandanta Miriam, la Comandanta Rosalinda, laComandanta Dalia e le giovani Compañera base de apoyo Lisbet insieme a Compañera escucha Selena.
A chiudere il supGaleano che ha dedicato il suo intervento alle donne "che combattono anche contro di noi, gli uomini oltre a dover combattere il potere" e che ha chiuso ringraziando tutte le donne che lottano.
INTERVENTI DELLE COMPAGNE ZAPATISTE
AUDIO INTEGRALI DA RADIO ZAPATISTA
CORRISPONDENZE DA RADIO POZOL
“Non ammazeremo un altro indigeno, per la manipolazione del governo, vogliamo la vita” subcomandante Moisés.
San Cristóbal de las Casas, Chiapas. 6 maggio.
“Non ammazeremo un altro indigeno, per la manipolazione del governo, vogliamo la vita. Grazie alla resistenza non siamo arrivati ad ucciderci”, ha affermato il subcomandante Moisés, parlando di Resistenza e Ribellione, questa mattina durante l’inizio del quarto giorno del seminario “Pensiero critico di fronte all’idra capitalista”, a San Cristóbal de las Casas. “Abbiamo visto l’esempio dei nostri fratelli in Guatemala, dopo 30 anni di lotta violenta, come stanno?”, ha domandato l’insurgente.
Di fronte agli attacchi di gruppi paramilitari, Moisés è tagliente: “Questi cabrones non ci imporranno il loro tempo, le basi d’appoggio zapatiste non permetteranno la violenza”. Come esempio ha citato il caso della distruzione del municipio autonomo “Tierra y Libertad”, distrutto nel 1998 da poliziotti giudiziali inviate dal governatore Roberto Albores “Croquetas”. Quando furono consultate le basi dissero: “che lo distruggono, l’autonomia non sono le case“. Un altro esempio è stata la storia della distruzione del centro di riunione chiamato Aguascalientes, nella zona selva fronteriza, da parte dell’esercito, al quale non si è risposto con violenza “vogliamo la vita non la morte”, ha sottolineato il subcomandante.
Un caso più recente, raccontato dal portavoce zapatista, è quello delle continue provocazioni e aggressioni alle basi d’appoggio della comunità San Marcos Avilés, durante le quali le basi hanno detto “non lo sopportiamo più”. Dopo aver discusso il problema, hanno deciso di inviare un ultimátum al governo per informarli di quello che poteva succedere. “ Il governo ha dato altro denaro agli aggressori e il problema continua ad esserci”, ha affermato Moisés.
EZLN, Una disobbedienza organizzata.
“Non chiediamo permesso a nessuno, ci mettiamo d’accordo noi su quello che dobbiamo essere noi. Di fronte alla tormenta che viene stiamo vedendo se è questo il momento di creare una nuova istanza, dopo le Giunte del Buongoverno”, ha detto il ribelle chiapaneco. “Nuove generazioni stanno preparandosi perché non tornino i caciques come l’ex governatore Absalón Castellanos”, ha concluso.
Durante il suo intervento Gilberto López y Rivas ha affermato che in Messico non c’è lo stato di diritto, ma invece impera uno stato criminale, “l’idra capitalista con molte teste è potente, però non invincibile”, ha continuato.
Con una lettera Immanuel Wallerstein, ha inviato il suo intervento i movimenti antisistema e anticapitalisti. Ha proposto di far compiere quel che dice al centro liberale “se si pronunciano per la libera impresa, che gli imprenditori non siano salvati dallo stato”. In questo momento è necessaria molta lucidità, bisogna stare allerta di fronte ai falsi cambiamenti, è necessario fare analisi attenti ai discorsi della missione civilizzatrice dei potenti, ha affermato Wallerstein.
Il rettore della UNAM, Pablo González Casanova, ha anche lui espresso il suo contributo al seminario. Crisi terminale del capitalismo o crisi terminale dell’umanità? L’attuale contesto di una guerra fatta di tante guerre, “la libertà si arricchisce della battaglie di chi non si è venduto", ha commentatoi Don Pablo.
Ha parlato anche il militante del partido comunista, Salvador Castañeda, che ha esposto la sua visione del paese “Ho visto sani, forti, decisi gli zapatisti, perché non hanno la necessità dello sfruttamento dell’uomo sul uomo, non si sfruttano” ha detto il lottatore sociale.
All’incontro è arrivato anche un contributo di Michele Lowy, con l’argomento del Ecosocialismo come alternativa radicale. “Si può raggiungere il cuore dell’idra rinnovando il processo di produzione delle forze energetiche” ha detto.
“Siamo in una rivoluzione della vita quotidiana, che ha le donne in prima linea”.
San Cristóbal de las Casas, Chiapas. 6 maggio
“Se una donna era picchiata dal marito non poteva protestare. Se chiedeva aiuto alle autorità non le davano giustizia. Eravamo umiliate, ci vergognavamo di essere donne”, ha ricordato la comandanta Miriam, nel seminario “Pensiero critico di fronte all’idra capitalista”, raccontando il difficile cammino che hanno dovuto fare e che stanno facendo come donne indigene, perché vengano rispettati i loro diritti.
La comandante ha ricordato che nell’epoca dei caciques, vivevano a casa con i familiari nei latifondi, e lì non erano rispettate ed erano trattate come se fossero oggetti. E’ per questa situazione che diverse famiglie hanno deciso di andare in montagna e creare una comunità per vivere, fuori dai latifondi. Lamentabilmente una volta nel nuovo villaggio, anche se non c’era il padrone, c’erano i “padroncini”, che erano gli uomini di casa, “le donne tornarono un’altra volta ad essere rinchiuse come in un carcere”, ha detto Miriam.
“Le donne le danno in sposa per avere alcool, le obbligano a sposarsi con qualcuno che non vogliono. Poi ogni anno c’è una gravidanza, ed al padre non importa se la donna soffre. La donna di alza presto, per preparare quello che il marito si porterà via da mangiar, poi quando il marito ritorna va a passeggiare o a giocare e la donna resta sola, la notte torna il marito e non domanda come stai o se stai male”, ha spiegato la ribelle zapatista. “Quando si va a qualche festa vogliono che teiamo la testa coperta, che ci copriamo come se non fossimo nessuno” ha aggiunto..
Da parte sua la comandanta Rosalinda, seconda generazione delle donne zapatiste, ha detto che poco a poco ha perso la paura e la vergogna nelle varie attività di commissioni che ha iniziato a fare. “E’ necessario che ci sia la partecipazione delle donne, abbiamo lo stesso valore e la stessa forza degli uomini”, ha aggiunto.
Anche la comandanta Dalia ha detto che “anche se gli uomini sono cabrones, ce ne sono alcuni che non lo sono, porque ya no se dejan las mujeres”. “E’ necessario partecipare all’organizzazione e formare altre generazioni”, ha concluso.
Le giovani zapatiste Lisbeth e Selena, terza generazione di donne zapatiste, hanno detto che “non sanno come è stare con le autorità del malgoverno” perché sono cresciute con le proprie autorità. Possono decidere loro quello che vogliono essere, nell’area di lavoro di educazione o di salute, o dei mezzi di comunicazione o essere autorità “ci sono diverse cose che come donne possiamo fare”, ha aggiunto. Hanno poi continuato dicendo che sono coscienti dell’influenza che hanno sui giovani i grandi mezzi di comunicazione su come devono vestirsi, cosa devono comperare o cosa devono fare. Hanno anche detto che è lamentabile che i giovani che non stanno nell’organizzazione emigrano in altri stati e cambiano completamento i loro modi di fare.
Nel suo intervento il subcomandante Galeano, hanno detto che le donne non solo lottano contro il sistema ma anche “contro di noi, gli uomini”.
Dal Kurdistán è arrivato anche il messaggio della resistenza della gente della montagna e del fuoco, in particolare delle donne. Rivendicando il proprio diritto a continuare ad esistere. Che cos’è la vita senza libertà? Si è chiesta Havin Güneser, del Kurdish Freedom Movement. All’inizio degli anni novanta si sono create le prime unità guerrigliere di donne, capaci di prendere le proprie decisioni, ha raccontato. “ La prima colonia è la donna, per questo è necessario rompere il muro sulle nostre teste. Siamo le crepe nel mondo, che queste crepe si incontrino e si approfondiscano” ha affermato la lottatrice sociale.
Da parte sua Karla Quiñones di New York ha raccontato la difficile situazione delle donne migranti nel paese del nord, che nella loro maggioranza non sanno né leggere né scrivere e per questo si isolano. I governi degli Stati uniti e del Messico, usano le deportazioni quando vogliono, in maniera tale che le lavoratrici non si organizzino e non abbiano diritti. Ha continuato dicendosi d’accordo con la decentralizzazione e per comunità migranti con governi autonomi.
L’attivista del Movimiento #Yosoy132 Mariana Favela, riprendendo quello che aveva detto Havin Güneser , sottolinea come la donna è la prima colonia ma anche la prima resistenza. Parla della speranza, riferendosi alle e agli zapatisti, vista scendere dalla montagna, con pronuniciamenti determinati con allegria, con rabbia
Silvia Federici dall’Argentina, ha inviato un intervento “il capitalismo e lo sfuttamento delle donne nell’economia globale, in cui una delle caratteristiche è la difesa delle terre comunitarie da parte delle donne, perché gli uomini sono migrati.
“Siamo in una ivoluzione quotidiana, con le donne in prima fila”, ha affermato.
Márgara Millán si è domandata: che idea possiamo proporre non solo per opporsi ma per costruire qualcosa di diverso?
Silvia Marcos nel suo intervento ha ripreso quel che è stato detto dal filosofo Luis Villoro, quando ha indicato che “l’utopia è già qua, vivendo nello zapatismo”. Riguarda alla relazione tra donne e uomini si è detta d’accordo con la frase zapatista: siamo uguali perché siamo differenti. Ha anche sottolineato il ruolo delle donne nelle decisioni delle Giunte del Buongoverno zapatiste, all’interno delle quali esse sono parte importante degli accordi e soluzioni che si trovano.
CORRISPONDENZA DA RADIO ZAPATISTA
“Con el amor más feroz” luchamos creando
di Eugenia Gutiérrez. Colectivo Radio Zapatista.
San Cristóbal de las Casas, Chiapas 6 maggio
Immaginiamo la tavoletta dell’artista piena di colori, ognuno in attesa di essere pazientemente scelto dal pittore, immaginiamo le note che aspettano il loro turno nel pentagramma, ansiose di essere messe in un posto nuovo. O i passi di danza quieti ancora, i materiali addormentati per terra e pronti per essere usati, le parole che ancora nessuno ha intonato in questa maniera. L’immagine non catturata. Tutto un mondo di possibilità costruttive in attesa di esistere attraverso il lavoro creativo del pittore, dell’attrice, del ballerino, della cantante, del musicista, dello scultiore, della scrittrice, del fotografo, del cineasta. Ma stiamo nel CIDECI-Unitierra e qui niente è normale.
Migliaia di persone continuiamo ad essere riunite nel seminario “El pensamiento crítico frente a la Hidra capitalista”. Per giorni, decine di interventi ci hanno proposto le analisi che generosamente hanno preparato. L’attenzione e il rispetto con i quali vengono ascoltati hanno origine in una rabbia condivisa da ogni partecipante. In tutti gli interventi si danno informazioni con dettagli sugli orrori causati dalla voracità capitalista. Ed anche se in molti si narrano esperienze di lavoro che sono rivolte ad un cambiamento, l’informazione ci fà riflettere. Questo non sta succedendo, non può essere. Però è. A volte ci prende l’asfissia. Ma per fortuna abbiamo taniche d’ossigeno la mattina e la sera con i discorsi zapatisti. Ed abbiamo l’arte.
Lo strano di questa arte che abbiamo qui è che ogni artista trascende il dolore dei materiali e degli spazi che aspettano il loro momento di esistere. Nella tavolozza del pittore non solo ci sono loro ma anche sangue, lacrime e sudore, ma i colori continuano ad esserci. Le note musicali sembrano grida, vengono da un grido. Ma la cantante, il musicista le utilizzano. L’attrice e il ballerino si muovono in scenari incomprensibili ed oscuri, pieni di resti umani che lo scultore utilizza per le sue opere, ma i tre sorridono. La scrittrice cerca in silenzio e incontra la sua voce. Il fotografo ed il cineasta potrebbero optare per non guardare, ma guardano.
E la cosa più strana è quel che nasce da questi materiali. Da lacrime, grida, silenzi e resti umani nascono canzoni e danze allegre, murales, coreografie, testi senza paura, foto luminose, video, combinazioni strutturate in una armonia che può vedersi solo in un contesto zapatista. Sarà perchè sappiamo che qui ci sono altri materiali, altre note, altri scenari oltre a quelli che vomita questa guerra che patiamo? E se non ci sono li inventiamo? O perchè i collettivi di teatro e pittura che ci sono qui si chiamano “Tu Madre en Chanclas” o “Colectivo Callejero”?
Sarà perchè nelle comunità indigene o negli spazi di incontro inspirati dalla loro lotta autonoma, durante due decenni, si è andata formando intorno agli zapatisti una corrente di arte libertaria e ribelle, veramente antisistemica, che non c’è modo di fermare. In periodi immediatamente posteriori alle grandi crisi sociali e politiche non è strano che la creazione alzi la testa da dentro le tombe. Qualsiasi storico o storico dell’arte potrebbe dire che questo non è nuovo, che sempre nei momenti più dolorosi e più sanguinari sempre l’arte si alza con i suoi creatori, come se in un contesto di guerra fosse ancora più urgente la vita per chi la difende. Però l’arte che sorte nel contesto di resistenza e ribellione zapatista è unica perchè al suo interno nessuno è solo.
Come dipingere, cantare, ballare in mezzo a tanta distruzione? Come scolpire le ossa lasciate da migliaia di persone scomparse? Come scrivere altro che non sia violenza? In collettivo. Tamerantong, un gruppo di attrici ed attori francesi, scommettono su un lavororo creativo con bimbe e bimbi in quartieri molto poveri, da 25 anni. I pittori di strada scomettono su murales di gesta eroiche contemporanee o in mostre itineranti come quelle che ci sono in questo auditorio, dove alle pareti ci sono più lune che in cielo.
Il Colectivo Callejero pensa che collocarsi a lato dello zapatismo, “è un atto naturale per un artista". Ma non per ogni artista. Quello che hanno costruito le comunità zapatiste “bonitísimo”, ci dice Antonio Gritón, Mentre presenta felice, l’esposizione “Signos y señales” o il murales “Sueño y pesadilla del poder” che Antonio Ramírez ha dipinto a Guadalajara. Ci dice che sono opere con simpatia verso gli zapatisti e la Sexta. Quello che non dice è che il simpatico è lui e questo gruppo di pittori che hanno impartao a non suonare l’incubo capitalista ma il sogno dell’autonomia perchè lavorano, come lui stesso spiega "con l’amore più feroce". Le 40 opere che hanno portato non nascono dalla sera alla mattina.Sono il prodotto di un lavoro organizzato e creativo di molti anni attraverso le strade delle proteste e manifestazioni. "quando noi pittori stiamo dipingendo pensiamo moltissimo quello che ci succede intorno, a quello che vogliamo fare" dice Antonio. Ossia lottano creando.
Per questo sembra necessario tutto il tempo in questo seminario. Voz de los Pueblos non può ingannare. Giorno dopo giorno ci ha fatto credere che ha portato appunti e note per spiegarci i risultati dell’autonomia zapatista con tutti i suoi problemi ed i suoi asegunes.La quantità di storie semplici e di anedotti quotidiani che estraggono dai fogli nelle loro mani così morenas ci trasportano in mondi nuovi, alternativi e possibili che le comunità hanno costruito con resistenza e ribellione organizzata. Ma non sono appunti. L’abbiamo già scoperto. Anche lui è un artista che vive nelle montagne del Chiapas e che presenta la sua arte collettiva da uno scenario con più fiori di un campo. Quello che ha in mano sono le sue fotografie, quelle che ha preso nelle comunità durante trent’anni di lavoro, immaginazione e lotta interminabile, una lotta che si fa creando e la novità della sua arte è che ce la condivide, ce la spiega e ce la regala con una sincerità che ci colpisce.
Il sup Moisés domina un’arte che non conoscevamo. E’ il fotografo di un altro mondo possibile, che non conoscevamo.