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Abbiamo avuto occasione a Milano di intervistare Omar Garcia, studente della Normal Rural di Ayotzinapa e Roman Hernandez, attivista dei diritti umani in Guerrero che insieme a Eleucadio Ortega, uno dei padri dei 43 studenti "desaparecidos" il 27 settembre 2014 a Iguala, stanno attraversando l’Europa con la #EuroCaravana43.
Da loro abbiamo voluto capire cosa sta succedendo in Guerrero a due mesi dalle elezioni, il senso della Carovana negli Stati Uniti ed in Europa e la situazione in Messico.
Cosa sta succedendo in Guerrero mentre voi siete qui per l’EuroCaravana43?
* Roman - Quello che sta succedendo in Guerrero è un movimento forte ed articolato che sta esigendo la “presentacion con vida” dei 43 studenti della Normal Rural di Ayotzinapa.
Lo stato del Guerrero ha una tradizione di organizzazione molto forte dagli anni sessanta, settanta con i movimenti “insurgentes” capeggiati da Lucio Cabanas ed inoltre ha anche visto processi di organizzazione nei villaggi, nei “pueblos” che vogliono garanzie per i loro diritti. Diritti collettivi come quello al territorio e all’autodeterminazione.
Per questo non è un caso che attualmente in Guerrero esista un movimento molto forte che sta esigendo la “presentacion con vida” degli studenti di Ayotzinapa e anche soprattutto che si fermi e sradichi in maniera definitiva questa forma violenta di esercitare il potere.
In questa situazione le organizzazioni sociali si sono mobilitate boicottando gli atti della campagna elettorale. Ora siamo infatti in tempo di elezioni in Guerrero in cui dovrebbero essere eletti un nuovo governatore e i deputati. I settori organizzati, cioè professori, studenti, sindacati, “pueblos” vogliono che in Guerrero non si facciano le elezioni , perché finchè esiste un legame provato tra il narcotraffico e i tre livelli di governo non ci sono le condizioni per poterle realizzare. Sarebbe come votare per un cartello o l’altro.
Il movimento sociale in Guerrero è disposto a trasformare le cose fino in fondo ed è questo quello che sta succedendo. Siamo in una situazione delicata perché anche la posizione del governo si è indurita. Si vedono sempre più segnali di una repressione, che sta violentando la richiesta di “presentacion con vida” degli studenti. Ci sono già state dimostrazioni di violenza dello stato contro il movimento e questo può acutizzarsi.
Qual è l’importanza di uscire dal Guerrero, dal Messico ed andare in altri paesi del mondo per spiegare quel che sta succedendo?
* Omar - La stessa importanza che ha avuto uscire dal Guerrero ed andare negli altri stati della Repubblica. Sapere ed assumere che non era solo un problema degli studenti e dei familiari ma un problema nazionale, che rifletteva un dato generale: la gente è stufa dell’insicurezza, del problema della delinquenza, delle sparizioni forzate, della repressione di stato, della corruzione. Tutto si è messo insieme in questo vicenda.
Uscire dal paese è importante perché c’è stata una solidarietà internazionale che continua fino ad oggi però quello che noi vediamo è che può restare disarticolata, incomunicante tra diversi paesi, diverse regioni a livello europeo. C’è la necessità di unificare queste lotte. Questo movimento è stato un fattore unificante e per questo dobbiamo assumere questo ruolo per garantire che un processo di cambiamento si realizzi.
Perché questo sia reale in Messico bisogna articolare per prima cosa le lotte in tutti i suoi livelli: locale, nazionale ed internazionale. Stiamo immaginando forze che magari non abbiamo o non prendendo in considerazione forze che abbiamo. Per tutto questo è importante una Carovana a livello internazionale, non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti, in Canada ed anche ovviamente nel cono sud dell’America Latina, Vorremmo andare anche in altre parti ma al momento queste sono le zone che abbiamo scelto e che per noi sono strategiche.
Avete fatto un lungo viaggio in America, ove oggi sono fortissime le proteste contro la violenza della polizia. Cosa ti ha colpito di più?
* Omar - Noi abbiamo detto ai compagni di Ferguson ed a tutti gli altri che quello che abbiamo in comune è la brutalità della polizia. La polizia agisce in maniera brutale, non ci sono valori, non c’è modo oggi di aver fiducia nella polizia. Ogni giorno sembra che i loro metodi diventino più brutali nella repressione della popolazione.
Ci siamo incontrati con movimenti che difendono i diritti dei migranti, come anche qui nell’Unione Europea, che difendono i diritti di essere differenti come nel caso dei compagni delle comunità afrodiscendenti. Abbiamo incontrato moltissimi compaesani che sono “indocumentados” e non hanno neanche la patente, sono disoccupati, trattati male. Abbiamo visto tutto questo e ci siamo affratellati, ci siamo identificati con loro e loro si sono identificati con noi. Per questo abbiamo detto in Texas, a Chicago che a noi non importava che sui mezzi di comunicazione apparisse la foto di una manifestazioncina di 100, 200 persone. A noi non interessava l’azione diretta quello che ci interessava era salutare questi compagni, che ci salutassero e che dicessimo insieme che dobbiamo appoggiarci tra tutti. Questa lotta deve internazionalizzarsi e deve sforzarsi perché ci sia una vera solidarietà, che significa che se c’è un problema tutti ci siamo per aiutarci, come succede qui con le case occupate che sono molte e che se ne sgomberano una tutti vanno a difenderla. Più o meno è questo quello che ci immaginiamo a livello internazionale.
Cosa ti immagini che succederà in Guerrero visto che siamo a due mesi dalle elezioni ?
* Roman - Mi immagino che la situazione diventerà sempre più tesa.
C’è un malessere generalizzato, abbiamo visto la volontà di cambiamento in Messico ed anche qual è la situazione e la volontà di cambiamento in Guerrero. Abbiamo visto a cosa sono disposte le persone per mettere fine a questo modo di esercitare il potere che si è dato in particolare in Guerrero, incarnato nella figura dei "caciques" regionali che cercano di imporre la loro volontà con violenza, passando sopra alle persone senza che gli importi niente.
Questo malessere è generalizzato e ci sono le condizioni perché in alcune zone del Guerrero le elezioni non si realizzino.
Abbiamo anche visto - e lo ha dichiarato anche pubblicamente il governo messicano - che sono pronti a militarizzare le elezioni. Stiamo vedendo qualcosa che già sapevamo: l’instaurarsi di un regime autoritario, che sta facendo ogni cosa per sostenersi, a qualunque prezzo, senza importare il costo politico.
Lo stesso stato messicano, dopo l’arrivo di Pena Nieto, ha dimostrato che è disposto a rinunciare alla verifica internazionale in materia di diritti umani. Questo è un altro sintomo dell’implementazione di uno stato autoritario. Lo avevamo già visto ma il governo cercava di nascondere la realtà, di mascherarsi, di parlare di diritti umani etc...
Adesso tutto questo è svelato, smascherato.
Affermare che le istituzioni internazionali in materia di diritti umani, i relatori internazionali mentono è una prova di questo discorso. Stiamo parlando della posizione assunta pubblicamente di rinuncia alla verifica dei diritti umani.
Parlare del fatto che le elezioni saranno garantite con la militarizzazione, che le urne saranno installate con la presenza dei militari è una prova pubblica dello sviluppo di uno stato autoritario.
Questo di fronte ad una società organizzata, che ha deciso di non voler più essere calpestata, significa uno scontro diretto. Noi scommettiamo sempre sulla mobilitazione pacifica perché non è nella nostra volontà di cambiamento lo scontrarsi con il governo. La nostra volontà di cambiamento è la costruzione di relazioni che ci permettano di avere una vita degna, con pieno accesso alla terra, alla libertà. Questa è la volontà di cambiamento che esiste in Guerrero. Davanti ad un governo che sta cercando di imporre ad ogni costo la sua volontà con la violenza, perché risponde agli interessi delle imprese a livello internazionale, siamo di fronte ad un processo con molti rischi.
In Messico non abbiamo ancora vissuto il peggio. Quando hanno ammazzato due studenti di Ayotzinapa nel 2012 avevamo pensato che quello poteva essere il peggio, quando hanno ammazzato i contadini a Charco pensavamo che fosse la cosa peggiore, quando hanno ammazzato i contadini a Aguas Blanca avevamo pensato che quello fosse il peggio, non ci saremo mai immaginati che fossero capaci di far sparire 43 studenti.
Questa è la contraddizione più grande dell’esistenza di uno stato che si impone con violenza su una società che ha deciso di non accettare più di essere calpestata. Ed adesso non possiamo dire che non potrà essere peggio, al contrario pensiamo che sarà peggio perché già questo è intollerabile e così lo sente la società, così lo sentiamo. Il governo messicano è disposta a fare di tutto.
Vogliamo far comprendere il senso di urgenza che ha attualmente la società in Guerrero e a livello nazionale. Il senso di urgenza che proviamo nel voler sradicare la situazione che viviamo attualmente. Non possiamo permettere che questo governo imponga con la violenza la sua volontà e dobbiamo cercare forme per trasformare in profondità questa struttura, che sta imponendosi con violenza.
Per questo abbiamo bisogno dell’appoggio di tutta la comunità internazionale.
Cosa succederà secondo voi studenti “normalistas”?
* Omar - Noi non sappiamo quel che succederà. Abbiamo sempre seguito le nostre percezioni come studenti e come familiari. Seguiamo quel che sentiamo più che la ragione politica o d’analisi, le tattiche o le strategie. Quello che sappiamo è che dobbiamo continuare, avanzando dove e come possiamo. Le porte a cui dobbiamo bussare, le battiamo. Chi vuole aprire lo farà, chi vuole chiudere lo farà di brutto. Quello che vediamo è una società che, anche se non lo abbiamo voluto, è disgregata, lo stato l’ha disgregata.
Per due o tre mesi lo stato è stato sulla difensiva, senza legittimità. Come può uno stato recuperare legittimità? Se l’ha recuperata è falsata dal tentativo di far credere alla società che tutto sta migliorando. Hanno cercato di far questo attraverso i mezzi di comunicazione.
A partire dal 27 gennaio è iniziata una tappa nuova per il movimento. Tutto quelli che facciamo è stigmatizzato, satanizzato, criminalizzato. Ma sappiamo che molti si sono svegliati il 27 settembre e non sono più disposti a chiudere gli occhi.
Ci conforta, il fatto di sapere che c’è tutta una società che vuole cambiare le cose, che vuole partecipare nei processi di cambiamento,
Non è solo responsabilità nostra come studenti e familiari ma è responsabilità di tutti. Lo slogans “no estan solos” deve trasformarsi in lotta ed organizzazione. Non siamo soli non semplicemente perché altri ci dicano “andate avanti, duri … “ ma perché bisogna dimostrare che qualcosa si sta facendo e non è per noi e per tutto un paese che ha sofferto e tollerato tutto questo strangolamento.
Quel che succederà noi lo affronteremo come viene e non ci fermeremo anche se lo stato aumenta i suoi metodi repressivi. Questo lo devono capire.
L’intervista è stata realizzata in collaborazione con Jaime Quintana