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Dopo un primo articolo a caldo su quanto successo a Tunisi, per approfondire quello che sta succedendo in Tunisia e per sostenere chi sta giustamente scedendo in piazza, come domani 20 marzo nella giornata dell’indipendenza, vi proponiamo tre contributi: un’intervista con la blogger Lina Ben Mhenni e due articoli, uno di Martina Pignatti, Presidente di Un Ponte Per sull’Huffington Post e l’articolo proposto oggi da Il Manifesto di Giuliana Sgrena.
Lina, Martina e Giuliana le abbiamo incontrate più volte in questi anni durante le carovane, le iniziative collegate ai progetti a sostegno della società civile, dei gruppi di base in Tunisia. Un sostegno che intendiamo continuare per dare il nostro piccolissimo contributo allo sviluppo di un futuro di diritti, dignità, giustizia sociale ed ambientale che oggi può rappresentare la risposta al terrore e all’autoritarismo che si vorrebbe imporre in tutta questa parte di mondo.
Per questo saremo al Forum Sociale Mondiale a Tunisi dal 24 al 29 marzo.
Segui in twitter @benmhennilina
«Italiani, la Tunisia ha bisogno di voi»
Intervista alla blogger tunisina Lina Ben Mhenni: «L’attentato farà cadere il paese nella paura»
Intervista alla giornalista e blogger tunisina Lina Ben Mhenni, dopo il sanguinoso attentato al Museo del Bardo di Tunisi in cui hanno perso la vita venti persone, tra cui quattro italiani. Intellettuale in prima fila nelle rivolte che hanno portato alla caduta di Ben Ali e nella difficile transizione verso la democrazia, Lina si rivolge anche agli italiani: «Non abbiate paura adesso. Il nostro paese ha bisogno di voi e del vostro appoggio».
Lina Ben Mhenni è in prima fila da anni. Lo era nei giorni convulsi che hanno portato alla caduta di Ben Ali, lo è stata nel difficile periodo di transizione che ha fatto della Tunisia l’unico paese nell’area a riuscire a portare a compimento una transizione democratica, con tanto di elezioni e l’adozione di una nuova costituzione. Lo è ancora di più oggi, perché questa fragile, giovane democrazia è in pericolo e lo spettro del terrorismo s’affaccia ad oscurare il sogno politico di tutto un paese. L’abbiamo raggiunta a caldo per commentare l’attentato che ha causato morti (tra cui quattro italiani) e decine di feriti al Museo del Bardo di Tunisi.
Lina, si tratta del più grave attentato compiuto su suolo tunisino dal 2002. È un colpo durissimo inferto alla democrazia e al turismo di un paese che prova ad affrancarsi dal suo turbolento passato politico.
Ciò che è accaduto oggi a Tunisi è un colpo mortale inferto al cuore del nostro paese. Certo i terroristi hanno voluto far passare un messaggio chiaro e forte al popolo tunisino. E cioè hanno voluto far capire che sono passati ad una nuova tappa nella loro guerra, e per questo hanno deciso di colpire in pieno centro e nella capitale.
I gruppi jihadisti legati ad AQMI (Al Qaeda nel Maghreb islamico) e ad Isis hanno colpito in un momento cruciale, ovvero nel corso di una votazione chiave proprio sulla legge antiterrorismo.
I terroristi avevano previsto un attacco al Parlamento tunisino in un momento cruciale della nostra battaglia contro il terrorismo; poi, respinto l’attacco, hanno deciso di colpire civili e turisti che visitavano il museo. Ma occorre essere lucidi in questo. I terroristi hanno voluto colpire la Tunisia, che è in qualche modo il solo paese della cosiddetta “Primavera araba” che è riuscita a sottrarsi ai bagni di sangue del resto della regione e che è riuscita ad organizzare delle elezioni democratiche e adottare una nuova costituzione.
Questo terribile attentato non rischia di far sprofondare il paese nella paura ed avere anche conseguenze sulle libertà civili a fatica conquistate?
Purtroppo è così. Quest’attentato farà sprofondare il paese nella paura, che già esiste. E ciò significherà una minaccia che peserà sulle libertà individuali, ma soprattutto un deterrente per le violenze poliziesche e le torture, che anzi s’intensificheranno in nome della battaglia contro il terrorismo. Le forze di sicurezza tunisine si permetteranno eccessi di zelo in nome di questa battaglia, cosa che tra l’altro già stava accadendo, con l’aggravante che riceveranno il sostegno di una larga parte del popolo tunisino che ha giustamente paura e che è disposto a cedere le proprie libertà in cambio di sicurezza. Ci sarà un tentativo di far tacere tutti coloro che denunciano gli abusi delle forze di sicurezza, anche quando queste agiscono per ragioni che non hanno nulla a che vedere col terrorismo. Ho già vissuto questo, ogni qual volta denuncio una minaccia ai diritti umani fatta da poliziotti vengo attaccata e minacciata da altri cittadini. Ed è così che nascono gli stati polizieschi e le dittature s’installano.
Si calcola che oltre tremila jihadisti dal 2011 ad oggi abbiano deciso d’integrare i ranghi dell’Isis. Come spiega questa fascinazione per la scelta radicale?
Il numero di giovani jihadisti tunisini è molto elevato ed io credo che ciò sia legato a più fattori, tra i quali il sentimento di disperazione che vivono molti giovani tunisini oggi. In effetti molti credevano che le cose sarebbero cambiate grazie alla rivoluzione, ma ciò non è avvenuto. La giustizia di transizione non è stata stabilita correttamente, i criminali del regime di Ben Ali hanno potuto avvalersi dell’impunità e alcuni addirittura sono presenti tutt’ora sulla scena politica. A questo va aggiunto il tasso di disoccupazione, che è aumentato a causa della difficile situazione economica che vive il paese. La corruzione, la tortura, il nepotismo sono poi all’ordine del giorno. Questi giovani hanno perso la speranza, sono fragili e facilmente manipolabili e per questo cercano rifugio nella religione. In questo contesto, poi, esistono gruppi terroristi che riescono a far loro un vero e proprio lavaggio del cervello e a utilizzarli per i propri crimini efferati. Occorre dire che l’emarginazione, la povertà costituiscono un ambiente nel quale prolifera l’estremismo. In Tunisia abbiamo grandi problemi anche con il sistema educativo e con la cultura.
I terroristi hanno colpito civili e soprattutto turisti inermi, tra cui diversi italiani, che visitavano un museo. Che impatto avrà l’attentato sul turismo?
Intanto voglio fare le mie condoglianze a tutte le famiglie delle vittime ed in special modo alle vittime italiane. Ciò che è accaduto è un colpo durissimo inferto al nostro turismo e alla nostra economia. La stagione turistica è ormai andata. È triste per un’economia che naviga in acque così difficili, noi contiamo molto sulla stagione turistica. Voglio però fare un appello agli europei e in special modo agli italiani. Noi contiamo sul vostro sostegno, non ci abbandonate, la Tunisia ha bisogno di voi. Sono triste per il mio paese e per le famiglie delle vittime. Ma voglio dire che nonostante ciò le tunisine e i tunisini non abbasseranno mai le braccia. Combatteremo questi criminali fino alla fine.
Tratto da www.linkiesta.it
Tunisia, non un passo indietro!
Confermato il Forum sociale mondiale a Tunisi la prossima settimana
Ieri pomeriggio, mentre il mondo leggeva con orrore dell’attacco terroristico al Museo del Bardo, gli esponenti dei principali sindacati e movimenti sociali tunisini entravano al Ministero degli Interni per un incontro difficile: confermare o no il Forum Sociale Mondiale (FSM), che dal 24 al 28 marzo porterà a Tunisi almeno 40 mila persone che in tutto il mondo lottano per la giustizia sociale, i diritti umani e ambientali. Poche ore dopo, un comunicato rispondeva a chiare lettere:
"Ora più che mai, una massiccia partecipazione al FSM sarà la risposta appropriata delle forze democratiche per costruire un mondo migliore, più giusto e libero, basato sulla coesistenza pacifica".
Tunisia, non un passo indietro! Confermato il Forum sociale mondiale a Tunisi la prossima settimana
Pubblicato: 19/03/2015 13:20 CET Aggiornato: 4 ore fa
TUNISIA WORLD SOCIAL FORUM
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Ieri pomeriggio, mentre il mondo leggeva con orrore dell’attacco terroristico al Museo del Bardo, gli esponenti dei principali sindacati e movimenti sociali tunisini entravano al Ministero degli Interni per un incontro difficile: confermare o no il Forum Sociale Mondiale (FSM), che dal 24 al 28 marzo porterà a Tunisi almeno 40 mila persone che in tutto il mondo lottano per la giustizia sociale, i diritti umani e ambientali. Poche ore dopo, un comunicato rispondeva a chiare lettere:
"Ora più che mai, una massiccia partecipazione al FSM sarà la risposta appropriata delle forze democratiche per costruire un mondo migliore, più giusto e libero, basato sulla coesistenza pacifica".
Questo incontro dei movimenti altermondialisti, nato a Porto Alegre, in Brasile, nel 2001 come alternativa al Forum economico mondiale di Davos, ha radunato ogni due anni in diversi continenti gli organizzatori di campagne sul clima, attivisti dei popoli indigeni, operatori del commercio equo e solidale, pacifisti e movimenti per il disarmo. Dal 2013 ha spostato il proprio asse nel mondo arabo, per sostenere le rivendicazioni delle masse di donne e uomini, soprattutto di giovani, che hanno sfidato con mobilitazioni civili gli eserciti dei dittatori nelle primavere arabe. Il forum di Tunisi del 2013 ha coinvolto oltre 30 mila persone da 127 paesi, e quello che si svolgerà la settimana prossima non sarà da meno.
I protagonisti tunisini della primavera araba non ci chiedono oggi di bombardare nuovamente la Libia ma di scendere in piazza con loro, di essere testimoni delle loro lotte civili, sostenitori delle loro campagne nonviolente.
Sanno bene che solo la protezione dei diritti umani di tutta la popolazione, a partire da coloro che sono minoranza politica o etnica, può fermare la crescita del jihadismo e la sua capacità di reclutare giovani disperati. Certo, la libertà di espressione può dare spazio anche alla propaganda violenta, ma la censura farebbe peggio e agirebbe come benzina sul fuoco. Strette securitarie, militarizzazione della società e limitazioni dei diritti civili sarebbero risposte sbagliate e controproducenti.
Anche noi di Un ponte per... saremo a Tunisi la prossima settimana con un’ampia delegazione di 60 persone italiane, irachene, libanesi, marocchine. Persone con cui da anni lavoriamo per rafforzare il tessuto democratico dei loro paesi, e per "disarmare" la politica estera dell’Italia.
Se "siamo Charlie" solo nelle piazze occidentali non risulteremo mai più credibili di fronte ad attivisti arabi che ogni giorno rischiano la pelle per respingere i fondamentalismi, dalla Siria all’Iraq, fino alla nuova Tunisia.
Pochi sanno che dopo gli attentati di Parigi centinaia di iracheni sono scesi in piazza a Baghdad manifestando contro Daesh (cosiddetto ISIS) e per la libertà d’espressione. Pochi si rendono conto che i popoli arabi e kurdi sono le prime vittime di quest’organizzazione criminale e i primi che si sono assunti il compito di resistere all’avanzata degli jihadisti. E non sono i fucili delle combattenti kurde il loro principale strumento di opposizione a Daesh ma la legge sulla partità di genere che stanno approvando in Rojava (Kurdistan siriano) e il protagonismo delle donne nel processo decisionale e politico di quell’autonomia democratica.
Questi popoli vanno conosciuti anche per capire, tramite i loro occhi, il fenomeno del terrorismo di matrice islamica, ed è per questo che il Forum Sociale Mondiale è una preziosa occasione di ascolto e dibattito. In 4 giorni attiviste ed attivisti da tutto il mondo, ed in particolare del Mediterraneo e del Medio Oriente, racconteranno le loro lotte ambientali, sociali democratiche. E cercheranno di costruire ponti ed alternative alla violenza del terrore e dei regimi.
E di fronte alle loro lotte ed a quanto subiscono , non si può insinuare che gli italiani fossero target dell’attentato di Tunisi: lo era il Parlamento tunisino ed i suoi sforzi democratici e, di ripiego, gli internazionali, perché la loro morte mediatica fa notizia. È pericoloso argomentare che un maggior export di armamenti italiani in Tunisia aiuterebbe l’esercito a proteggere il suo popolo: basterebbe più intelligence, e più politiche per dare occupazione ai tanti giovani disperati che ancora oggi non hanno visto i vantaggi economici della democrazia. I soldi e le vite che l’Italia brucerebbe in una terribile avventura bellica in Libia, di cui si parla insistentemente in queste ore, investiamoli invece per un altro Maghreb! Solo così faremmo davvero il vuoto intorno a Daesh.
Martina Pignatti Morano - Presidente Un ponte per...
Tratto da Huffington Post
A Tunisi attacco contro la rivoluzione alla vigilia del Social Forum
Tunisia.
Gli islamisti di Ennahdha non sono più al potere, ma sostengono il governo. Via libera per sostenitori del califfato nel Maghreb
La rivoluzione tunisina è entrata nel mirino dello Stato islamico. I terroristi che ieri hanno provocato una strage al Bardo, il più antico museo archeologico del mondo arabo e dell’Africa, hanno compiuto quell’attacco che i tunisini temevano da tempo. Non è bastata una rivoluzione che ha abbattuto una dittatura aprendo le porte a un processo democratico, dove si sono confrontate forze laiche e islamiste, per sventare le velleità del terrorismo globalizzato.
Il tema della sicurezza era stato al centro della campagna elettorale che lo scorso autunno aveva segnato la vittoria delle forze laiche a scapito degli islamisti che avevano dilapidato il consenso ottenuto nel 2011, nelle prime elezioni del dopo Ben Ali. Ennahdha, alla prova del potere, ha perso, anche se non ha rinunciato al governo. Ma ora il gioco è passato nelle mani degli estremisti che sono cresciuti all’ombra e con la complicità di Rachid Ghannouchi, grande vecchio dell’islamismo tunisino.
La grande pressione sulla Tunisia arriva dalla Libia e non solo per le ondate di profughi. Non a caso è stata rafforzata la protezione al valico di frontiera di Ras Jedir, spesso chiuso per evitare il passaggio di armi e di jihadisti e per contrastare il contrabbando.
I controlli tuttavia non hanno impedito il passaggio dei jihadisti di Ansar al Sharia che in Libia hanno la base logistica per coordinare le spedizioni in Siria.
Proprio in Libia, a 70 chilometri da Sirte, sabato scorso è rimasto ucciso Ahmed Rouissi, durante gli scontri tra i sostenitori del califfato e la Brigata 166 fedele al governo installato a Tripoli. Ahmed Rouissi, leader di Ansar al Sharia, era ritenuto uno dei terroristi tunisini più pericolosi, implicato anche negli assassinii, avvenuti nel 2013, dei leader del Fronte popolare Chokri Belaid e Mohamed Brahmi.
Tuttavia finora il maggior numero di vittime – soprattutto di militari – si è registrato sulle montagne di Chaambi alla frontiera con l’Algeria, che ha inviato nella zona ingenti forze che agiscono anche oltre frontiera, con l’accordo di Tunisi.
Il terrorismo globalizzato non conosce frontiere e colpendo la Tunisia mira a far fallire l’unica rivoluzione che finora ha avuto un esito positivo con l’avvio di un processo di democratizzazione che peraltro non ha escluso gli islamisti. Finché Ennahdha era al potere, proteggeva le azioni dei salafiti che sono arrivati anche ad attaccare l’ambasciata americana. Non solo, proprio dalla Tunisia sono partiti migliaia di jihadisti che sono andati a combattere in Siria con il fronte al Nusra o in Iraq con lo Stato islamico. I tunisini – reclutati nelle moschee o nelle associazioni islamiche con il consenso di Ennahdha – sono così diventati il maggiore supporto dei terroristi in Siria.
Anche giovani tunisine sono state costrette a dare il loro contributo: sono state spedite in Siria a soddisfare gli appetiti sessuali dei combattenti, dopo aver contratto il matrimonio jihadista, una nuova versione del matrimonio di piacere o temporaneo.
Ora i Fratelli musulmani non sono più al potere, anche se sostengono il governo al quale partecipano con un proprio ministro, e la via è libera per i sostenitori del califfato, ormai diffusi in tutto il Maghreb. La proclamazione del califfato a Derna, in Libia, ha evidentemente spinto i jihadisti tunisini all’azione. Un attacco sanguinoso anche se con l’impiego di forze limitate, forse anche perché, secondo quanto annunciato dal ministero dell’interno, era stata appena sgominata una cellula terroristica a nord di Tunisi. L’assalto al museo è avvenuto mentre all’assemblea nazionale, che ha sede anch’essa nell’ex palazzo reale, erano in corso colloqui tra il ministro della Giustizia ed esperti del suo ministero e di quello dell’interno per elaborare la legge contro il terrorismo (pura coincidenza?) e contro il riciclaggio di denaro.
La maggior parte delle vittime sono turisti stranieri (17 su un totale di 19, oltre ai due terroristi), probabilmente l’obiettivo, se calcolato, era quello di colpire il settore trainante dell’economia del paese. Il turismo era ripreso dopo anni di stallo provocato dai timori suscitati dai cambiamenti in corso e ora rischia di subire una nuova battuta d’arresto.
Proprio in questi giorni è difficile trovare posti liberi negli alberghi di Tunisi perché martedì 24 avrà inizio il Forum sociale mondiale e per l’occasione arriveranno esponenti di associazioni, movimenti, partiti da tutto il mondo e soprattutto dai paesi del Mediterraneo. In Tunisia si era svolto il Forum sociale anche due anni fa e proprio il successo di quella edizione aveva determinato la scelta di quest’anno. Anche il Forum è entrato nel mirino dei terroristi? Speriamo di no e solo una grande partecipazione in questa situazione può rappresentare un gesto di grande solidarietà con il popolo tunisino. Certo, un attacco di queste dimensioni alla vigilia dell’apertura, mentre fervono i preparativi, non è di buon auspicio.
Ma forse come nel VII secolo era stata Kahina, la regina berbera, a fermare i califfi, ora saranno le donne, già protagoniste della rivoluzione, a bloccare i seguaci di al Baghdadi.